12 Febbraio 2017, 11.00
Cultura moderna

Dal sapere all'immagine

di Valerio Corradi

La cultura postmoderna è sempre più legata a una concezione “esteriore” e “tecnica” del sapere e dell’apprendimento frutto anche della diffusione di nuove tecnologie. Quali le conseguenze?


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“L’antico principio secondo il quale l’acquisizione del sapere è inscindibile dalla formazione dello spirito, e anche della personalità, cade e cadrà sempre più in disuso”. Così scriveva nel 1979 Jean-Francois Lyotard. 

All’inizio del 2017 possiamo dire che le previsioni dello studioso francese si sono pienamente avverate, infatti abbiamo sempre più a che fare con una concezione “esteriore” e “tecnica” del sapere e dell’apprendimento sempre meno intesi come strumenti di arricchimento e perfezionamento spirituale. Negli ultimi decenni si è assistito ad una “esteriorizzazione del sapere” e all’affermazione di un modello d’istruzione improntato ad una “deliberata superficialità”. Questo fenomeno, che rappresenta indubbiamente uno dei tratti caratteristici della cultura postmoderna, trova in buona parte la sua origine in fenomeni tra loro strettamente intrecciati e tipici degli ultimi decenni come la diffusione di nuove tecnologie, l’aumento degli scambi culturali su scala planetaria, la crisi della scienza e degli schemi politico-religiosi di comprensione generale dell’uomo.

La nuova concezione del sapere è anche il frutto del passaggio da una cultura discorsiva ad una cultura figurale Si pensi, ad esempio, al fatto che negli ultimi anni si è registrato un notevole incremento del consumo di immagini televisive nelle giovani generazioni. Dati come quelli raccolti già a metà degli anni ’90 da Popper e Condry segnalavano questa tendenza informandoci che nella nostra società in media un bambino trascorre più di 27 ore la settimana davanti al video e dunque più di 4 ore al giorno.

Da notare, comunque come questa rilevazione non consideri il tempo dedicato ad altri strumenti tecnologici assimilabili ai media, sempre più diffusi tra la popolazione giovanile di tutte le età come: i videogame portatili, i videogame fissi (es. Play Station), quelli installati sul Personal Computer oltreché il tempo dedicato alla navigazione in Internet. Considerazione che fa oggi notevolmente lievitare la soglia delle 27 ore settimanali.

Non deve stupire allora che in una ricerca condotta in Francia, Ignacio Ramonet rilevi come un bambino arrivato all’età di 12 anni sia già stato esposto a circa 100.000 spot pubblicitari  e che questa esposizione influenzi notevolmente le modalità di percezione della realtà, di apprendimento e di comportamento.

Come sottolinea Giovani Sartori, il linguaggio concettuale (astratto) è stato sostituito da un linguaggio percettivo (concreto) che è infinitamente più povero: più povero non soltanto di parole (nel numero di parole) ma soprattutto di ricchezza di significato, di capacità connotativa.

La conoscenza ha così perso la sua capacità di incidere sull’interiorità, si è fatta esteriore e si è affrancata da qualsiasi funzione pedagogica senza aggiungere nulla a livello qualitativo alle biografie individuali né sul piano della riflessione esistenziale.



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