01 Aprile 2019, 15.05
Villanuova s/C
Genitori in Formazione

Intervista ad Alberto Pellai

di Giuseppe Maiolo

Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta, questo lunedì sera alle ore 20,30 presso la Sala del Consiglio comunale, per il ciclo Genitori in Formazione, affronterà il tema scottante della preadolescenza, epoca complessa e difficile sia per i figli che per i genitori. Gli abbiamo chiesto di anticiparci il suo intervento


Dottor Pellai, dove sta di casa oggi l’adolescenza?

In particolare la preadolescenza, che è un’età poco pensata e appesa tra la seconda infanzia e l’adolescenza, è molto accelerata e precocizzata, in più spostata dal mondo reale a quello virtuale. Sul piano educativo è una sfida che gli adulti devono giocarsi perché tra i 10 e i 15 anni è necessario prestare attenzione alle specifiche esigenze dei preadolescenti.  Ma proprio in questa fase vediamo sempre più spesso i genitori disorientati e che chiedono aiuto…

Ma perché arriva lo Tsunami, come lo chiami tu e Barbara Tamborini che siete autori del libro  L’età dello Tsunami.  Ce lo puoi descrivere questo tornado della preadolescenza?

Lo tsunami è l’immagine del caos che c’è nella mente dell’adolescente. Le neuroscienze hanno messo in evidenza la forte sfasatura esistente tra l’accelerazione del cervello emotivo e la relativa immaturità del cervello cognitivo. È come se in questa fase della vita il ragazzo vivesse più la zona limbica che è la struttura cerebrale dove hanno sede le emozioni e fosse più rallentato nei suoi processi cognitivi. Ciò richiede all’adulto di fare la funzione del lobo frontale del proprio figlio, cioè essere l’area di controllo che al preadolescente manca in gran parte perché ancora poco sviluppata.

Le neuroscienze ce lo hanno chiarito, non è vero?

Sì perché ci hanno fotografato il cervello e la sua evoluzione. È un aspetto che condivido sempre con i ragazzi e con i genitori, perché dà la consapevolezza di come funzionano i ragazzi in questo periodo e i genitori possono capire quanto sia importante trovare equilibrio tra il bisogno di proteggere i preadolescenti e la necessità di stimolare l’esplorazione che fa crescere.
Dobbiamo invece riflettere sul fatto che oggi la tendenza a iper-proteggere i figli adolescenti ci ha portato a togliere loro la bicicletta e a dargli lo smartphone con il quale si fanno molto più male.

Secondo te, cosa c’è ancora di importante che gli adulti devono sapere?
Proprio perché il funzionamento mentale del cervello del preadolescente è particolare in questo periodo, devono sapere che è importante definire il limite e la linea di confine alle azioni. E questo spetta al genitore, non al ragazzo. Inoltre è altrettanto necessario riconoscere che le esplosioni di rabbia del genitore non fanno altro che complicare la relazione. Dal momento che il cervello dell’adolescente è molto esplosivo, il comportamento dell’adulto, viceversa, deve essere molto più regolato, perché è questa funzione che va allenata.
Poi c’è il tema del sonno che è importantissimo. Molte ricerche ci dicono che i preadolescenti e gli adolescenti stanno perdendo un sacco di ore di sonno, quando invece la regolarità del dormire è proprio un elemento di stabilizzazione che serve alla maturazione delle reti cognitive.
Infine direi che una grande attenzione da parte dei genitori va posta ai rischi per le dipendenze psicotrope. In questa particolare fase della vita c’è molta fragilità e i preadolescenti sono parecchio esposti a questo genere di pericolo.

Adolescenti e genitori: chi fatica di più in questo periodo?
Faticano entrambi. Le sfide evolutive sono identiche al passato, ma la complessità in cui  ora si vive rendono parecchio più problematica la crescita sana del preadolescente e il ruolo di sostegno del genitore. La cosa faticosa per gli adulti è generare una mente adulta comune. Di fronte a tutte queste sfide in contesti di vita così complessi, purtroppo gli adulti non hanno le idee chiare. In questo genere di caos manca una struttura che sostiene la crescita e quella cornice in cui una volta il preadolescente sapeva qual era la norma e cosa voleva dire trasgressione. Questo permetteva di trasgredire senza normalizzare ciò che normale non era.

Il vostro libro ha un sottotitolo interessante “Come sopravvivere a un figlio preadolescente”. Di questo ne parlerai stasera. Ma ci dici in estrema sintesi cosa fare?
Direi prima di tutto agli adulti di fare gli adulti nella vita dei loro figli. Poi ricordarsi che amare un figlio non vuol dire che tutte quelle cose che fanno stare bene, facciano poi davvero bene. La distinzione tra “mi far star bene” e “non mi fa bene” il ragazzo non la sa fare ma l’adulto sì e la deve fare. Su questo va costruito il progetto educativo. 



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