24 Giugno 2016, 11.00
Valsabbia
Politica

Conquiste e limiti del civismo politico

di Valerio Corradi

Anche a livello locale, il ricorso a liste civiche dalle diverse sfumature sembra essere diventato un modo di operare diffuso, a volte quasi indispensabile per presentarsi al voto e tentare di intercettare il consenso elettorale


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Secondo il Censis, la quota di liste civiche sul totale delle liste che si presentano alle elezioni nei Comuni capoluogo è salita dal 30% al 65% tra il 2007 e il 2015.

Anche a livello locale, nei comuni piccoli e medi (come confermato dagli stessi municipi valsabbini) il ricorso a liste civiche dalle diverse sfumature (es. indipendenti, collegate a partiti, a-partitiche, di orientamento politico generico) sembra essere diventato un modo di operare diffuso, a volte quasi indispensabile per presentarsi al voto e tentare di intercettare il consenso elettorale.

Nel suo libro “Civismo politico. Percorsi, conquiste, limiti. Un diario” (2015), Stefano Rolando sostiene che le liste civiche si formano per alcune ragioni oggettive, ad esempio:
- in nome di un pragmatismo politico post-ideologico che vuole creare partecipazione per risolvere alcuni concreti problemi di una comunità locale;
- con l’intento di scavalcare i soggetti partitici a cui non si riconosce più la capacità di mediazione politica e soprattutto la legittimità a dettare linee d’azione a livello locale;
- per la necessità di fare sintesi tra soggetti con provenienze politiche diverse alla luce della scomparsa dei vecchi contenitori partitici;
- per l’esigenza strumentale di intercettare consensi politici trasversali soprattutto dell’area del “non voto” e dell’antipolitica, aspetto che genererebbe, in alcuni casi, un “camuffamento” in gruppo civico di soggetti più istituzionali.

Tuttavia, le opinioni sul fenomeno della proliferazione delle liste civiche sono diverse. Da una parte abbiamo alcune posizioni critiche che tendono a sottolineare i limiti di questo strumento di partecipazione e la sua debolezza rispetto alla struttura partitica tradizionale. Ad esempio, Giuseppe De Rita (Presidente del Censis) sostiene che questo crescente “civismo” non sarebbe una forma sostitutiva della politica ma unicamente un modo di organizzare gli interessi a livello locale che risponderebbe all’esigenza di affermazione di gruppi locali.

Come tale il “civismo” sarebbe a rischio di sfociare in forme di particolarismo e di individualismo. Da qui la necessità di ripensare e riscoprire la struttura partitica tradizionale senza rigettarla in toto.

Stefano Rolando ritiene che il civismo politico sia esposto al rischio di condizionamenti da parte di gruppi di pressione e di interesse che utilizzerebbero generici slogan di protesta per affermarsi e nascondere interessi affaristici locali.

Altrettanto autorevoli e diffuse sono comunque anche le posizioni favorevoli al “civismo” in base alle quali le liste civiche sarebbero portatrici di una crescente domanda di partecipazione attiva per il bene comune che non troverebbe più espressione nei canali politici del passato. Parte della società civile non si sentirebbe più in sintonia con una democrazia rappresentativa ormai afflitta da una profonda crisi di credibilità. Lo studioso Matteo Mannelli sostiene che tra gli aspetti positivi delle liste civiche ci sarebbero: l’auto-responsabilizzazione dei comuni cittadini, la grande capacità di movimento a livello locale, l’orizzontalità decisionale, lo stretto legame col territorio e la possibilità di favorire un confronto reale e diretto sui problemi della cittadinanza.

Indubbiamente, la controversia nella lettura del fenomeno “liste civiche” rimane aperta e non pare facilmente risolvibile. Il tempo dirà se davvero il “civismo politico” sarà in grado di cambiare la politica (e la società) arrivando a condizionare lo stesso piano nazionale oppure se sarà destinato a rimanere espressione dei territori e conteso tra rischi e opportunità del livello locale.



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