11 Aprile 2016, 07.05
Valsabbia Provincia
Pagine di storia

Mario e Ferruccio Sorlini

di Guido Assoni

I più fascisti dei fascisti, i più accaniti persecutori degli oppositori del regime. Giallo sulla morte di Ferruccio


Nella “Black list” dei più eversivi protagonisti del fascismo bresciano che si sono contrapposti al cammino della democrazia, non possiamo non annoverare i fratelli Mario e Ferruccio Sorlini.
Entrambi bellicosi squadristi della prima ora (periodo 1920/1924), Ferruccio una delle figure più infauste anche e soprattutto nei venti mesi della guerra di liberazione.

Discendenti di una agiata famiglia di negozianti, proprietari di due filande, una attiva in città e l’altra ubicata nel Comune di San Vigilio, acquistata dai nobili Montini di Concesio.
Quest’ultimo stabilimento aveva una importante succursale costituita da un filatoio con quattro fornelli nella frazione Cailina di Villa Cogozzo.

La società “Sorlini Vincenzo e figli” con sede in Brescia, costituita dal nonno Vincenzo (1834-1906), dal padre Achille (1871-1942) e dagli zii, fratelli del padre, Pietro (1863-1952) e Antonio (1872-1943) raggiunse la sua massima espansione nei primi anni del 1900.
La crisi economica conseguente alla prima Guerra Mondiale si abbatte sulla famiglia costringendola a cedere l’opificio di San Vigilio.
Con caparbietà Pietro Sorlini nel 1923 riuscirà a prendere in affitto la filanda che dava occupazione a 248 dipendenti e a ridiventarne poi proprietario nel 1926.
La grave crisi del mercato della seta del 1927 costringerà poi Pietro Sorlini a cedere definitivamente l’attività tessile.

Facciamo però un passo indietro e portiamoci all’indomani della fine della Prima Guerra Mondiale, esattamente nel 1919.
La convinzione che l’uscita dalla crisi economica fosse una questione prettamente politica, la concomitanza della costituzione dei primi fasci di combattimento mussoliniani, la loro innata predisposizione alla violenza senza quartiere, il fatto stesso di non avere rispetto e paura di nessuno, hanno avuto indubbiamente un peso predominante nella scelta politica dei fratelli Mario e Ferruccio Sorlini, fautori di quella che si può, a ben ragione, considerare come la prima guerra civile del fascismo contro le organizzazioni socialiste.

Queste, soprattutto nelle campagne bresciane e cremonesi, avevano raggiunto una notevole risonanza con le leghe contadine che chiedevano un trattamento di vita nei campi più umano e civile, mentre i cattolici e la sinistra zanardelliana si mantenevano su posizioni interlocutorie.
Intanto, nel 1920, a Brescia, con l’appoggio degli interessi capitalistici, si cominciano ad organizzare le squadre d’azione del Caffè Maffio.
Le loro denominazioni non lasciano spazio a fraintendimenti:
la “Disperata” con a capo Clemente Dugnani;
la “Lupi” comandata da Pier Alfonso Vecchia;
la “Me ne frego” guidata da Tullio Gusmeri;

Mario Sorlini, nato a Brescia l’11/03/1899 entra, nel 1920, a far parte della squadraccia la “Disperata”, contraddistinta dal teschio bianco sulla camicia nera, della quale assumerà il comando nel giugno dell’anno successivo.
A capo di questo assemblamento terroristico, nella notte del 10/01/1923, operò la devastazione dei circoli cooperativi di Gardone Val Trompia, Inzino, Ponte Zanano e Zanano, la distruzione dei circoli socialisti di Sarezzo e di Valle Cogozzo, lo scempio delle abitazioni degli oppositori del regime per concludersi con la brutale aggressione che costò la vita a Virgilio Salvinelli, consigliere comunale di Sarezzo.

Molteplici altre azioni criminose sono addebitate dalla banda di Mario Sorlini, come la devastazione e l’incendio della sede del circolo socialista e della redazione del settimanale socialista “Brescia Nuova” di Fiumicello, le spedizioni punitive in quel di Ghedi contro la Camera del Lavoro, a Brescia contro la Camera confederale del lavoro socialista di via Grazie, altre ancora a Gambara, Gottolengo, Isorella e Calvisano.
A Corzano viene incendiato il Circolo dei popolari, a Trento viene occupata la sede della Giunta Provinciale.
A Castenedolo gli squadristi dispensano manganellate a tutti gli elementi sospetti fino a causare la morte di un giovane socialista, Giovanni Simoncelli.

Mario Sorlini fonderà nel 1922 una nuova squadra d’azione fascista, tutta sua, denominata “Il ribelle”.
Mentre è in corso la Marcia su Roma, vengono mobilitati tutti gli squadristi della provincia di Brescia.
Viene attaccata la Casa del Popolo di via Marsala.
In via Tosio saranno le Associazioni cattoliche e del quotidiano “Il Cittadino di Brescia” a essere occupate militarmente dalle camice nere.

Nell’aprile 1924 a subire le violenze sarà la volta dell’On. Domenico Viotto, Segretario della Camera del Lavoro di Brescia e unico socialista risultato eletto nelle elezioni del 06 aprile svoltesi in un clima di intimidazione e brogli.
La lista sarebbe ancora lunga.

Seppur la propaganda del regime fosse abile a sminuire le dirette responsabilità obnubilata da mal interpretato spirito patriottico, Mario Sorlini finisce anche in carcere dove subirà un tracollo psicofisico culminato con l’insorgere della tubercolosi polmonare.
La morte porrà fine alla sua tenebrosa giovinezza a soli 27 anni il 19/01/1927, presso il sanatorio di Collio Val Trompia.

Mario Sorlini aveva due fratelli più giovani, Guido, del quale non si conoscono attività di squadrismo, nato il 14/05/1901 e morto anch’egli poco più che ventenne per malattia e Ferruccio nato a Brescia il 25 aprile (il segno del destino) del 1903.
Questi fece il suo apprendistato di violenza nella “Disperata” agli albori del fascismo bresciano e, con il fratello Mario, partecipò a diverse spedizioni punitive, assalti e pestaggi a sangue.

Per la sua efferatezza, la sua sfegatata indole criminale senza legge ne’ fede, nel periodo che va dalla completa occupazione di Brescia da parte delle truppe naziste (12 settembre 1943) al giorno della liberazione, si fregiò dell’inquietante appellativo di “iena di Brescia” peraltro già conferito al generale austriaco Haynau in occasione della feroce repressione delle X Giornate di Brescia costato la vita ad un migliaio di cittadini nel lontano 1848.

Superò di gran lunga il fratello in attività di malversazione.
A capo di una banda di repressione antipartigiana che portava il suo nome, si segnalò per la spietata caccia agli ebrei ed ai partigiani e per azioni di rappresaglia contro inermi popolazioni che raggiuse il suo apice con la strage di Bovegno dove si macchiò di orrendi crimini.
Tanto era il terrore che scatenò in tutto il Bresciano che entrò in contrasto con le gerarchie fasciste più prudenti e  responsabili.
Più volte defenestrato, usciva da una porta e rientrava immediatamente dall’altra grazie alla collaborazione con gli alti gradi delle SS tedesche in special modo con il capitano Priebke.

Dopo aver combattuto nella guerra civile di Spagna ed aver sottoscritto il manifesto degli scienziati razzisti che diede origine alle leggi razziali fasciste, contribuirà, nei giorni dell’invasione germanica, a riconfigurare il partito in modo impetuoso sul modello nazista aprendo di fatto la via del ritorno del fascismo squadrista di Brescia.
A differenza del fratello Mario, seppur già comandante estremista di una squadra fascista con finalità pseudo rivoluzionarie, Ferruccio Sorlini si pone invece al servizio dell’oppressore tedesco contro la rigenerativa rivolta resistenziale.

L’esercizio della violenza quasi sempre omicidiaria, sia contro i ribelli che contro la popolazione inerme, la pratica della delazione, della corruzione e dell’estorsione, le torture, le imboscate, i rastrellamenti, gli incendi di interi nuclei abitati, le fucilazioni e le deportazioni non sono considerati reati alla persona.
Tutto rientra nella legittimità, tutto è pienamente giustificato e assolutamente impunito.
Viene concessa a questa banda di scellerati la libertà d’azione, prerogativa della squadra politica, diretta dal questore Candrilli e dal suo vice Quartararo.
Impossibile elencare in un semplice articolo tutti i crimini commessi e commissionati da questo individuo senza scrupoli nei venti mesi della Resistenza bresciana.

Dopo il 25 aprile 1945, data della liberazione e del suo quarantaduesimo compleanno, Ferruccio Sorlini riuscì a far perdere le sue tracce.
Questo grazie alla collaborazione del segretario e dell’applicata del Comune di Villa Carcina che gli procurarono una carta d’identità falsa a nome di Burlotti Francesco.
Ricordiamo che la giovanissima impiegata comunale era figlia di Tullio Gusmeri, già squadrista della “Me ne frego”.

Il 25 luglio 1945, esattamente tre mesi dopo la fine della guerra, mentre gironzolava per Pavia vestito da manovale, Ferruccio Sorlini venne riconosciuto da un antifascista comunista di Gottolengo il quale allertò due Carabinieri.
Dal momento che le forze dell’ordine non vollero tenere in considerazione la segnalazione, indugiando oltre misura, espose il caso a due partigiani i quali provvidero all’arresto mantinente del pluriricercato che nel frattempo era entrato in una sala cinematografica.

Il più fascista dei fascisti, il più fervente collaboratore dei nazisti, il più feroce persecutore degli oppositori del regime, il più sanguinario aguzzino dei prigionieri politici venne così tradotto a Brescia per rispondere, davanti alla Corte d’Assise straordinaria, di una serie impressionante di capi d’accusa.
Il 27 luglio, una folla strabocchevole stazionava davanti alla sede deputata per il processo, tanto che si dovettero installare degli altoparlanti nell’attiguo cortile per consentire ai parenti delle vittime di seguire le varie fasi del dibattimento.

Il giorno successivo, il 28 luglio 1945, alle ore 16.45 avvenne il fattaccio che lascia ancor oggi, a distanza di oltre settant’anni ancora molti punti oscuri.
Un carabiniere di guardia alla gabbia dell’imputato, sparò una raffica di mitraglia in direzione del Sorlini, uccidendolo all’istante.

Il “Giornale di Brescia” edizione del 29/07/1945 darà ampio risalto al tragico avvenimento: “Il carabiniere, un certo Giuseppe Barattieri, di anni 32, milanese, di corporatura erculea, aveva comandato, in provincia di Brescia, nella guerra di liberazione, un raggruppamento di partigiani, col grado di tenente delle “Fiamme verdi”. Due taglie pesarono sul suo capo, una di 100 e l’altra di 500 mila lire bandite dallo stesso Sorlini che lo braccava ferocemente”.
Nei molteplici testi sulla Resistenza bresciana  che ho avuto modo di consultare finora, non ho trovato traccia di questo Giuseppe Barattieri, presunto patriota.

Lo storico e grande ricercatore, Lodovico Galli, afferma che il Sorlini probabilmente fu vittima di un complotto nel senso che “venne fatto tacere per sempre, in quanto sarebbe stato a conoscenza di molte oscure vicende ed avrebbe in tal modo coinvolto anche altri protagonisti di quei drammatici mesi di “guerra civile”.

L’articolo del Giornale di Brescia continua: “Qualcuno afferma che il carabiniere e l’imputato, prima della tragedia, si siano scambiate alcune frasi sottovoce. Quali? E’ facile pensare che sia stata rievocata la lotta a morte fra i due. Una estrema provocazione, arroventata dall’atmosfera eccitatissima del processo, offuscò la coscienza del carabiniere?”.

E se invece si trattasse dell’ultimo omicidio commissionato dal Sorlini contro se stesso? Teniamo presente che nei giorni immediatamente dopo l’arresto, il centurione della milizia fascista tentò per due volte il suicidio, sebbene sorvegliato a vista.
Il fatto che “si siano scambiate alcune frasi sottovoce” potrebbe far pensare che il Barattieri fosse un infiltrato del regime e la notizia delle taglie poste sul suo capo derivasse da qualche dispaccio fascista, andato perduto, al fine di celare l’eventuale doppio gioco del Barattieri.

Sono tutte ipotesi, alcune abbastanza fantasiose che probabilmente non avranno più risposta perché l’orologio del tempo batte le ore in modo implacabile.

Guido Assoni

.in foto: le insegne della squadriglia; manifesto delle elezioni del '21; Mario Sorlini





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