Scalfari e Umberto Eco? Il nostro Dru ha da dire la sua anche su Roberto Benigni perchè: «Adopera le parole senza conoscerle nel loro profondo e così facendo le disconosce»
I testi biblici citati lasciano trasparire chiaramente l’intenzione di questo comandamento: ogni settimo giorno gli uomini liberati da Dio devono prendere coscienza della libertà loro donata; devono partecipare al riposo di Dio creatore e rinnovarsi così costantemente nella loro qualità di immagini divine.
La questione disputata è sulla dissonanza di quel "ricordati". Ora, se un Dio deve ricordare all'uomo la festa, significa che l'uomo non è originariamente festivo. E cosa significa appunto festivo? E cosa significa originariamente? Mi piacerebbe, a questo punto, disputare anche il "comandamento" da un punto di vista formale. Perché Dio deve comandare? Perché Dio comanda di non uccidere? A te dodeca, dimmi cosa ne pensi.
Non si ricorda al Sole di far luce, è nell'ordine delle cose, è originariamente luce il Sole.
Se l'amore è odio, allora l'odio è amore. Se l'uomo è originariamente festivo, allora non dovrebbe mai festeggiare. Se non si deve ricordare allora dovrebbe essere già consapevole del proprio vivere sempre in festa. Se amare è uccidere allora uccidere è amare. E se non vogliamo uccidere allora non dobbiamo amare. Non riconosco assolutamente questa figura dell'amore. Spesso si usano le parole nel loro senso comune e non ci vedo nulla di male nel fare questo. Se questo uso fa passare il messaggio all'altro nel modo e nel senso che io voglio, perché dovrei farmi tutti i problemi che Dru mette in questo articolo? Perché mettere sempre il difficile dove c'è il facile? Qual è il gusto di complicare ciò che è semplice? Domande difficili. Così Benigni manda un messaggio correttamente decodificato dall'ascoltatore. Forse non conosce Severino ma sa comunicare lo stesso.
La domanda a cui si deve rispondere è questa: "perché non uccidere se davvero si può uccidere?" Questa domanda è di una profondità che è difficile da cogliere se non si ha frequentati quei luoghi in cui tu ameresti essere, ma da cui oggi e ieri e per sempre ti difendi, capisco che tu vuoi distinguere il piano del senso comune da quello filosofico, perché ancora oggi quello del senso comune a te si confà. Ma il piano filosofico ha da dire a quello del senso comune le ragioni del suo comportamento, e senza le ragioni il comportamento è giusto non sulla base di ragione, ma su quello della capacità di prevalere, ma se poi questo piano soccombe, esso non ha alcuna ragione da esibire alla sua negazione.
In meridione c'era il delitto d'onore. E in alcune sette americane, le tue figlie e ancora oggi, sarebbero alla mercé del sacerdote, tutto questo per amore di qualcosa, magari che tu non ami, ma qualcuno di certo ha amato e ama. Dice Severino che tanto tiri in ballo per declinare il mio pensiero: non è perché siamo qui tutti convinti che siamo in un mondo che allora la filosofia si accontenta di questa convinzione, la filosofia cancella tutti i presupposti, certo non mi sogno nemmeno lontanamente di negare questa convinzione, sono convinto anche io di esser qui, di esser abitatore di questo mondo, ecc... Ma la filosofia ha altro da esibire rispetto alla convinzione, perché siamo? E perché ci diciamo che siamo in questo mondo? Se non si è in grado di rispondere a queste domande certo si può dire che conosciamo, ma è un dire che non ha nulla da esibire a suo suffragio...
amiamoci tutti e tutti siamo belli e bravi è una convinzione a cui ci leghiamo con amore... ma questa è appunto una convinzione, e è una convinzione che non tutti abbiamo, almeno per quelli che non ci amano o non amano che ci amiamo, perché amano differentemente. Mettiamo però che sia la maggioranza ad averne. Ma se domani la maggioranza pensasse il contrario? Non per questo, ma per motivi di ragione filosofia non fa affermazioni, come le convinzioni invece sono, che affermino ciò che la loro negazione può negare.
Siamo perché che non siamo é siamo. A negazione dell'essere, per essere, è.
Perché appare che l'essente è. È l'apparire che "fa" il mondo, l'apparire non è mai semplice apparire, ma l'apparire è l'apparire delle differenze, un mondo quindi, questo. Certo detto così sembra un dogma, ma se volete, a differenza delle convinzioni, che non poggiano che sul nulla, io comincio a spiegarvi e a disporre che la negazione, di quella mia affermazione sopra, è autonegazione.
Qui l'ho spiegato diverse volte e vi sono miei articoli in proposito e adesso, se non siete sordi, avreste dovuto comprenderlo. Ora io mi aspetto delle obiezioni a quanto dico che abbiano fondamento, se invece le obiezioni rimangono sul piano delle convinzioni, vabbbé...
"Se l'amore è odio" mi fa capire che non ha capito nulla. L'amore si oppone all'odio, infatti l'amore unisce ciò che è diviso e l'odio divide ciò che è unito. Ma dove sono lo stesso? Lo stesso sono nel far diventare altro il "ciò", quello, la cosa. Hai capito finalmente?
sta in quel unire quello che è diviso, sta nel credere, per volontà la volontà che ha come fondamento il pensiero che isola, che ciò, cioè il divenire altro della cosa, sia possibile. Ma non mi sembra una cosa che trascenda poi così tanto il senso comune da non esser capita da esso. Forse mi sbaglio, perché vedo che proprio non ti entra in testa.
Dove dissento e' sull'uso delle parole. Dire che l'amore "uccide" e' vero perch vuole che le cose diventino altro da s, per esempio unire cio' che e' diviso. In questo sendo l'amore "uccide" un essente. Sta di fatto che il senso comune della parola "uccidere" non e' quello filosofico inteso da Dru. Che ne dici Dru, usiamo un'altra parola, che so "annulla"?
non è ciò che infine si può fare, uccidere si può, l'uomo è violenza, quindi quando violenta non violenta alcunché che non sia già della violenza e nella violenza il suo contenuto, di ciò che pensa, ciò che si può fare infine non viola altro che quello che si presenta al fare come un debole comandamento, è quindi violenza per quel vincolo che non riesce a stare, ma se il vincolo non riesce a stare il vincolo stesso non è vero vincolo. "La vita è sacra", "La vita è inviolabile", e chi lo dice? che in ogni istante del vivere questa terra queste due affermazioni vengono costantemente e valentemente negate.
È ciò che non si può "fare" e non ciò che si può "fare". La violenza che può fare è potenza. Lo so che questo può disturbare i benpensanti, ma la filosofia non si accontenta di ben pensare.
Tra l'uccidere e l'annullare c'è corrispondenza. Uccidere significa pensare di poter annullare ciò che non è nullo, cioè amare, perché chi annulla ciò che non è nullo odia ciò che non è nullo, ma ama il nullo, quindi divide ciò che è unito all'essere e unisce l'essere al nulla.
Amare nn è Odiare, eppur son lo stesso, anno qualcosa di profondamente comune.
Amare non è Odiare, eppur son lo stesso, hanno qualcosa di profondamente comune, credere di potere sulle cose che si credono in nostro possesso, perché in principio le si credono isolate, questa la vera violenza sulle cose.
Non è difficile la comprensione della filosofia, il pensiero, con buon esercizio, basta non accontentarsi di esser banali... nel migliore dei casi ed idioti nel peggiore. Mi riferisco in questo caso all"'amico" Benigni... e a quanti gli fanno il coro.
che mi è simpatico il Benigni, ma io non intendo discutere della simpatia al personaggio, sentimento che seppur nobile è sentimento. Dietro le simpatie si nascondono stuoli di incapaci e a-pensanti che fanno poi pensare quelli al posto del loro dover pensare le cose. Non è molto illuministico questo modo di procedere.
Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava
in deuteronomio Dion non ricorda ma ORDINA... e non la festa... ma il riposo dal lavoro il giorno di sabato...
il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato (Dt 5,12-15) dove tra le tante signore indica un nome proprio le cui consonanti sono YHWH e dove Dio non è inteso come nome proprio ma col significato (tra l'altro plurale) di divinità. e che di dei o divinità al suo pari c'e ne fossero altre pare sottinteso, altrimenti il primo comandamento non avrebbe senso...
dentro la cui dimensione, chi si riposa lo fa contemplando ciò che ha creato.da qui l'assonanza tra theos e theoria: la theoria è la contemplazione dell'atto, del fare, della prassi, è pensare ciò che si è fatto. Come Dio il Sabato si riposò, contemplando il suo creato, e così riflettendo e riflettendosi in esso, così l'uomo, che è a sua immagine, deve fare, questo l'Ordine. Ma che l'"Ordine" diventi "Ricordati" è lo stesso, per la la parola, e per ogni parola che diventi altro, il fondamento del pensiero Occidentale in una sua forma specifica, questa, della volontà di potenza. Dio stesso ne è una sua forma.
Se un Dio deve ordinare di far festa all'uomo, significa che l'uomo non è originariamente festivo. Cioè non cambia nulla il "Ricordati" dal ""devi" dell'inautentica festività dell'uomo che deve essere ordinato.
Io credo che la vita sia sacra. Questa è la mia fede, fede che è nella verità come fede. Può l'uomo non avere fede? No. Allora scelgo la mia fede. "Amare è uccidere" non può essere compresa se non si determina cosa sia amare e cosa sia uccidere. Se uso i due verbi nel loro senso comune suscito sorpresa, se invece spiego cosa intendo è connoto più ampiamente questi verbi, allora posso sperare di essere compreso. Ma se confondo i due piani, vuol dire che voglio ottenere altro. Allora amare nel senso comune non è annientare, mentre lo è ontologicamente. Visto però che viviamo nella fede di poter ottenere con volontà ciò che vogliamo, e qui sta il piano del senso comune, in quella fede decido di starci a modo mio. Cioè voglio credere che amare non sia uccidere. D'altronde può l'uomo non volere? Se non può allora deve scegliere e io scelgo così.
Deve ordinare all'uomo di non uccidere, significa che l'uomo è presupposto omicida da quell'ordine. Ma l'uomo è creatura di Dio, e forse per un gioco maligno lo fa libero di uccidere? Ma se lo fa libero di uccidere a che pro il comandamento?
perché è fatto di ciò che ordina che non sia fatto.
sta nella creazione... La creazione, pensata dal pensiero Occidentale fin dalla preistoria, é la trasformazione dell'essere nel suo altro, è appunto, quando il pensiero greco intensifica al suo massimo la prevaricazione, l'amare il nulla, perché la creazione presuppone che la cosa creata prima di essere non sia, ama che l'essere non sia, unisce ciò che è diverso.
A che pro uccidere se questa volontà non otterrà mai quello che intende ottenere? L'uomo comune dovrebbe capire questo concetto: se tentasse di uccidere non ci riuscirebbe. Ora visto che invece può uccidere e qualcuno purtroppo viene ucciso, c'è una contraddizione. Delle due l'una: o gli uccisi non sono uccisi veramente perché una cosa non può trasformarsi, né quindi un uomo può passare dalla vita alla morte, oppure gli uccisi sono uccisi e i loro parenti lì piangono come tali. Nel primo caso non c'è violenza perché non essendoci uccisione possibile non c'è violenza possibile. Nel secondo caso c'è violenza perché gli uccisi sono morti e ho fatto ciò che non potevo ontologicamente fare. Insomma la violenza non è violenza, mentre la non violenza è violenza.
...
Che la volontà non riesca ad ottenere il voluto, non è che il suo inconscio, essa non lo può sapere.
Quando specifichi che allora la volontà non uccide, questa specificazione non è dell'uomo mortale, ma è di ciò che lo nega. La volontà dell'uomo mortale uccide, eccome, e i morti sono e chi uccide si sente potente sui morti che ha ucciso.
Entificare il nulla è ciò che si è costretti ad ammettere se si vuole credere nel divenire. Uccidere come annientamento è il credere che le cose possano andare nel nulla. Amare è uccidere se per uccidere intendiamo annientare, Amare è amare se lo intendiamo come sentimento. Amare non è uccidere seguendo il filo della fede in questo sentimento. Alla fine l'uomo non può che avere fede.
Come il senso comune della volontà di potenza crede di sé.
È nell'esser convinti, cioè vinta da per esser con, della possibilità che l'esser sia nulla. Questa convinzione pone l'ottenuto dal mortale in una dimensione che è radicalmente diversa da quella veritiera.
Ma il mortale non lo sa.
significa essere nel nulla di ciò di cui si ha fede, significa il fondamento in quanto tale. Ma questo significato la fede non lo comprende, perché altrimenti, si porrebbe, la fede, nel piano opposto, nella verità. Ma la fede non è nella verità, è la verità che è nella fede.
Ma perché la sua esistenza, l'esistenza di ciò di cui si ha fede, dipende dalla fiducia in quest'esistenza. La fiducia nell'esistenza non è, propriamente, l'esistenza, ma altro. E questo Palo lo sapeva benissimo nella definizione di fede data nella lettera agli Ebrei, quando dice che fede è apparire delle cose che non appaiono. Quell'apparire, delle cose che non appaiono, è appunto fede, cioè ciò che non si mostra in sé e per sé. Ora, ciò che non si mostra in sé e per sé non riesce ad esser nemmeno se stesso, ha bisogno di un fede per essere.
"Entificare il nulla è ciò che si è costretti ad ammettere se si vuole credere nel divenire." Ma questa costrizione non è dell'allienazione, ma della verità. Nessun mortale ti dirà mai che una cosa non è. Ma ti dirà che una cosa diviene altro. Non ammettendo a sé e all'altro di esser quella cosa. Eppure la verità vede quest'allienazione.
Come vede che amore è violenza, ma tu no.
Tu la vuoi identica a potenza.
Ma la verità vede che potenza è violenza.
Sono tesi, che i miei articoli hanno giustificato diverse volte, e in qualche modo qui in questo articolo esprimo, ma capisco la resistenza e la situazione urtante della dimensione veritiera sulla dimensione del senso comune.. ,.)
"Ricordati" è un'esortazione che dice, " devi far attenzione a ciò che dimentichi di fare, di non dimenticarlo", l'ordine dice lo stesso ma in un modo diverso, dice " devi far attenzione a quanto dico di fare". In ambo i casi perché se ciò non avviene allora la punizione sarà la stessa, ma che si esprime in forme diverse. Nel primo caso che ciò che devi fare sia dimenticato, cioè il tuo essere quel fare vada nel nulla, nel secondo che a mandarcelo sarò io stesso che te lo comando. In ambo i casi vi sarebbe si differenza nella violazione dell'esortazione, nel primo caso, del comandamento nel secondo, ma ciò che non cambia però in quelle differenze, nelle parole, è il loro contenuto.
nel mio intendere NON LAVORARE e FARE FESTA son due cose diverse. poi già immagino che il non fare è il fare e via di seguito.... rimane il fatto che i 10 comandamenti fanno parte di un patto tra un elohim e il popolo d'israele. quindi nei i ne lei mi pare siamo ebrei e dunque non rientriamo nemmeno in questo patto. al massimo se lei si reputa cristiano potrebbe citarmi AMA IL PROSSIMO COME TE STESSO ma.... evidentemente per lei, che mi insegna che amare è odiare e altresi violenza e forse pure uccidere, ecco dicevo probabilmente visti molti fatti recenti e meno, in questo lurido mondo in molti hanno sposato le sue tesi filosofiche. ignoranti noi che avevamo capito tutt'altro.
Tuttalpiù posso aver detto che l'amare e l'odiare sono due modi diversi di esprimere lo stesso pensiero, quello nichilista del divenire l'altro da sé. D'altronde, Dodeca e Leretico, a questo punto, la ragione è un processo e è facile nel processo della ragione saltare a conclusioni affrettate come quello di ridurre il pensiero a semplice intuizione: questo significa confondere quello che ho detto nell'identità di amore e odio. Eppure io l'ho qui specificato che son l'opposto e anche il perché, la loro forma semantica: id63476.
È d'accordo con me che la forma semantica dell'amore si può semplificare in questa brachilogia: " unire ciò che di per sé è diviso?
La formula è di Platone e Aristotele, due che di amore han trattato con trattati. Ma a parte questo può sentirsi lei d'accordo con questo?
perché diventi il "mio amato", l'amato, cioè colui che in questo stato in cui ancora non è da me amato, non è ancora "mio amato", perché lo diventi, "mio amato", deve subire una trasformazione e diventare appunto "mio amato": tra i due enti, essenti, si instaura una volontà di unione che l'amore vuole far diventare quell'uno dell'altro, cioè, se guardiamo anche a me che prima non amavo, quei due non ancora amanti, in un amore, l'unione appunto. Ora, questo è subito visto dal pensiero alienante e questo al pensiero alienante non disturba affatto. Non disturba che il pensiero alienante si nega, cioè si nasconde ciò che non vuole vedere di ciò che comporta l'amore. L'amore comporta la morte di quei due che prima erano e che adesso son uno.solo sulla base della trasformazione, o creazione, si può amare, ma dove si crea lì si distrugge.
Non sono mie tesi queste, troppo gentile, ma sono tesi di chi ha fondato il nostro pensiero. E ha fondato anche il cristianesimo. D'altronde non è il crisitanesimo che dice delle cose, che son create, che lo sono "ex nihilo sui et subiecti"? Ora , mi concedera che è anche del senso comune che ove c'è amore c'è dolore. Si è mai chiesto il perchè?
pensa principalmente alla separazione dell'amato dalla sua condizione di amato, alla sua morte, in quanto amato, e alla sua nascita, in quanto mio amato. Quell'essere amato precedente, che vien così ucciso dall'amore, in luogo del quale il pensiero allienante lo pensa solo trasformato, non è che lo dica io che così accade, ma proprio il fondamento su cui poggia il Cristianesimo e il pensiero Occidentale.
Come li giustifica lei i massacri in nome di Dio? Eran feste? No era l'amore per Dio di quanto, detenendo il potere, cercavan si modificare il mondo di chi il Dio non amava. L'amore è una delle forme di potenza e quindi di violenza più grandi.
come li giustifica lei i massacri in nome di Dio? Eran (son) feste? No era (son) l'amore per Dio di quelli che, detenendo il potere, cercavano (cercano) di modificare il mondo di chi il Dio non amava (ama). L'amore è una delle forme di potenza e quindi di violenza più grandi.
ma non lo sono per coloro che vengon massacrati, lo sono invece per chi massacra, il massacro è il sacrificio a Dio, o semplicemente all'amore dell'amante, quel massacro del mondo dell'amato che, con sacrificio, per squartamento, diventa mondo del "mio amato".
Lei sarebbe disposto ad aver 7 mogli e a barattare le sue conquieste cristiane prima e illuministiche poi con l'Islam? Sarebbe così bravo da sacrificare i propri valori sull'altare della vera tolleranza per amare e quindi abbracciare l'amato islam? Se lo fosse lo farebbe appunto a spese dei suoi valori che così scenderebbero, decadrebbero, verrebbero uccisi, massacrati, tolti, allienati, strappati, faccia lei... non è cosa semplice capire l'amore. Certo ad intuito siamo tutti per l'amore, ma è perché non capiamo ei cosa si sta trattando...
Caro Dru, se mi concesso esprimere un parere in merito, forse uno dei tuoi pezzi migliori. Ineccepibile. Ti ringrazio per il tempo che dedichi alla coltura del pensiero. Quanto ai detrattori (sempre se mi concesso), non cedere alla tentazione di 'guardare e passare', ma, ora di fioretto, ora di sciabola, continua a tirare di scherma come sai - anche solo per il diletto di chi, come me,osserva.
La morte di cui ho parlato io non è quella che intendi tu. Per il tuo discorso entificare il nulla o nietificare un ente è morte. Per me morte è lo scomparire della vita. Il fioretto filosofico diventa mannaia. Anche Zenone voleva dimostrare che la morte non poteva mai giungere come Achille non poteva raggiungere la tartaruga. Ma Zenone purtroppo è scomparso dal cerchio dell'apparire. Come la mettiamo? Amare non è voler trasfromare l'altro, questo è il tuo concetto d'amore e se vuoi anche quello nichilistico criticato da Severino. Amare è ben diverso, è proprio il contrario.
Nei miei commenti ho fatto delle deduzioni logiche partendo dai tuoi assunti. Ne viene fuori che, seguendo i tuoi presupposti i quali utilizzano le parole per provocare sorpresa, amare e odiare sono violenza di uguale natura, anche se si distinguono. Se amare ha la stessa radice di violenza che l'odiare, allora dal punto di vista della violenza sono simili, non uguali. Essendo simili tendono allo stesso scopo, cioè ad uccidere. Ma uccidere non lo dici con il senso di uccidere, o meglio lo usi ambiguamente, come fa Severino, per provocare lo scarto tra ciò che il senso comune intende, cioè sangue, gole tagliate, carni spappolate, e ciò che filosoficamente si intende per nullificazione dell'ente. Ma allora, dovresti decidere a che livello vuoi parlare perché l'ambiguità come stile può funzionare poche volte.
Insomma morire per te non è morire, vivere non è vivere, amare non è odiare, però alla fine morire è scomparire, vivere è vivere ma non nel senso di vivere, amare è odiare ma non nel senso di amare. Ma allora in che senso? La mancanza di chiarezza regna sovrana nei tuoi pezzi. Si allude cioè alla ragione, al pensiero, ma non si spiega mai cosa si intende. Si usano parole tecniche, come Terra, violenza, morte, ma non ci si mette mai nei panni di chi legge. E si dice invece a chi legge di adeguarsi. Tutto ciò rende ancora più ambiguo ciò che di per sé è poco chiaro. Ma va bene così. Se poi qualcuno che Severino lo studia come te si azzarda a fare una critica logicissima, è evidente per te che non ha capito nulla. Mi sembra veramente un atteggiamento "fideistico". Alle obiezioni razionali bisognerebbe rispondere altrimenti, ma l'amore per un autore, si sa, non è ragione, anzi.
Se poi da autore diventa unico autore, unica voce, unico possibile ragionatore, be' allora diffiderei.
no! sono due parti della stessa cosa: la violenza. in questo sono lo stesso; nell'esser, invece, in quanto determinazioni, sono differenti.
no! la violenza per il mortale non è uccidere, infatti per il mortale uccidere è il suo esser sé: il mortale è morte, nasce con la morte... Altrimenti che mortale sarebbe? Violenza, per il mortale, è non uccidere.
Allora uccidere non è violenza, ma violenza è volere trasformare, uccidere è volere trasformare, uccidere è violenza. Qualcosa non quadra in quello che affermi.
perché? forse che il sangue, gole tagliate, carni spappolate non sono una forma specifica dell'ente?
l'amore che hai per te stesso non ti pone alcun dubbio sulla confusione che regnerebbe nei miei scritti, tranne il fatto che passo dopo passo ciò che si chiarisce è, d'altro canto, la nebulosa che hai tu in testa, ma i miei scritti rimangono quelli, tali e quali. Cercare di identificarmi con Severino è un tipico gesto del mortale, e dell'amore del mortale, o forma di volontà. Non riconoscermi e quindi riconoscermi nell'altro significa appunto demolire me, amore, e in questo specifico caso amor proprio.
Uccidere non è violenza, se per violenza intendiamo violare quei criteri che sono la necessità e l'impossibilità. Se il Mortale "fosse immortale", allora uccidere sarebbe violenza, ma siccome il mortale "è mortale", uccidere segue la sua essenza, non la contrasta.
lo trovi cosi complicato?
..IDENTIFICANDOMI a Severino?
che parla é Severino. Questa la voce del mortale, questa la volontà di potenza, questo l'AMORE.
di me stesso provocato dal tuo amor proprio.
Il sillogismo che ti ho posto è solo logico. Ma il suo difetto nella conclusione, perché qui ammetto che la conclusione è scorretta, deriva da una e una sola ragione: l'ambiguità nell'uso della parola violenza. Ma tutto ciò è voluto per farti ammettere proprio l'ambiguità dell'uso che ne fai. Non c'è amor proprio nelle mie definizioni, ho solo detto che il tuo "amore" per Severino è lo stesso amore oggetto dei tuoi post. O forse sbaglio? L'amore irrazionale per il razionale. Strano paradosso nevvero?
violenza, nel suo emisfero semantico , significa volontà che qualcosa sia altro da sé. Ma se io credo, ho fede, nella riuscita di questa volontà, allora non produco nessuna violenza nell'intorno di questa mia fede, la produco nell'attimo in cui sono cosciente che é fede, cioè volontà che non può realizzarsi, ma non un attimo prima.
La contraddizione è violenta perché non si risolve, per questo è contraddizione. Ma se io non so di esser in contraddizione, quale violenza o quale contraddizione esplico a me stesso? nessuna. Il folle è messo in manicomio, ma per il folle il matti siamo noi che lo mettiamo in manicomio. Tra noi e il matto si instaura una contraddizione, che fin che il matto non è in manicomio non è risolta, cioè violenta la soluzione, perché manca qualcosa al suo risolvimento, in questo caso il manicomio.
violento è chi non uccide significa, per il sano matto è chi è contraddittorio, (cioè in un caso specifico dice di essere Napoleone). Ma il mortale non sa che per lui è violento chi non uccide, ma il matto non sa che per lui è contraddittorio chi dice di essere Napoleone, (cioè dice di esser Napoleone quando non lo è).
tra il matto del manicomio e la violenza del mortale, che la prima è sempre contestabile, cioè non poggia su dati incontrovertibili tali da poter negare la negazione, mentre la seconda si. la prima no, perché è in forza di una convinzione sociale che il matto è trattato come matto e una convinzione sociale non è una verità incontrovertibile.
e un fatto può essere sempre smentito da un altro fatto che lo neghi. Mettiamo ad esempio che domani si alzi un legislatore che decida che chi nasce il giorno x del mese y sia Napoleone, in forza di cosa potremmo mettere il legislatore in manicomio una volta che ha legiferato? nessuna. Quante leggi, ahimè, sono di questo tipo? e quanti politici sono in manicomio? nessuno a mio vedere. E' quindi sulla bse della forza che un matto è trattato come un matto e non su quello di ragione all'interno delle nostre convinzioni sociali...
che il mortale sia violento non è deciso da un gruppo sociale o da un Dio, ma dal motivo che vorrebbe le cose dal nulla per poi ricacciargliele.
e lui non lo sa e non può saperlo.
mentre la violenza del mortale non è un fatto, è una impossibilità.che il mortale sia violento non è deciso da un gruppo sociale o da un Dio, ma dal motivo che vorrebbe le cose dal nulla (in cui egli ha posto e pone le cose) per poi ricacciargliele.
Violenza, uccisione, morte sono parole del nichilismo, risultato di una fede. Proprio perché ho fede allora produco violenza, uccisione, morte. Ma nell'ottica severiniana, non lo sono. Severino spiega che ciò che riteniamo comunemente violenza ha la stessa radice di ciò che invece riteniamo non violenza. L'amore è violenza come l'uccidere. Questo è così perché entrembi gli atti si poggiano sulla madre di tutte le violenze: la fede nel diventar altro. Ma, io mi chiedo, se l'uomo non può che avere fede, egli non può uscire dalla violenza. Anche se vede che la fede è violenza non ne può uscire, non può cambiare le cose, pena la contraddizione, di voler apppunto cambiare le cose. Dunque dire che l'odio è come l'amore, dire che l'uccidere non è violenza dovrebbe prima di tutto essere inscritto in questa impossibilità per poter essere al fine compreso, altrimenti è un gioco
provocatorio di poco momento.
DA tempo segnalo l'errore della confusione dei piani, inascoltato. E lo dico conoscendo ciò di cui parlo. Severino stesso ammonisce i propri seguaci a tenere sempre presente che la sua filosofia non può essere intesa come una prescrizione morale. E questo vale in tutti i sensi. Mi spiego meglio: è inutile parlare del vero senso che avrebbe l'amore utilizzando le categorie severiniane perché questo si tradurrebbe in un utilizzo "morale" della sua filosofia. Quando dico "utilizzo morale" intendo dire il voler utilizzare con una precisa volontà, cioè il persuadere attraverso logica e ragione, l'interlocutore a cambiare, cadendo proprio nella contraddizione di cui si dice di voler emendare il dire altrui. E questo accade proprio perché non si può uscire dalla fede, perché ognni volontà è una fede, anche quella di chi crede, solo perché usa i discorsi severiniani, di esserne emendato.
"Proprio perché ho fede allora produco violenza, uccisione, morte." diciamo meglio: è proprio della fede credere di poter violare, uccidere, morire.
ogni contenuto che appare è l'apparire di tale contenuto, perché ciò che appare è l'eterno sopraggiungere degli eterni. Non è che nell'"ottica" severiniana per qualche essente che appare esso può non apparire, se ciò fosse, se ciò avvenisse, significherebbe che Severino negherebbe Severino, infatti è proprio in Severino, per primo, che appare che la fede crede di poter violare. una delle conseguenze di questa violazione è ad esempio che non è vero che ogni contenuto che appare è l'apparire di tale contnuto.
una delle conseguenze di questa credenza è che ogni contenuto che appare non è l'apparire di tale contenuto, infatti la coscienza non è il suo contenuto per la fede.
una delle conseguenze di questa credenza è che ogni contenuto che appare non è l'apparire di tale contenuto, infatti per la fede la coscienza, come l'apparire di un contenuto, non è il suo contenuto, come il contenuto di ciò che appare. Mentre per la negazione del pensiero isolante l'apparire di un contenuto è il contenuto di ciò che appare.
direi meglio: "se l'uomo mortale non può che avere fede, egli non può uscire dalla violenza come uomo mortale"
direi meglio:" chi vede che la fede è violenza non è l'uomo mortale, pena la contraddizione" perché la coscienza della violenza è il suo superamento, come ho scritto bene sopra a proposito della contraddizione.
ma che ogni essente del mortale non sia oltrepassato non significa che non oltrepassi.
certo che l'uomo mortale non può diventare altro, ma l'essente che sopraggiunge nell'apparire, in quanto essere mortale, non è l'essente che sopraggiunge nell'apparire dell'essere eterno, anche se l'essere mortale è un eterno.
Questa è la vera complessità.
tu confondi l'impossibilità dell'uomo mortale con l'impossibilità simpliciter
certo che l'uomo mortale non può divenire altro, ma l'uomo mortale non è l'unico essente caro l'eretico, altrimenti torneremmo alla teologia.
la confusione dei piani, insisto, la fai tu quando confondi l'essente con il suo apparire. Certo che nel suo apparire l'essente è unico ma ciò che appare non è solo l'essente, ma anche l'apparire di tale essente.
Ecco allora che finalmente si separano i due piani: quello dell'uomo mortale e quello dell'uomo "non mortale". Anche se, per evitare accuse di superomismo, non lo definiamo proprio "immortale". In spregio a tutti gli Highlander di filmica memoria, oseri dire che l'uomo vivo scompare, ossia esce dalla sfera dell'apparire. Questo scomparire è il punto di contatto tra uomo mortale secondo la fede occidentale e uomo immortale secondo Severino. Lo scomparire è determinante, con tutte le conseguenze che a tale scomparire sono legate. Parlerei d'ora in poi sempre di questi due piani, affermando complementariamente che l'uomo mortale che vive nella sua fede e nella sua volontà non può smettere di volere né smettere di morire come muore.
è del pensiero isolante. proprio per questo poi non vedi ciò che in esso è il comune.
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Tutti noi abbiamo familiarità con l'attesa. Solitamente non la vediamo di buon occhio e, se fosse possibile accorciare i tempi per ottenere una determinata cosa, immagino che nessuno di noi si tirerebbe indietro. Ma l'attesa non potrebbe avere anche degli aspetti positivi?
Il coro di Puegnago del Garda ha vinto il secondo premio al Concorso Corale Nazionale
Questo mercoledì, 17 aprile, al Cinema di Vestone la commedia amara del regisa finlandese, chiusura di una quadrilogia iniziata nel lontano 1986
Inaugurata alla presenza delle autorità la mostra “L’età del Legno. 4000 anni fa al Lucone” presso il Museo archeologico della Valle Sabbia
Annalisa Durante, la torcia che diffonde luce dovunque sia raccontata la sua storia
La sezione valsabbina dei Testimoni di Geova è impegnata in un'importante campagna mediatica per combattere un fenomeno che coinvolge ormai circa 300 milioni di persone nel mondo
L'associazione culturale salodiana “Il Salòttino” inaugura la nuova stagione di mostre questo sabato, 13 aprile, alle 18 con un vernissage
Passa alla fase di “verifica sul campo” il comune valsabbino, che aveva avviato il percorso per ricevere il prestigioso riconoscimento nel 2024
Questo sabato, 13 aprile, l'Amministrazione comunale e l'Ateneo di Salò ricordano la strage di Piazza Loggia in occasione del 50° anniversario
Sarà inaugurata sabato presso il Museo Archeologico di Gavardo un’importante mostra sui ritrovamenti del sito palafitticolo del Lucone, fra i quali la porta in legno più antica d’Italia
ID63459 - 10/01/2016 09:24:12 - (DODECA) -
mi verrebbe da farti notare che RICORDATI DI SANTIFICARE LE FESTE non esiste tra i 10 comandamenti