Il limite il guardiano della violenza, dentro il limite non si violenti, fuori dal limite si violenti. Ma guardiamo da pi vicino questo limite, la sua struttura e il suo significato, cosa e cosa comporta per noi il limite?
la dialettica si dispiega bene intorno alle tue parole ma mi sovvien di rallentarne il corso su quel termine "scopo" che non condivido. Sembrerebbe altrimenti che "questa" dialettica soggettiva o soggettivante si dispieghi alla maniera dello Zenone per intenderci, dove il limite è posto non dalla realtà del "movimento" dialettico dell'essere e per ogni realtà, ma solo perché lo si determini e come scopo di una causa umana o divina che sia.Cioè, il movimento dialettico c'è, esiste, dipendentemente da quello che noi ( il linguaggio della non-verità o della terra alienata),come momento speculativo, chiamiamo "scopo" del suo agire, proprio perché non c'è uno scopo, non c'è una causa e non c'è un agire nel linguaggio della verità così determinato da un diventare altro dell'esser sé dell'essente, ma c'è un'identità dei diversi che è l'esser sé dell'essente e il
suo non esser l'altro.
per farti comprendere quanto sia ormai legato profondamente a quanto Severino scrive con più ragione di me su quanto io penso e lui dice. Da destino della Necessità che ho ricevuto 5 minuti fa da corriere: capitolo VII Totalità e Dominio- paragrafo VI Totalità e Scopo. Paragrafo che mi si è aperto su più di 570 pagine scritte alla pagina 242 ..."Il dominio sull'ente ha un carattere "scientifico" da quando l'operazione isolante del dominio non è un'intenzione soggettiva, ma è fondata sull'isolamento "reale" dell'ente. E' proprio quanto ti dicevo sopra del linguaggio nichilista con cui compare il termine "scopo" nel tuo parafrasare la dialettica...
La parola scopo nasconde il nichilismo dell'Occidente. Ma non è solo questa parola che lo evidenzia: tutto il linguaggio ne è originato e sottintende il divenire. Allora il linguaggio può tentare di dire la verità ma mentre si dà questo scopo, cade nel suo difetto originario: la scelta, la volontà di definire il mondo, di separarlo. "L'essere, che può essere compreso, è il linguaggio" dice Gadamer. Che non significa che l'essere è il linguaggio, ma che ciò che di esso possiamo comprendere è il linguaggio, una parte dell'essere, irrimediabilmente. Ma se è così, allora la "testimonianza" della verità come destino della necessità attraverso il linguaggio è impossibile.
Una parte del tutto -ad esempio questa lampada- appare, nello sguardo (cioè nell'apparire) della verità, come essere insieme al tutto.La verità vede la sua relazione al tutto.Ma questa lampada appare anche all'interno dell'isolamento della terra dal destino della verità -la"terra" essendo la totalità di ciò che incomincia e cessa di apparire -Nell'isolamento della terra, in cui crescono la preistoria e la storia dell'Occidente, il pensiero dei mortali unisce in certo modo le parti del tutto, e pensando che qualcosa é qualcosa, non solo é identificazione dei non identici, ma é anche interpretazione. Anzi é interpretazione proprio perché é identificazione dei non identici. L'interpretazione é la volontá che il non identico sia identico."Queste pietre e questi spazi sono le rovine di un tempio greco";"Questo corpo è un uomo";"Questa è una lampada";"Questo è
Socrate";"Socrate è bianco";"Questa superficie é bianca" ( cioè tutti gli esempi sin qui introdotti per indicare le forme determinate dell'esser B da parte di A): ognuna di queste affermazioni é un interpretazione, e l'interpretazione identifica qualcosa a ciò che é altro da essa. Le identificazioni-interpretazioni costituiscono delle totalità finite, in cui il principio che unifica le parti di tali totalità è l'identificazione dei non identici.L'identità dei non identici è il nulla; ma Nell'isolamento della terra il pensiero dei mortali, che in verità pensa il nulla, crede di pensare che questa superficie è bianca, che Socrate è bianco, che questo è Socrate o una lampada o un corpo umano, e che queste sono le rovine di un tempio greco. Poiché è nulla, tutto ciò che i mortali pensano è morto.E, ciò che è morto e nullo, i mortali lo
intendono come un certo significare non nullo.
So che interpretare è un atto della volontà che vuole che la cosa sia altro da sé e quindi vuole l'impossibile. La stessa cosa accade al linguaggio. E se il linguaggio è pensiero allora deve accadere qualcosa di particolare perché il pensiero possa essere l'"essere". Cioè il linguaggio, il pensiero non coincidono con l'essere ma vi tendono. Nella loro non coincidenza si lascia spazio anche all'interpretazione, elemento di un organismo, dimun sistema che dialetticamente fa emergere l'essere dalla sua dinamica. Ecco l'unificazione di complessità e dialettica dello spirito hegeliana.
"Il linguaggio è pensiero" è un'interpretazione nel momento in cui appunto i due termini o determinazioni le si vuole far coincidere ma non lo possono più essere nel momento in cui presi i differenti li si vuole trasformare in identici. Nel nichilismo li si vuol far coincidere partendo da una posizione di isolamento. Il nichilismo dice: prendo i due termini così isolati e li unisco "linguaggio" e "pensiero". Il "linguaggio" che non è assolutamente (absolutum cioè sciolto)e il "pensiero", anch'esso sciolto da ogni legame con il "linguaggio", adesso dico (=pretendo) che siano identici, cioè il nichilista identifica i non identici ,operazione contraddittoria. Questo è il divenire altro da sé.
"Il linguaggio è pensiero" è quindi interpretazione(=errore) nel linguaggio nichilista e come tale è un positivo e esiste (= è vista dalla verità) ciò che non può esistere (= il nulla) è il suo contenuto che in questo caso è una volontà e non una verità, la volontà di identificare i differenti(=isolati) termini o noemi. "Nel pensiero e nel dire dei mortali, pensare e dire che qualcosa è qualcosa è, in ogni caso, pensare e dire che qualcosa è altro da ciò che esso è. Questa identificazione dei non identici è dovuta all'isolamento del soggetto e del predicato, ossia è dovuta al pensiero che li isola. La loro relazione è quindi il risultato di un "divenire", ne quale i pensiero li unisce. Ma se l'isolamento di soggetto e predicato richiede che la loro relazione sia determinata da un divenire, a sua volta ogni movimento e ogni divenire in cui si
rivolgono i mortali implica un isolamento. L'Occidente -che testimonia l'essere mortale dei mortali- pensa infatti che il divenire sia un uscire e un ritornare nel nulla, da parte dell'essente; e l'essente che è già, quando un essente incomincia ad essere, non può non essere isolato ( cioè concepito come autonomo, indipendente, separato, quanto al suo essere e al suo significare) dall'essente che incomincia ad essere, essendo stato un niente ( e dall'essente che, quando cessa di essere, ridiventa niente). Ciò che è, essendo stato un niente, o ciò che daccapo è un niente, è necessariamente (ndr. questo necessariamente è qui posto da Severino in-vece della verità che parla di necessità se non vuole essere interpretazione) isolato da ogni altro essente.L'isolamento è la nullità di ogni legame; Qualcosa diviene altro, solo se l'altro esce dal nulla, e dunque solo se il qualcosa, prima di
divenire altro, è isolato dall'altro e l'altro è isolato dal qualcosa. Il divenire a cui si rivolge il pensiero dell'Occidente è fondato su quello stesso isolamento che esso dovrebbe oltrepassare.
Il divenire che, quando l'Occidente pensa che qualcosa è qualcosa ( ndr. Il linguaggio è pensiero), unisce il qualcosa (A) a se stesso (A è A) o a una determinazione (A è B), fa uscire dal nulla la relazione del qualcosa a se stesso e alla propria determinazione; e quindi il qualcosa come "stesso" ( il secondo A che compare in "A è A") e la sua determinazione (B) sono un nulla in quanto appartenenti alla relazione nulla; si che, incominciando ad essere, essi sono un che di isolato dal qualcosa, e dunque sono inevitabilmente altro da esso.
Gli essenti non sono isolati tra loro, solo se tra essi sussiste un nesso necessario, per il quale ognuno non può essere significante senza gli altri. Ogni altro nesso, che non sia un nesso necessario, non consente loro di stare al di fuori dell'isolamento, appunto perché, in ogni nesso non necessario in cui abbia a trovarsi, un essente può essere ed essere significante indipendentemente dagli altri essenti.Ma il nesso necessario tra gli essenti esclude che un essente abbia bisogno di divenire gli altri.(ndr. molto importante il seguito) E' necessario affermare che ogni essente è legato a ogni altro essente da un nesso necessario, sia perché è impossibile che l'essente sia nulla e quindi esca e ritorni nel nulla- si che ogni essente è eterno e il nesso necessario è quello che unisce ogni eterno a ogni altro eterno-; sia perché l'isolamento tra gli essenti implica la loro incapacità di essere determinati da altro
( e di essere se stessi) e quindi il loro impossibile dover divenire altro ed essere altro per essere determinati da altro, cioè dai loro predicati ( e per essere se stessi)-
non può esserci un nesso necessario ( come invece ritengono le varie forme di determinismo e di fatalismo) tra gli essenti che si succedono nel divenire e che quindi incominciano e cessano di essere. Se il divenire conduce da A a B,C..., sì che B,C... siano ancora un nulla quando A è, e C sia ancora un nulla quando B è, non può esserci ( a parte l'impossibilità che A divenga B, e B divenga C- a parte cioè l'impossibilità (ndr. =contraddittorietà) che qualcosa divenga altro da Sé) alcun nesso necessario tra A e ciò (B,C...) che incomincia ad essere essendo stato un nulla. In altri termini, ritenere che possa esistere un divenire necessario- dove dapprima esista A, e poi venga necessariamente ad esistere B, e poi C...-, significa non vedere che, se A,B,C... escono dal nulla, è impossibile che il loro susseguirsi nel divenire sia necessario, ossia è impossibile che tra A,B,C... esista un nesso
La forma del pensare e del dire (ndr. Il linguaggio è pensiero o il linguaggio è nichilista tutte forme diverse del predicare) -cioè la relazione tra qualcosa e qualcosa- non è dunque negazione dell'identità dell'essente con se stesso, solo se il "contenuto" del pensare e del dire ( ciò che è pensato e che è detto) è l'eterno. Ciò che è pensato ed è detto è l'eterno -ossia il necessariamente essente-, solo se la forma del pensare e del dire non nega l'identità (ossia non dice l'impossibile), ma è relazione originaria del qualcosa(soggetto) al qualcosa (predicato), e cioè è l'identità con sé di questa relazione. Ciò che è pensato e detto è eterno, solo se ciò (A) di cui si afferma qualcosa (A,B) non è chiuso nel proprio isolamento, ma è in relazione a ciò che si pensa di esso - ossia è un
A-che-è-B; e B è a sua volta in relazione ad A, è un B-di-A-, si che pensare che A è B ( o A è A) è pensare l'identità con se stessa della relazione di A a B, o di A ad A. Rispettivamente: A(=B)=B(=A) e A(=A)=A(=A); o (A=B)=(B=A) e (A=A)=(A=A). Questa lampada è accesa. Al di fuori del pensiero dei mortali, che questa lampada sia accesa implica dunque, con necessità, non solo l'inesistenza del divenire con cui il pensiero unisce questa lampada al suo essere accesa, ma anche l'inesistenza del divenire con cui questa lampada spenta diviene una lampada accesa. La sintesi tra questa lampada e il suo essere accesa è eterna, e dunque è un nesso necessario; tale sintesi è un nesso necessario (perché i suoi termini non sono isolati), e dunque è eterna. Da Tautotes CAP. ( Il divenire e l'eternità della relazione PGG. 130 a 135)
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I limiti hanno da sempre una ragione formativa. Non esiste limite senza sanzione, positiva o negativa che sia. E la sanzione ha uno scopo di evidenziare il confine. Lo stesso principio di non contraddizione è il limite, ma anche il generatore, della scelta: scelta di parole per definire il mondo, parole che lo definiscono e quindi lo dividono. Le parole sono strumento di separazione per costituzione, secondo limite, dopo il principio di non contraddizione, da cui tutti i limiti successivi. Ora, il limite è posto (positum) proprio per generare dialettica attorno ad esso. Tale dialettica sposta questo limite sempre più in là fino alla sua distruzione a favore di un altro limite che oltrepassando il primo si manifesta, appare. Il secondo compare al tramonto del primo. Basta accettare questa dinamica per rendersi conto. Difficile dunque non è il vedere il nuovo limite nello scomparire del primo, ma accettarne le conseguenze.