17 Settembre 2017, 10.23
Maestro John

Prendi la luna per me

di John Comini

È sabato. Apro gli occhi e sento che fuori sta piovendo. Piove a dirotto. Mi sono svegliato presto. Ma come, adesso che sono in pensione e posso dormire, mi sveglio alle 6?!


Eh già, sono diventato come tutti i vecchi: si svegliano presto e faticano a stare nel letto.
Faccio colazione, mentre mia moglie dorme come un ghiro, da vera pensionata professionista. Fuori continua a piovere.

“Piove, senti come piove, Madonna come piove
senti come viene giù!...
E pioverà fin quando la terra non sarà di nuovo piena
e prima o poi si rasserena
senti le gocce che battono sul tetto
senti il rumore girandoti nel letto
non eri tu che ormai ti eri rassegnata
e che dicevi che non ti saresti mai più innamorata
la terra a volte va innaffiata con il pianto
ma poi vedrai la pioggia tornerà”


È così bello camminare, e se piove è ancora più bello.
Woody Allen dice “Io l’amo, la pioggia. Lava via le memorie dai marciapiedi della vita.”
Allora prendo il mio ombrellone e faccio il solito giro, Villanuova e poi la strada romana. E intanto penso.

Penso ai “miei” bambini. Opss, non posso chiamarli più bambini, adesso sono “grandoni”, devo chiamarli ragazzi.
Nella mia mente come in un film scorrono i loro visi. Sono tutti belli. Sono tutti sorridenti. Hanno vissuto la prima settimana di scuola.

Avranno portato i loro zaini pieni di quadernoni.
Avranno mostrato ai compagni i loro astucci con decine e decine di meravigliosi colori. Avranno riabbracciato i loro amici, si saranno scambiati i ricordi.

Avranno salutato le maestre, ed anche la nuova insegnante, che è venuta al mio posto
.
Si chiama Bruna, è brava e cordiale. Sono certo che con lei si troveranno strabene. Religione la insegnerà il mio amico maestro Angelo Mora. Sono proprio contento.

Questa settimana le mie ex colleghe saranno state impegnate con gli schemi orari (dove va motoria? e religione? e il giorno libero?) e con la preparazione dei primi giorni, dedicati all’accoglienza.
Ma le maestre sono persone accoglienti di natura, e rendono la classe un ambiente bello e pieno di sorrisi.

Il maestro Franco Lorenzoni nel suo libro “I bambini pensano grande” scrive che “bisogna dare ai ragazzi il tempo di perdere tempo.
La scuola dovrebbe sempre mettere al centro la bellezza, non deve imitare ciò che accade nella società, ma operare per contrasto, in modo critico e concreto.
Se tutti corrono,  ci vuole un luogo dove poter andare lenti.
Se andiamo lenti aumentano le possibilità che arrivino tutti e forse si apre l’opportunità di incontrare davvero profondamente  qualcosa.

Perché per arrivare a osservare i movimenti di una nuvola, ascoltare un racconto, trovare con un gesto il tratto e il colore per una pittura o scrivere parole sincere ed autentiche ci vuole tempo, tanto tempo…
Quanto poco riusciamo ancora a suscitare il gusto e l’entusiasmo per la ricerca, quanto poco diamo ai ragazzi la sensazione  di alimentare la loro istintiva curiosità e l’idea che ciò che scoprono a scuola lo fanno per se stessi…

Il problema è di offrire a tutti i bambini più modi possibili per uscire allo scoperto, per dire di sé con diversi linguaggi, senza mai essere giudicati…
È nell’infanzia che si sperimenta in massimo grado l’essere assorti e persi nei propri pensieri. L’anima è uno scrigno dove si nascondono i segreti e i pensieri.

La scuola deve essere, prima di tutto, un luogo in cui incontrare noi stessi. Un luogo dove ci apriamo, tocchiamo e studiamo il mondo, per poter meglio comprendere quel è il ruolo che possiamo giocare nella vita, insieme agli altri.”


Torno a casa bagnato come un pulcino (come un elefante, diciamo) e faccio la doccia. Adesso non piove più.
“È la pioggia che va, e ritorna il sereno…
Quante volte ci hanno detto sorridendo tristemente
le speranze dei ragazzi sono fumo
sono stanchi di lottare e non credono più a niente
proprio adesso che la meta è qui vicina
Non importa se qualcuno sul cammino della vita
sarà preda dei fantasmi del passato
i denaro ed il potere sono trappole mortali
che per tanto e tanto tempo han funzionato
Ma noi non vogliamo cadere
non possiamo cadere più giù
ma non vedete nel cielo
quelle macchie di azzurro e di blu…
È la pioggia che va, e ritorna il sereno…
(The Rokes)

Questa è stata davvero un’estate pazza, con il caldo incredibile arrivavano continuamente brutte notizie: ghiacciai che si sciolgono, siccità, incendi dei boschi, cattiverie, volgarità, attentati e violenze.
Mi assale spesso un senso di disperazione e una gran voglia di piangere. Penso ai “miei” alunni e vorrei tanto abbracciarli e proteggerli da questo mondo malvagio.
Eppure so che tra mille cose brutte c’è ancora un mare di persone che ogni giorno si comporta in modo onesto ed altruista. Eppure so che non bisogna perdere la speranza. Mai.

E allora mi viene in mente il racconto di Vittorio Zucconi che parla di un episodio di settant’anni fa.
Quando mi sembra, come sembra a tutti noi adesso, che il mondo stia andando all’inferno in carriola, quando ogni giorno l’informazione e Internet ci bombardano, ci sgozzano e ci mitragliano con annunci di Apocalisse prossima ventura, riprendo in mano un rettangolino di carta color avorio, poco poco ingiallito dal tempo, come un amuleto.
È l’annuncio di una nascita e del battesimo di un bambino.

I genitori, Anna e Mino, lo comunicano ai pochi parenti e amici interessati al trascurabile evento, traboccanti di orgoglio e di felicità nei caratteri ornati, dorati e molto kitsch.
Non avrebbe davvero nulla di notevole, quel “santino” come si diceva in passato, se non fosse per la data: 27 agosto 1944.

E il luogo: Bastiglia in provincia di Modena. Nell’agosto del 1944, per i pochissimi che non ricordassero o sapessero nulla della guerra in Italia finita 70 anni or sono (un po’ di ironia, qui) la città nella quale Anna e Mino si erano sposati e avevano messo al mondo un figlio era il Fronte, la prima linea.
Stormi di bombardieri americani scavalcavano indisturbati gli Appennini e martellavano i nodi ferroviari e stradali fra Bologna e Modena, l’ultima via di rifornimento o di fuga verso il nord per i tedeschi ancora aggrappati alle montagne.

Quei due, mi raccontarono, erano andati a sposarsi di corsa in chiesa negli intervalli fra i bombardamenti, come si fa attraversando una strada da un portico all’altro, fra gli scrosci di pioggia.
A pochi chilometri, nelle montagne che sovrastano e spalancano la Bassa emiliana, i tedeschi in ritirata compivano massacri da far vergognare le gang di terroristi in Siria o Iraq.

Marzabotto, un mattatoio, è a un’ora di auto da dove quel santino fu stampato.
Di futuro, di sicurezza, di lavoro, era meglio non occuparsi, anzi, meglio non pensarci proprio.
Anna, maestra di pianoforte, non aveva lavoro essendo non molti gli interessati a studiare solfeggio nei rifugi antiaerei scossi dalle bombe.

Il marito, Mino, insegnava come supplente di Greco e Latino in un liceo privato, senza alcun contratto né garanzie, coprendo in bici ogni giorno 32 chilometri fra la campagna e la città, lungo strade e sentieri pattugliati da caccia inglesi e americani, infestati da repubblichini e militi esasperati dall'odio che li circondava e da partigiani con il dito nervoso sul grilletto dei fucili. 

Qualche volta lui stesso, fresco sposo e padre, trasportava messaggi e armi per i partigiani, sicura promessa di una brutta fine se fermato.
Il futuro era la speranza di non essere ammazzati, mitragliati, rastrellati, torturati, spediti in Germania.
In questa Italia del 1944, non soltanto quei due incoscienti avevano messo al mondo un figlio senza alcuna assistenza sanitaria, ospedali, esami prenatali, ecografia, ostetriche.

In più -e questo è l'oggetto del mio sbalordimento e della mia allegria- avevano sfidato i pericoli e le bombe per cercare una tipografia ancora in funzione tra le rovine, una che potesse stampare santini per annunciare la nascita e il battesimo di un figlio qualsiasi. 
Avevano scelto il cartoncino avorio, i caratteri leziosi, l'immaginetta religiosa sulla copertina, pedalando avanti e indietro per trovare qualcuno disposto a fare il lavoro, con il brontolio lontano dell'artiglieria sulle colline, sicuramente con i soldi di un nonno felice di spenderli.

La loro unione, la nascita del primo figlio, erano state più importanti della paura, della miseria, dell'angoscia di un futuro che poteva essere lungo come la canna dei mitra Schmeisser che i soldati tedeschi impugnavano, accampati nella stessa casa dove Anna aveva partorito, oltre la porta della camera.

Quel bambino, lo avrete capito, ero io.
Anna e Mino i miei genitori che non avevano avuto paura del tempo, delle circostanze, dei tedeschi, dei repubblichini, delle bombe americane.
Forti nella certezza che nella vita non ci sono altre certezze che quelle che si portano dentro di sé, soprattutto nelle ore più terribili, quando sembra che il mondo stia andando all'inferno in carriola.”


I “miei” alunni avranno letto di Kai, nato in Florida durante il passaggio dell’uragano Irma (ma cosa c’entra la dolcissima Irma che viene spesso a trovare mia moglie?).
I suoi giovani genitori hanno dovuto correre all'ospedale dove mancava personale, a causa dell'evacuazione ordinata dalle autorità locali.
La mamma è riuscita a partorire con il cesareo, ed è rimasta per quattro giorni nella struttura battuta dalla pioggia e dai venti dell'uragano.

E' andato tutto bene: il bimbo, Kai, è stato definito dal padre "figlio dell'uragano".
E poi c’è la notizia della cantante e attrice Selena Gomez, 25 anni, la stellina della Disney ed ex di Justin Bieber, che ha ricevuto un trapianto di rene dalla sua migliore e meravigliosa amica. Non sono belle, commoventi notizie?

“Cancellerò il passato per non tornare indietro
mentre riguardo in uno specchio i segni di chi ero
È il tempo del risveglio, risalgo dal profondo
dopo aver fatto a pugni con me stessa credo
e credo nelle lacrime che sciolgono le maschere
credo nella luce delle idee che il vento non può spegnere
Io credo in questa vita, credo in me…
Credo nell'universo nascosto in uno sguardo
nella magia del tempo che scandisce un cambiamento
e resterà il ricordo ma non sarà un tormento
dopo aver fatto un patto col mio ego
E credo in un amore che vince sempre sulle tenebre…
Io credo in questa vita, credo in te…
(Giorgia)

Cerco una foto di quando ero bambino ed indossavo la blusina nera con il numero romano sul petto, per indicare la classe. Ma non ho fotografie di quell’antico periodo. Trovo una foto come maestro, mentre disegno una luna alla lavagna.

L’educazione non sono i mille libri che uno può lasciare o insegnare, ma alla fine di tutto ciò che tu puoi aver insegnato, l’amore è quello che resta e questa è stata anche la lezione di mia mamma. Anche se mi avesse lasciato un milione di euro, molto meglio l’amore. L’eredità non è qualcosa di voluto, ma qualcosa che lasci tutti i giorni: dalla mezza frase che dici al mattino, da un sorriso o un “Ciao” guardando chi incontri negli occhi.
Le mie gioie non sono grandi, ma piccole e quotidiane.

Alla radio trasmettono la canzone di Fabio Concato…
“Prendi la luna per me
portala più vicino
amami come un bambino
questa notte non so cos’è.
Dammi la serenità
dl un tempo che è passato
fammi sentire più amato
stiamo soli io e te.
Amore mio raccontami una storia
una dolce che non ho sentito mai
tienimi più stretto mentre parli
e ml sento così più sicuro di me
mentre inventi un paese che non c’è.
La tenerezza l'ho dimenticata
non c’è il tempo non me ne ricordo più
stringimi più forte e mi confondo
chiudo gli occhi e così mentre parli d'amore
mi addormenterò al ritmo del tuo cuore”


E allora scrivo ai miei ex alunni: credete nei sogni.
E ricordatevi: non sarete mai soli, c’è sempre qualcuno che vi pensa. Lassù nel cielo, anche se la notte è scura, c’è sempre la luna che vi sorride.

“Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni.
” (Eleanor Roosevelt)

Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo

maestro John


Commenti:
ID73578 - 17/09/2017 11:06:00 - (marco70) -

Leggere i racconti del maestro John mi aiuta a riflettere su tante cose, Grazie

ID73581 - 17/09/2017 16:30:49 - (Iva) - BRAVISSIMO

BRAVISSIMO COME AL SOLITO MAESTRO, LEGGO SEMPRE I SUOI RACCONTI E BISOGNEREBBE AVERE TUTTI MAESTRI COME LEI E SAREBBE UNA SCUOLA MIGLIORE. bENETELLI iVA MARA

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