17 Novembre 2014, 08.00
Valsabbia Provincia
Terza pagina

«Se il terrore della pronta giustizia non lo frenasse...»

di Giancarlo Marchesi

Com'erano i valsabbini due secoli fa? Interessante è il resoconto del letterato Cesare Arici, che riprese informazioni fornite da Teodoro Somenzani, che guidava la prefettura di Brescia


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I governi che nel corso dell'età napoleonica ressero le sorti dell'Italia Settentrionale mostrarono particolare attenzione nei confronti della scienza statistica.
Durante i primi anni dell'Ottocento, furono infatti raccolte numerose informazioni sulle condizioni della popolazione, dell'attività agricola e, più in generale dell'economia dei diversi dipartimenti nazionali, come allora erano chiamate le attuali province.

Le inchieste statistiche promosse in quella fase non si occuparono, tuttavia, solo di argomenti di carattere strettamente economico.
Nel 1811, ad esempio, il direttore generale della Pubblica Istruzione del Regno italico, Giovanni Scopoli, si fece promotore di un'indagine volta a raccogliere informazioni sulle tradizioni, gli usi, e i costumi dei diversi dipartimenti del Regno.

L’inchiesta Scopoli è la più organica e importante inchiesta dal punto di vista del folklore e delle risultanze.
Promossa simultaneamente, e con precisi criteri metodologici, in quasi tutti i 24 dipartimenti del regno d’Italia, l’inchiesta  era di natura esclusivamente demologica (aspirava a delineare la vita tradizionale delle classi rurali).

Nel maggio di quell'anno, tramite gli uffici di prefettura, Giovanni Scopoli invita i docenti di materie letterarie dei Licei dipartimentali a collaborare all'iniziativa.
L'alto funzionario riteneva infatti che gli insegnanti di eloquenza e di lingua italiana fossero le persone più adatte a fornire alla direzione generale della Pubblica Istruzione le notizie richieste.

Per il dipartimento del Mella, come era chiamata a quel tempo la provincia di Brescia, l'indagine è affidata a Cesare Arici, professore di eloquenza nel Liceo cittadino e letterato affermato non solo nell'ambiente culturale bresciano.
Per stilare la relazione Cesare Arici si avvale delle informazioni fornite da Teodoro Somenzari, che in quella fase guida la prefettura di Brescia.

Nel dicembre del 1811, Arici presenta alle locali autorità governative una relazione di quattordici cartelle.
In quel manoscritto il letterato bresciano stila una sintetica rassegna dei costumi e dei dialetti che caratterizzano gli abitanti delle diverse sezioni territoriali in cui si articola nel primo decennio dell’ottocento il dipartimento del Mella.

A più di due secoli dalla stesura, l'indagine sulle tradizioni popolari promossa da Giovanni Scopoli rimane una testimonianza di sicuro interesse per l'area delle valli, anche se in alcuni passaggi Arici non manca di riprende alcuni lugori luoghi comuni sugli abitanti della montagna bresciana.
Nuoce poi all’autore una certa capacità di osservare con distacco il gruppo o il fatto sociale, senza assumere atteggiamenti di pedanteria alle manifestazioni che gli sembrano risibili o condannabili.

Di seguito, presentiamo alcuni passi della relazione che riguardano più da vicino la Valle Sabbia, ai quali non è stata apportata alcuna variazione né alla morfologia né al lessico originali.

DEGLI ABITANTI DELLE MONTAGNE IN GENERALE

«Le tre Valli che formano la parte montuosa del Dipartimento, per la inclemenza del suolo pressoché sterile, parrebbero dovessero essere deserte di abitatori, ma la natura avendovi abbondato di vene metallifere, ve li intrattiene e da tempo immemorabile l'industria vi fece prosperare il commercio e la popolazione.

Sebbene questi abitatori sieno collegati colla città per immediata relazione, traendone viveri e denaro, formano pei loro usi quasi un popolo a parte, lo che deriva forse dal non possedervi alcuno de' cittadini e perché nessuno va nelle valli, se non per una dotta curiosità o per viste di commercio.
Il carattere in generale di quegli abitanti è franco e leale.

Amantissimi sono della famiglia e del loro paese, da cui né per commessi delitti né per forza di povertà patiscono allontanarsi.
Con forastieri ospitalissimi, feroci senza fine nel vendicarsi, rozzi ed impacciati nel conversare, curiosi, economici, avvezzi al poco, religiosi confidentemente, poco parlanti ma spesso arguti e della opinion loro tenacissimi».

DELLA VAL SABBIA

«Nella Val Sabbia, la più povera di prodotti e di abitanti, invano si cercarebbe l'urbana ufficialità della Val Camonica e la franchezza della val Trompia.
Questo popolo costretto a vivere di caccia e de' lavori secondari della miniera, non à mai saputo rassegnarsi in pace al proprio stato e godervi il frutto de' suoi sudori e verifica in se stesso la sentenza di Rousseau "che l'uomo veramente miserabile è duro e superbo", geloso guardatore de' propri usi e de' privilegi (che per blandirlo il debole Governo Veneto a lui concedeva) mal soffre ogni genere di cambiamento e il forestiere vi è guardato con ira e sospetti.

Se il terrore della pronta giustizia non lo frenasse, continui sarebbero come negli andati tempi gli omicidi a sangue freddo; ne' quai tempi gli odi in certo modo passavano in eredità di padre in figlio e le famiglie si vestivano in lutto pei loro uccisi e come i Germani di Tacito si annodavano certi lacciuoli ed anelli che non scioglievano fino a che si fosse vendicati.

Avendo quasi tutta la Val Sabbia nel [17]97 portate le armi contro la città, fu anche dai cittadini punita, che vi si recarono portandovi l'incendio e la morte.
E si veggono ancora paesi arsi e case mezzo distrutte, e finestre e porte forate da le palle, monumenti della guerra civile. Le quali cose tuttavia nel medesimo stato si mantengono per certa fiera ricordanza e desiderio di vendetta.

Uno smisurato coraggio caratterizza quegli abitanti; le loro credenze in fatto di religione notano la ferità de' costumi e dell'animo loro.
Se in alcun sito viene ucciso un viandante gli si erge una croce e nella notte è pericoloso lo andarvi perché lo spirito dell'ucciso con paure e miracolose apparizioni spaventa il passeggere.

Si ascoltano nella notte per le montagne deserte i corni da caccia e l'abbaiare de' veltri de' cacciatori morti e si guardano i bambini dal fascino di certe incognite donne che li assaltano e spegnono in culla.
Mercé le molte educate famiglie che vi possedono, e la pubblica istruzione che vi si dirama, quel popolo comincia ad arrendersi a costumanze migliori.

Il dialetto è simile a quello de' Triumplini, ma più gutturale n'è la pronuncia.

S'inflette la consonante c come se fosse ts; il vestirsi è colto, libero il portamento, disinvolto il prodursi e grave il parlare».

Giancarlo Marchesi

.in foto: un ritratto di Cesare Arici





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