29 Agosto 2015, 08.00
Immigrazione

Balcani, via dei migranti per l'europa

di EnneEmme

Nel nuovo secolo, come nel vecchio, la storia sembra passare dalla penisola balcanica


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Dall’attentato di Sarajevo del 1914, casus belli della prima guerra mondiale, all’invasione della Jugoslavia da parte dei nazisti, passando per la resistenza e la conseguente affermazione del Titoismo, finendo con le guerre balcaniche degli anni ’90.

Un territorio sempre al centro della cronaca. E dopo guerre di trincea e pulizia etnica, dopo battaglie ideologiche e la cortina di ferro, un altro fenomeno si sta diffondendo: l’ondata migratoria.

A intraprendere viaggi della speranza oggi sono popolazioni medio-orientali che fuggono dalla disperazione, esattamente come gli esodi biblici che hanno caratterizzato la guerra civile jugoslava.

Un ritorno al passato, che le popolazioni locali non vivono più da protagoniste ma da spettatrici. La lezione rimane sempre la stessa, le migrazioni non si fermano davanti a mari in tempesta, a muri divisori, a fili spintati, a cariche della polizia di frontiera.

La storia l’ha dimostrato più volte: la volontà dell’uomo vince sempre. Questi rifugiati (in alcuni casi clandestini) possono essere scoraggiati, respinti, arrestati ma non si arrenderanno.

E se un tempo la via privilegiata era la traversata mediterranea, ora si apre anche il fronte balcanico. Lunghe file di migranti camminano per migliaia di chilometri partendo dalla Turchia, passando per la Grecia e attraversando Macedonia, Serbia, Ungheria per raggiungere le terre promesse del nord (Germania e Svezia in testa).

La stessa disperazione dei sopravvissuti della guerra dei Balcani. Esperienze indelebili scolpite nella memoria dei tanti reduci che fuggiti da quell’inferno ora si sono rifatti una vita anche nel nostro paese. L’Europa, ieri come oggi, è titubante, impreparata e vittima della paura. Così aspettando di aprire portafoglio e cuore, apre camion e stive piene di cadaveri.

Come arrestare l’esodo e gestire i rimpatri di chi non ha diritto all’accoglienza, se non attraverso un dialogo teso a costruire una politica europea di accoglienza e integrazione; oltre che di lavoro, sicurezza e pace nei paesi d’origine?

Fino a che l’Europa sarà più ricca dei paesi circostanti resterà una calamita irresistibile, un'ancora di salvezza per popolazioni vittime di guerre civile e regimi dittatoriali.

Perciò urgono soluzioni comuni che possano trasformare questo fenomeno da emergenza in opportunità, a patto che la migrazione sia governata e non subita in modo passivo dagli stessi stati europei, che in questo momento stanno facendo prevalere la logica dell’ognuno fa per sé.  Ogni paese dovrebbe fare la sua parte, senza barare. E invece ciascuno si arrocca dietro ai propri muri di egoismi diffusi, che prima o poi, senza una politica europea di asilo e immigrazione, rischiano di far saltare il trattato di Schengen. Con la conseguente fine del progetto di allargamento europeo nei Balcani, con Serbia, Albania e Macedonia che ormai attendono da anni.



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