28 Novembre 2007, 00.00
Valsabbia - C
Servizi ai disabili 3

Piu servizi ai disabili, senza far tanti conti

Da una lettera di Cesare Trebeschi inviata al Giornale di Brescia qualche tempo fa, le ragioni che indicano la necessitŕ e l'impellenza di un impegno straordinario, anche finanziario, a favore dei diversamente abili.

Da una lettera di Cesare Trebeschi inviata al Giornale di Brescia qualche tempo fa, le ragioni che indicano la necessitĂ  e l'impellenza di un impegno straordinario, anche finanziario, a favore dei diversamente abili.

Ogni giorno siamo bersagliati da appelli, magari nobilissimi - contro l'effetto serra e contro la droga, alla ricerca di gatti perduti o in difesa di quelli abbandonati, contro lo straripamento dei fiumi o contro quello delle conferenze episcopali - difficile, e comunque inutile filtrarli: alla moda, come al cuore, non si comanda, ed è moda del giorno la caccia all'uomo: nei ricettacoli della politica si sfornano sin d'ora ritratti e conseguenti appelli per le campagne elettorali.
Chi sarĂ  proposto per amministrare cittĂ , province, regioni, chi porterĂ  i sospiri degli elettori e la propria valigetta sui treni per la capitale o sugli aerei per Strasburgo?

Mi pare che la gente non si appassioni al problema, anche per la malacreanza della pioggia che sui manifesti versa lacrime impietose sui sorrisi accattivanti dei candidati. Con pennellate di colore mnemonicamente efficaci, i sillabari di filosofia illustravano un vecchio che uscendo da una botte, con occhi insonnoliti e lanterna ragnatelosa e affumicata si aggirava per la cittĂ  cercando l'uomo; tutto preso da questa ricerca, ad Alessandro Magno disposto ad aiutarlo, si limitava a chiedere di scansarsi, di non fargli ombra.
I nipotini di Diogene si strappano a vicenda l'eredità umbratile, destinano le botti a conservare vino d'annata, non ad abitacolo di filosofi e balordi; dalle caverne sono passati ai palazzi del potere, e non hanno bisogno di lanterne perchè detengono in esclusiva il lume della ragione: che tuttavia non sempre è libero da ragnatele, non da tutte.

Non, per esempio, dalla convinzione che grazie ad una pretesa superioritĂ  culturale la loro parte sia condannata a governare, e che per farlo sia libera dalle regole e dal pudore.
Non dalla tranquilla convinzione che siano sempre gli altri ad avere torto.
Non dal novismo che esclude aprioristicamente tutti gli ex o vetero (democristiani, comunisti, conservatori, ecc).
Non dall'illusione che il successo economico sia frutto e garanzia di divina benedizione.
Non dalla pressante necessita di sedersi su una poltrona purchessia.

E se invece si ritenesse fondata, o quanto meno non si escludesse a priori la saggezza dell'antica maledizione di chi confida in un uomo, e si cercasse e si proponesse l'uomo, senza distintivi, senza livree, sans culottes e sans papier, e magari senza il lume della ragione?
Della storia di Diogene, ricordo purtroppo soltanto la lanterna, non so se e cosa avesse trovato; credo comunque 1'abbia portata con se nella barca di Caronte, invece di lasciarla ai nipotini, che si limitano, come i ricchi sulla carrozza di Kierkegaard, a guardar le livree dei signorsi fino ad un palmo dal loro naso, senza nemmeno accorgersi che al lume delle stelle i poveri camminano davanti a loro.
Questo sommesso appello vorrebbe suggerir loro di scendere dalla loro sgangherata carrozza, se davvero vogliono accompagnare il Paese in una traversata aspra e suggestiva.
Scendano, rinuncino ad inseguire la fata morgana del Pil, e cerchino e pongano l'uomo al centro del programma.

L'uomo, non un uomo qualunque come loro, che se riesce a vincere le elezioni dovrĂ  accontentarsi di essere citato a riga 32 di pagina 27 dell'edizione serale di uno dei 900 quotidiani destinati al macero, ma l'uomo senza talenti, che posto al centro della casa sarĂ  un faro per il viaggio, e non una miserabile lanterna.
Posto al centro cosa vuol dire? Che gli si deve riconoscere pari dignità, indennizzandolo di quanto viene preso o dato ogni giorno a chi si autodefinisce normale e si mantiene tale a spese della collettività. La comunità infatti – e non interessa qui sapere a quale livello istituzionale - offre a tutti i cittadini una serie di onerose opportunità delle quali il disabile non potrà mai godere.
A cominciar dalla nascita: l’arrivo di un bimbo e motivo di gioia e forse di preoccupazione, non di costi per la maternità ospedaliera. Il disabile non avrà la gioia di esser padre o madre, e la comunità non sopporterà per questo alcuna spesa.

Poi la scuola: al disabile, e vero, la comunità offre un insegnante, spesso precario, di sostegno, di cui gli altri non hanno bisogno; ma gli altri possono ottenere a totale carico della comunità diploma, laurea, Erasmus, borse di perfezionamento e specializzazione, collegi universitari, buoni mensa, viaggi d'istruzione, benefits a non finire cui il disabile non può aspirare... con notevole risparmio per la collettività.
Tutti apprezziamo oggi la democrazia, pur conoscendone i costi: il disabile non sarĂ  mai elettore, ne tanto meno eleggibile, eppure quei costi, non certo irrisori, gravano anche su di lui.
Apprezziamo un po' meno l'affannoso corso della giustizia, appesantita com'è dalla chicanerie di delinquenti e contribuenti che confiscano il tempo dei giudici per ritardare e prescrivere i loro debiti: il disabile ne usufruirà soltanto alle calende greche per la nomina di tutori e amministratori di sostegno.

Ma la giustizia deve presidiare più di ogni altro bene i diritti di libertà: è troppo giusto, ed è giusto che la collettività se ne faccia carico, e che possa goderne ogni persona «normale», compresi quei parlamentari che cambiano camicia e moglie ogni tre anni, rubando tempo prezioso alla giustizia, ed offrendo, in compenso, a porporati creduloni la loro appassionata difesa della famiglia monogama.
Sono certo tra i meglio spesi i milioni di euro per palazzi della cultura ed iniziative culturali private, pubbliche, semipubbliche: ma in quale misura ne godono i disabili?
Non credo difficile esemplificare: dal Comune, alla Provincia, alla Regione, allo Stato, se percentualizziamo il costo delle opportunità offerte alla generalità dei cittadini e rispettivamente ai disabili, ad ogni livello la comunità sopporti per i cittadini «normali» costi di gran lunga superiori a quelli per i disabili.

Ecco dunque, affannati nipotini. Lasciate perdere oziose ricerche, mettete quest'uomo al centro dei vostri programmi, della vostra vita. Porlo al centro vuol dire riconoscergli anzitutto pari dignitĂ , riconoscergli quanto meno la sua personale individualitĂ , senza considerarlo sempre onerosa appendice per quella famiglia che se ne prende cura.
Ma porlo al centro significa soprattutto aver capito la preziosa feconditĂ  della sua presenza, anche come metro per distinguere i politici autentici dai quaquaraquĂ .
Non ditemi che questo appello va proposto ad amministratori e politici. Certo, non mancano amministratori seri che non si stancano di rinnovare la battaglia contro maggioranze ottuse e macchine burocratiche insensibili... Ma neanche fossero eunuchi, ci sono politici che ti rispondono: vorrei ma non posso; altri vanno predicando o grulli, chi li fa se li trastulli, ed hanno ragione: questi amministratori li abbiamo cercati con la nostra lanterna affumicata, li eleggiamo noi, ora godiamo i loro trastulli!

Non so se Diogene sia morto senza eredi: se qualcuno sopravvive, ascolti questo appello, provi a spolverare la lanterna e lasci perdere pidocchiosi bilancini sui costo dei servizi usufruiti dai disabili rispetto alle infinite opportunità gratuitamente elargite a tutti gli altri. Perché “altri”, in questa società finiscono per essere soltanto i disabili.

CESARE TREBESCHI


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