30 Luglio 2015, 15.06
Terza pagina

Discorso sul metodo

di Nicola Zanoni

Il pensiero è un gioco. Un gioco che da soli si gioca. Un gioco in cui, data una mossa, un'altra ne è necessaria a precedere o seguire – e ciò che si persegue solo ingannevolmente è un risultato, ma una trama


Chiunque dica che il pensiero è dialogo, mente.
Anassimandro non dialoga: Anassimandro ordina. Eraclito non discute: folgora. Parmenide condanna e Socrate recita. Perfino Platone non scrive dialoghi, ma monologhi.
Il teatro, la tragedia è invece dialogata: ma l'invenzione del 'dialogo' come genere letterario è uno scacco perpetrato da Platone alla tragedia stessa – e al suo più recondito significato.

Il labirinto è il simbolo del ritorcersi del pensiero in se stesso – ma questo ritorcersi e avvinghiarsi e punirsi da sé del pensiero non è affatto l'esito di una sua esangue stagione di epigoni.
È il destino del pensiero in quanto pensiero, la stessa sua ragion d'essere. Giacché il pensiero è fame, sete, indigenza e continua penuria. Il pensiero è irrequietezza e incessante vibrare.

Pare che un albero di una selva in Tessaglia appartenesse a Demetra, la dea.
E che il sire di quelle terre volesse non solo coglierne i frutti, ma reciderlo fin alle radici, in sfregio ai celesti. Pare che il ferro spezzò l'albero e cadde, e cadendo urlasse, e urlando nero sangue ne sgorgasse, a fiotti schizzando il tessalo principe Erisittone.
E che la dea lo punisse, anche, obbligandolo a fame tremenda, insaziabile. E che infine quel re, divorato belve e rocce e terre e selve e ossa e sabbie e templi e statue di dèi non trovasse altro cibo che le proprie carni – anche questo pare.
Finché soltanto mascelle feroci restarono.

Conoscere significa pensare. Pensare significa fare a pezzi. Fare a pezzi significa sventrare, trinciare, sfregiare, smembrare, mutilare.
Pensare è compiere il sacrificio. Ma sacrificando è necessario che uno macelli e si astenga dal macellato, e altri ne mangi.
Ecco che allora il pensiero, che è empio perché assassino, diventa sacro, perché cibo che sazia. Ma chi sazia e chi è saziato – se non egli stesso? La conoscenza è un frutto proibito.

Così, l'unica, angusta via di fuga consentita al e dal pensiero – questo e nient'altro è un metodo - è la scarnificazione, lo spolpare la carne fino all'osso, il lacerare e il macellare senza posa, con furia sacrilega, ciò che pensiero non è.
E mangiare la carne macellata, nutrirsi della morte di ciò che si uccide, anche: la filosofia è l'istituzionalizzazione della necrofagia. Ma la filosofia come metodo è via di fuga apparente, giacché all'altro capo del filo, fuori dal labirinto, attende da sempre il pensiero stesso – il dio-animale  che si vuol scappare. E allora? 

Inquietante è il pensiero, poiché costringe a pensare se stesso.
Il pensiero è sì fame, sete, indigenza e continua penuria. Ma anche sazietà, ristoro, ricchezza e continua abbondanza. Il pensiero è sì irrequietezza e incessante vibrare. Ma anche calma e stasi assoluta. Non se ne esce, poiché ciò che è altro dal pensiero è pur sempre pensato.
Non si dialoga, poiché non vi sono interlocutori. Non si capisce – si fraintende...

Ciò rende il pensiero un gioco di specchi, una trappola come di ragno, un variopinto rifrangersi di turbinosi colori.
Ma il gioco è puro arbitrio: è  capriccio, sopraffazione. È violenza. Le regole poi decise divengono legge crudele. E la legge condanna e stronca e uccide.
Così il pensiero fugge se stesso: cercandosi. Così esso mediante condanna si assolve. Così costruisce abbattendo – e per gioco soltanto!

Un gioco che soli si gioca. O, solo.




Commenti:
ID59711 - 31/07/2015 05:30:41 - (Dru) - Molto bello anche questo scritto

Ma il gioco dispone il pensiero a credere che vi sia chi gioca e il giocattolo con cui chi gioca gioca, un dialogo, anche se tra enti. È vero, fuori c'è il pensiero, ma fuori e dentro sono due luoghi e nuovamente il pensiero si dispone secondo il diverso modo di pensarli.La coscienza, o presenza, sembra questo dialogo fra enti. Allora che l'ente sia è immediatamente noto, o noto per sé, cioè non è noto per altro. Questa immediatezza è il pensiero, in questo modo il pensiero è solo, direi unico, la singolarità del tutto, ma il pensiero è pensato, la dualità qui esprime la pluralità e il dialogo è serrato, come per i colori la luce. Logos e Phainestai, pensiero e manifestazione del pensiero (o pensato), un dialogo serrato.

ID59720 - 31/07/2015 14:57:45 - (nicolazanoni) - caro Dru

ti ringrazio. Lo scritto intende suggerire l'irrinunciabilità del pensiero e al contempo la sua arbitrarietà, nonché ambiguità. A me pare che il modo greco di impostare il problema sia sovraccarico di enigmaticità (in senso proprio etimologico) e che questa sua enigmaticità si possa far risalire al mito, troppo spesso sbrigativamente liquidato dal pensiero cosiddetto 'illuminato'. E se anche Platone ricorre al mito per esprime le più alte verità, forse i termini della questione vanno quantomeno rivisti, se non proprio invertiti.

ID59726 - 31/07/2015 16:34:57 - (Dru) - Da : "la filosofia dai greci al nostro tempo" di Emanuele Severino esattamente "la filosofia contemporanea pag.10

Proprio nel passo dove stabilisce il nesso tra filosofia e "meraviglia", Aristotele osserva che anche il philomytos (alla lettera "colui che ama il mito", ossia che costruisce i miti e crede e vive in essi) è in qualche modo filosofo, perché anche la costruzione dei miti scaturisce dalla "meraviglia", cioè dal terrore che il divenire della vita produce nell'uomo. Anche il mito, infatti, raccoglie gli eventi del mondo all'interno di una spiegazione unitaria: predispone un'interpretazione stabile dell'universo e attende, preparato da essa, l'irrompere degli eventi, i quali dunque perdono la loro imprevedibilità terrorizzante e si adeguano all'ordine cosmico enunciato dal mito. (N.b.) anche la conoscenza mitica delle cause e degli eventi è un rimedio contro il terrore dell'imprevedibile.

ID59745 - 01/08/2015 14:27:05 - (nicolazanoni) -

Passo ineccepibile quanto pertinente - al solito. La mia impressione non dista affatto da quella di Severino e di Aristotele: il mito è certo una lettura della realtà - come del resto lo sono la filosofia, la religione, la morale e la scienza. Si tratta di capire le 'leggi' che regolano ciascuna di esse. Quello che a me pare però (ma è solo un'impressione appunto) è che non la mitologia sia una forma della filosofia, quanto piuttosto la filosofia una forma della mitologia.

ID59746 - 01/08/2015 17:21:26 - (Dru) -

La mitologia non ha bisogno di essere fondata e dimostrata, si ritiene appagata dalle sue tesi, che rimangono tali sulla conferma data, alle sue asserzioni, dai fenomeni mondani o di concetto. La filosofia per prima pone le basi per una "verità" che non sia "ipotetica" (mentre il mito e la scienza son in questo lo stesso, ipotesi realizzabili sul presupposto della prova). La ragione è della filosofia, che sulle sue affermazioni unitarie di un mondo di fenomeni, risponde epistemicamente e non sul dato. Il dato per filosofia non è dato, data è la fede nel dato. Ora, affermare che la filosofia sia una forma del mito è vero per ciò che concerne l'aspetto temporale, è falso per quello di concetto. Il mito parla di "distruzione" e anche di "creazione" ma lo fa al riparo del concetto più ampio possibile, concetto fondato ontologicamente.

ID59747 - 01/08/2015 17:41:39 - (Dru) - Quando dico che risponde epistemicamente

intendo dire che filosofia instaura un rapporto tra fenomeno e concetto del fenomeno come rapporto di identità, sostenendo che esso, il rapporto, non è rapporto di sola volontà, si che esso possa "divenire"altro. Si tratta di comprendere che ogni fallimento di questo identificarsi non pregiudica affatto "la verità" o "identità", che resta pregiudicato infatti è il concetto del fenomeno come fenomeno del concetto, si che ciò che è dato di questo concetto è la fede in ciò che è dato. Ma la fede appare, quella non è più fede nel dato, la fede è data. Cogito ergo sum.

ID59748 - 01/08/2015 18:05:16 - (Dru) - Quando dico che è la fede ad esser data

faccio filosofia, nessuno scienziato coerente potrebbe mai dire di un dato che è dato, dirà sempre, quello, che un dato è confermato dalla teoria, ma la costante ripetizione di un fenomeno è costante empirica (di fenomeno), non logica (di ragione), che per essere confermata identica alla teoria va continuamente verificata, provata. La filosofia si permette ciò che la scienza non può e lo fa sui principi logici e di ragione. Quando dico che è la fede nel dato ad esser data, intendo proprio distinguere il mito dalla filosofia, perché il mito si ferma alla dimensione interna alla seconda parte di questa affermazione, cioè non ha bisogno di esser fondata, mentre in filosofia questa affermazione non accetta negazione , o meglio, la sua negazione è autonegazione:

ID59749 - 01/08/2015 18:05:40 - (Dru) -

se il dato non fosse la fede nel dato, o non sarebbe nulla o sarebbe l'essere. Se il dato fosse nulla, allora non sarebbe dato, ma sarebbe nulla, mentre se il dato fosse l'essere, allora nulla più avrebbe bisogno di esser detto. ma che il dato è la fede nel dato non significa che allora la fede è la verità, anzi, la fede diventa la verità proprio quando è questa posizione mitica ad esser accettata.

ID59785 - 03/08/2015 12:39:14 - (Iclod) -

'Discorso sul metodo': titolo geniale! Afferra, morde, lacera. Inquieta, immobilizza, mette persino paura. E, neanche a dirlo, costringe a pensare. Serpente che si morde la coda.Mi vengono in mente i monaci zen che si allenano a non pensare. Giocano questo gioco o lo fuggono?

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