11 Febbraio 2020, 10.00
L'opinione

Le Foibe

di Valsabbin* Refrattar*

In questo terzo articolo proseguiamo con l'analisi dello stretto rapporto tra storia, memoria e loro mistificazioni per fini politici e ci colleghiamo al "Giorno del ricordo" analizzando ciò che è stata la presenza italiana in Jugoslavia e come la propaganda nazionalista abbia reinterpretato le uccisioni delle foibe senza valutarne le cause e falsandone i numeri.

Dossier Storia e Memoria

Le terre jugoslave furono in molti periodi storici oggetto di contesa e anche durante la prima guerra mondiale vennero pretese dai vari eserciti belligeranti. La presenza italiana e le sue politiche "coloniali" la troviamo già prima dell'avvento del fascismo, dal 1920, quando il trattato di Rapallo assegnò quei territori al regno d'Italia che immediatamente li occupò dando il via all'approvazione di numerosi decreti col dichiarato obiettivo di italianizzare l'area.

Fu poi la veemente propaganda nazionalista, che tra l'altro portò all'occupazione di Fiume, che anticipò chiaramente quali fossero le intenzioni riguardanti il destino delle popolazioni slave; idea che trova conferma nelle parole pronunciate da Mussolini, il 22 settembre 1920 a Pola: «di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone [...] credo che si possano più facilmente sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani».

Questi sentimenti, che si tramutarono presto in politiche, si acuirono con l'avvento della dittatura fascista che dal 1922 approvò una serie di regi decreti finalizzati alla ghettizzazione della popolazione non italiana e alla sua successiva sostituzione.

Prima agendo sull'italianizzazione della toponomastica decreto n. 800 del 29 marzo 1923 e poi sui cognomi dei cittadini sloveni Regio decreto-legge n. 494 del 7 aprile 1927 ma anche con l'abolizione dell'insegnamento della lingua slovena nelle scuole Legge n. 2185 del 1/10/1923 (Riforma scolastica Gentile).

In 5 anni tutti gli insegnanti provennero dalle sole regioni dell'Italia e i non italiani vennero estromessi da tutti gli impieghi pubblici.

Si stima che queste misure colpirono dai 250 ai 320 mila individui sloveni.

Con l'occupazione tedesca della Jugoslavia del 1941, supportata dall'Italia fascista che utilizzò proprio quei territori per lanciare l'invasione, la situazione si fece più grave. La repressione ormai estesa porto ad una sequela di crimini verso la popolazione civile, sempre supportati da indicazioni ben precise date dai comandi militari. Un esempio per tutti è la circolare 3C emanata dal generale Roatta che di fatto, equiparava la popolazione civile inerme ai militari rendendola soggetta a rappresaglie, depredazioni e incendi di case e villaggi, esecuzioni sommarie e internamenti nei vari campi di eliminazione.

Possiamo immaginare il sentimento di quelle popolazioni nei confronti degli italiani.

E fu proprio in questo contesto che i primi ad utilizzare le foibe furono gli italiani e i tedeschi e numerosi sono gli studi che dall'immediato dopoguerra ad oggi hanno cercato di fare luce sul fenomeno e quantificare il numero di persone decedute in quegli anni.

Insomma, numeri diversi che restituiscono un quadro storico complesso, dove orientarsi diventa esercizio difficile.

Un paio di anni fa nella nostra provincia comparvero alcuni striscioni fatti da un qualche gruppo neofascista riguardanti il tema delle foibe che riportava la frase: "Foibe: chiedetelo ai vostri professori".

Premettendo che troviamo davvero singolare che siano proprio i figli e figliastri dell'ideologia fascista e del becero nazionalismo a chiedere conto delle conseguenze delle azioni dei loro padri, padrini e padroni che per più di un ventennio hanno gettato il seme dell'odio in quelle terre, vogliamo davvero rilanciare questa richiesta. Chiedetelo!

Vi diranno che questa storia non è cominciata l'8 settembre 1943 e nemmeno il 25 aprile del 1945, ma che è il frutto di un processo lungo e difficile.

Chiedetelo ai professori, non ai politicanti, chiedetelo a chi la storia l'ha studiata, la approfondisce e la può vedere e non chi la utilizza, la mistifica per meri interessi politici.

E non si parla solo dei partiti o gruppi della galassia dell'estrema destra, ma anche di chi rappresenta le istituzioni, come l'ex presidente della repubblica Giorgio Napolitano, che in un suo intervento, in occasione del "giorno del ricordo", aveva usato termini come "furia sanguinaria", "barbarie", "pulizia etnica" e aveva parlato genericamente di "slavi".

Senza entrare nel merito del discorso pronunciato, appare evidente che ci troviamo davanti ad una serie di preconcetti ed all'uso di una retorica scontata sui Balcani. Basti pensare che nelle file dei comunisti titini combatterono diverse decine di migliaia di italiani e che diversamente da quanto oggi viene propagandato, l'utilizzo sistematico della violenza e delle uccisioni pianificate fu strategia dei tedeschi e fascisti più che dei titini.

Questa retorica a parti invertite ha portato grandi polemiche da parte del governo croato e parallelamente alla celebrazione da parte del governo sloveno il 15 settembre del "ricongiungimento del Litorale alla madrepatria" rammentando le persecuzioni subite dagli sloveni nel Regno d'Italia.

Se da un lato condanniamo i ripetuti crimini italiani e la repressione titina tipica dei totalitarismi novecenteschi, e dall'altro possiamo comprendere certi episodi di ritorsione, non possiamo non renderci conto di quanto sia comune la radice di questi mali, che possiamo identificare con l'idea di nazione e delle politiche nazionaliste.

Queste istituzioni per mantenere le loro posizioni di potere devono professare l'odio e seminare le divisioni tra i popoli, diversamente le genti saprebbero veicolare la rabbia verso chi le opprime davvero.

Le mistificazioni legate al "Giorno del ricordo" e alle vittime infoibate portano alla sedimentazione di un'idea di identità nazionale ed ha come conseguenza l'odio del diverso, sulle basi fasulle come nel caso del confine orientale dove i diversi popoli per lunghi periodi hanno saputo convivere pacificamente.

Il nazionalismo è per noi un cancro, che cresce e si sviluppa ben protetto dalle istituzioni, a cui però possiamo mettere un argine. Lo possiamo fare non credendo a questa propaganda, coltivando il dubbio auspicando una vera pacificazione tra i popoli.

Ci chiediamo che senso possa avere commemorare la popolazione italiana vittima della vendetta degli jugoslavi o la popolazione jugoslava vittima dei massacri commessi dai militari italiani senza valutarne le cause e la radice comune.

Queste sono state immani tragedie ed alcuni, con evidente ipocrisia, ne ricordano solo l'ultimo atto, falsandolo!

Al prossimo articolo.

Valsabbin* Refrattar*
Dossier Storia e Memoria




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