08 Agosto 2011, 08.05
Vobarno
I racconti del lunedì

Tapascio Bombatus, Terza puntata

di Ezio Gamberini

Negli ultimi anni mi sono recato spesso all'estero, a fianco di Vittorio, per motivi di lavoro. Principalmente in Ungheria e Romania con qualche puntata in Slovenia, Croazia e Slovacchia...

 
Normalmente i viaggi avvengono in macchina, poiché abbiamo la necessità di effettuare parecchi spostamenti interni, con "tirate" a volte massacranti.
Più rari invece i voli. In questa occasione viaggeremo in autovettura poiché dovremo effettuare parecchi trasferimenti, soprattutto in Romania.
La sera prima di partire faccio il mio secondo lungo di diciotto chilometri (chissà se in futuro progredirò a tal punto da considerarlo "medio") che percorro in quattro minuti in meno rispetto la settimana scorsa, compresi tre riposi per complessivi tre minuti.
Sono convinto che sia assolutamente necessario fermarmi qualche secondo al fine di ridurre drasticamente il numero dei battiti cardiaci per poi ripartire come se niente fosse. Chi non si ricorda quel mezzofondista, Franco Fava, che talvolta era costretto a fermarsi a causa di una tachicardia, ma poi ripartiva e vinceva le gare?
E' curioso come oggi mi ritrovi ad osservare le pochissime gare di atletica trasmesse alla televisione con occhio più attento rispetto al passato. Anche le discipline apparentemente meno seguite e conosciute mi incuriosiscono e mi stimolano.

La partenza avviene come sempre verso le quattro di mattina.
Dopo nove ore ed un paio di soste poco prima delle tredici siamo a Budapest. Un po' di riposo - è pur sempre domenica! - poi ci incamminiamo per una lunga passeggiata che da dietro il palazzo reale, a Buda, in collina, attraversando il parco ed un ponte ci conduce in centro, a Pest in Vaci Utca.
Scarpe, calzoncini e maglietta sono in borsa e penso di non servirmene, qui a Budapest. In verità non ho mai visto podisti in giro per la città, ma soltanto allo stadio dell'università, vicino al nostro appartamento e naturalmente sull'isola Margherita, l'enorme parco-isola fluviale, circa due km per cinquecento metri di larghezza, simile al giardino dell'Eden, occupata interamente da piante, fiori ed aiuole di ogni tipo. Il dispendio di calorie dovuto alla lunga camminata sarà vanificato dallo straordinario goulash, (goulash dell'Astoria, amici, il migliore d'Ungheria) e da una mitica chateaubriand al pepe verde che a me, contrariamente alle convinzioni dei veri intenditori, piace molto cotta.
 
L'ambiente dell'Astoria, uno degli hotel più antichi e rinomati di Budapest, è davvero splendido, con saloni in stile impero arredati magnificamente.
Lampadari e stucchi, arazzi e vetrine, tappeti e mobili, danno la sensazione di vivere in un'altra epoca.
Un paio di anni or sono, quando vi sostai per una settimana, una sera di febbraio in cui scendeva una fitta neve mi trovavo seduto vicino ad una finestra nell'elegantissimo salone rileggendo "Il deserto dei Tartari"; osservando attraverso i vetri si potevano scorgere i fiocchi che scendevano copiosi illuminati da una diffusa luce gialla.
Il vento ululava e con moti vorticosi ammassava la bianca coltre anche negli angoli più riparati, dove si rifugiava un individuo protetto da un enorme tabarro dal quale spuntava una canna di fucile…..
 
Canna di fucile?
Strabuzzai gli occhi, incredulo, ma a poca distanza ne avvistai un altro, in piedi dietro ad un pilone con il fucile puntato, e poi un altro e un altro ancora.
Improvvisamente e con gran fracasso, proveniente da via Museum, comparve una carrozza trainata da quattro cavalli che correvano all'impazzata.
Il cocchiere staffilava i poveri quadrupedi con violenza inaudita.
Incrociando per un istante il suo sguardo vidi che gli occhi sprizzavano vampe di puro terrore.
 
Fu un attimo capire il motivo di tale spavento: a breve distanza stava sopraggiungendo un'immensa ed ululante moltitudine di uomini armati di bastoni e rozze lance preceduta da un condottiero baffuto che, con gesto teatrale, esibiva a braccia levate una gran spada.
“Ma è Lajos Kossuth!” esclamai sbigottito.
Giunto a poche decine di metri dalla finestra si fermò e, rivolto verso di me, disse: “Eccolo!” Cominciò ad avanzare a gran velocità e la turba lo seguiva assatanata.
Si avvicinò sempre più fino a raggiungermi, alzò la spada e……toc!  fece il libro che dalle mani era scivolato sul petto e poi sul pavimento, dopo essermi assopito.
 
La mattina successiva, prestissimo, partiamo per la Romania.
Destinazione Zalau, città situata nei piccoli Carpazi che raggiungiamo in poche ore. Si lavora tutto il giorno e nel tardo pomeriggio approdiamo al residence-hotel dove alloggeremo.
Mi assegnano l'appartamento centouno che, verrò a sapere più tardi, era sempre utilizzato dal "conducator" Ceausescu quando soggiornava in questa città. Sua moglie, invece, era sistemata nell'appartamento centodue.
Confesso che durante la notte più volte mi sveglierò di soprassalto, provando sensazioni strane e sgradevoli. Potenza della suggestione, immagino, oppure certe presenze incidono anche sulle cose lasciando traccia del proprio passaggio in modo indelebile?
 
Prima di cena, disfatta la valigia, indosso finalmente scarpe, calzoncini e maglietta.
Ci dirigiamo in macchina verso una vicina pineta e, misurato il percorso di circa un chilometro e mezzo, quasi tutto in salita, cominciamo infine a correre. C'è ombra e si trotta con piacere.
Scorrazziamo felici, Vittorio, suo figlio Marco ed io, sembra di vedere scorie e tossine di qualche chilo che abbandonano il nostro corpo, dietro di noi. Prolungo un po' il percorso, oltrepasso una curva e resto a bocca aperta.
Davanti a me si scorge un'immensa pianura che si estende a vista d'occhio, fino all'estremo orizzonte visibile. Alla fine cinquanta minuti di buona lena per sette chilometri percorsi. Gran sudata, gran fatica, ma che soddisfazione!
 
Il giorno seguente ci trasferiamo a Deva, nel cuore della Transilvania.
A pochi chilometri c'è il castello di Hunedoara, casa natale di Matthia Corvinus, re ungherese, al quale è intitolata anche la splendida chiesa di Matthia, sui bastioni di Buda.
Il castello è incantevole, anche se conservato in modo inadeguato. I pochi visitatori, poi, dopo averne apprezzato la bellezza e commentato l'immancabile riferimento alla somiglianza con i vari castelli riprodotti nei film di Dracula (il quale, proprio da queste parti quando si recava alla locanda non faceva ridere più nessuno con la vecchia battuta rivolta all'oste al momento dell'ordinazione: “Buon sangue, non mente!”), non possono celare lo stupore provocato dalla presenza, a pochi metri, delle recinzioni di un’acciaieria lunga sei o sette chilometri e larga quattro che occupa più di diecimila operai.
 
Correre nella città di Deva è praticamente impossibile.
Quando ti accingi ad aumentare l'andatura iniziando la corsa vera e propria, cominciano a venirti dietro cani di ogni tipo, due, tre quattro, a volte anche otto o dieci.
Sono rimasto allibito nel verificare di persona l'esistenza in Romania di vere e proprie "bande" di cani randagi che scorrazzano per le città.
A Bucarest ne esistono alcune composte addirittura da venti e più cani e fa davvero impressione vederli vagabondare senza meta.
Ad un certo punto smetto di correre dalla disperazione.
 
Devo aprire una parentesi su “cani e podismo”.
Nelle mie uscite sul percorso classico ormai ho le mie "fisse".
Si comincia con due cani pastori che normalmente non mi degnano di uno sguardo per poi procedere verso il territorio di un affarino la cui grinta e "cattiveria" è inversamente proporzionale alla sua mole.
Mi sente a duecento metri e comincia ad abbaiare come un ossesso, fortunatamente bloccato da un robusto cancello.
 
Una volta in cui ritornavo da un lungo, verso le sette di una mattina estiva, me lo ritrovai inaspettatamente in mezzo alla strada.
Rallentai e passai pian pianino al largo.
Non mi aggredì, ma sentii su di me il suo sguardo, come se dicesse: “Per stavolta la passi liscia, ma che non succeda più!”
Appena lasciato il paese ci si imbatte in un appezzamento recintato in cui sono rinchiusi quattro o cinque cani di un cacciatore.
Buoni "figlioli", qualche latrato, un abbaiare che pare un saluto. Vivo in una terra di cacciatori, che si tramandano la passione da generazioni, ma la caccia è uno sport (sport?) che non pratico.
 
Proseguendo sulla riva del fiume si incontra un pastore bergamasco (nel senso di razza canina) che accudisce alle sue pecore; quando scorgo la macchina del padrone posso star sicuro che nel momento in cui transiterò davanti all'inferriata comincerà una scena da premio Oscar.
Il pastore (cane) scatta verso di me con la bava alla bocca; sbraita e si spolmona come uno spiritato, ringhia e digrigna i denti…. fa il suo lavoro, insomma.
Allora il pastore (Dino) esce dal casolare e scambiamo le solite battute. Ricordo i primi tempi in cui mi vedeva transitare a tutte le ore e con ogni condizione climatica; non mi rivolgeva la parola, allora, ma soltanto sguardi di compatimento. Quando invece Dino non è presente la "belva" se ne guarda bene prima di uscire dalla cuccia, specie se piove e fa freddo.
 
Poco prima della fontana di Clibbio, invece, a custodia di una villetta stazionano tre cagnolini che messi insieme peseranno cinque o sei chili, ma abbaiano in continuazione, specialmente dopo che la recinzione è stata alzata di un buon metro.
Poco dopo il minuscolo cimitero due enormi cani neri fanno la guardia ad una piccola azienda. Dopo le prime volte in cui mi spaventarono sul serio con loro ho fatto un patto: io correrò tranquillo e volgerò lo sguardo nella direzione opposta. Che abbia acquisito le virtù di San Francesco, leggendone i "Fioretti"? Fatto si è che solo in rarissime occasioni transitando davanti a loro, in futuro, abbaieranno. Non un ringhiare, comunque, ma poco più di un guaito, quasi a voler ricordare il "patto".
 
Per chiudere la parentesi canina racconto l'ultima "chicca".
Nel periodo in cui erano aperte le iscrizioni per il censimento canino, sul portone d'accesso del municipio in cui risiedo, salito uno scalone, per qualche giorno rimase esposto al pubblico un cartello su cui era scritto: "DENUNCIA CANI - Primo piano - Giovedì mattina".
Forse che per denunciare "bastardi" e "figli di buona donna" ci si doveva rivolgere al secondo piano, lunedì e mercoledì pomeriggio?
 
L'indomani si riprende la strada per Budapest per poi ritornare il giorno successivo a casa.
Nelle due successive settimane percorrerò ancora due lunghi di diciotto chilometri ad un buon ritmo, ed altri quattro allenamenti per un totale di un'ottantina di chilometri, prima di partire per il mare a metà luglio, quando finalmente mi godrò un po' di riposo con la famiglia, pur senza rinunciare a qualche corsetta magari al sorgere del sole perché l'avventura verso New York deve continuare!
 
 
Tratto dal volume: “Tapascio Bombatus e altre storie” – Ed. Liberedizioni – 2008


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