20 Ottobre 2016, 07.04
Storia

La Resistenza

di Guido Assoni

Fatto politico, guerra di popolo, guerra civile o epifenomeno?

 
Il periodo storico che si diparte dall’8 settembre 1943 fino alla fine delle ostilità, è stato oggetto di diverse interpretazioni cercando di comprimere il fenomeno nel recinto della politica e dimenticando il dato univoco ed inconfutabile che lo contraddistinse ovvero la libertà di scelta.

Giorgio Bocca nei suoi libri dedicati alla Resistenza ha più volte rimarcato questa caratteristica chiamandola “riappropriazione del proprio destino” riferendosi al sentimento di liberazione che aleggiava nei cuori dei giovani come lui che, dopo la firma dell’armistizio e la susseguente invasione tedesca, abbandonarono la città per salire in montagna senza alcuna cognizione dei disagi, della durata, della mancanza di mezzi di sostentamento.

E’ pur vero che in quel periodo le ideologie dominanti hanno cercato di dare un connotato politico alla Guerra di Liberazione.
Così i partigiani inquadrati nelle brigate garibaldine erano considerati comunisti, quelli nelle Fiamme Verdi cattolici e quelli affiliati a “Giustizia e Libertà” azionisti.

Per il partigiano comune questi erano discorsi astratti che esulavano dalla sua precisa scelta di libertà e responsabilità frustrate troppo a lungo dal regime fascista.

Libertà va cercando, ch'è sì cara come sa chi per lei vita rifiuta” è un verso del Purgatorio della Divina Commedia e sono le parole rivolte da Virgilio a Catone per presentargli Dante quale "cercatore di libertà".

Un altro dilemma che divide gli storici dall’ANPI riguarda l’appellativo di “guerra civile”, cavallo di battaglia dei primi e denegato dall’Associazionismo partigiano.
E’ fuori dubbio che si trattò di una “guerra di popolo” contro un potere straniero occupante che, tra l’altro, aveva una concezione di società che negava i più elementari principi di pace ed uguaglianza.

Fu forse la prima volta nella storia che il popolo italiano, peraltro già provato da inutili guerre di occupazione sui vari fronti, (francese, greco-albanese, dei balcani, russo e nord africano), in maniera spontanea e con autonoma consapevolezza scese in campo a combattere per la conquista della libertà, senza un governo legittimo che lo sorreggesse, senza un esercito nazionale e senza una dinastia al potere.

Però fu anche “guerra civileseppur atipica in quanto l’Italia non si divise liberamente e spontaneamente tra resistenti e fascisti, tra combattenti per la libertà e a favore dell’occupante nazista.
Le alte gerarchie tedesche, al fine di creare lacerazioni tra i popoli occupati e a “pro domo loro” crearono, negli Stati occupati, diversi governi collaborazionisti.
Così fu in Francia con il governo di Vichy, in Croazia con gli utascia, in Norvegia con il governo di Vidkun Quisling e purtroppo in Italia con la Repubblica Sociale Italiana.

Senza un capo di governo collaborazionista come Mussolini, senza la volontà tedesca di dar vita ad un effimero nuovo fascismo, senza la Repubblica Sociale di Salò con i suoi impieghi ben retribuiti non ci sarebbe stata alcuna guerra civile.

Anche militarmente parlando, a livello nazionale la parte preponderante nella repressione dell’attività ribellistica è da ascrivere a rastrellamenti tedeschi, mentre le milizie fasciste rappresentavano indubbiamente un pericolo nelle città.
Nella nostra provincia, per l’influenza della vicina R.S.I. i livelli proporzionali erano forse meno evidenti.

Infine c’è da registrare il tentativo del revisionismo storico di voler delegittimare la Resistenza degradandola ad una sorta di epifenomeno della guerra degli alleati contro il nazifascismo e con ciò minimizzandone l’apporto alla vittoria finale.

Comunque sia i valori della Resistenza hanno consentito di affrontare il dopoguerra a testa alta nei confronti dell’Europa dimostrando che esisteva una parte dell’Italia disposta a pagare il prezzo più alto pur di liberarsi dal giogo fascista e dall’occupazione tedesca.

Naturalmente furono poi le forze alleate vincitrici a stabilire quanto potesse aver contato la Resistenza nella compartecipazione ai nuovi equilibri politici del Paese ravvisando il carattere nazionale e non solo fascista della sconfitta.

D’altro canto la gestione politico-militare dopo il 25 luglio e l’8 settembre produsse il disfacimento dell’identità morale e politica dello Stato Italiano.
 


Commenti:
ID68903 - 20/10/2016 13:33:15 - (bernardofreddi) -

I francesi ci hanno messo almeno un secolo e mezzo prima di accettare la loro Rivoluzione - pur senza nasconderne i lati negativi - come un patrimonio nazionale che li unisce in un solo popolo (tanto vero che pure l'estrema destra inalbera il tricolore). Noi semmai abbiamo fatto un passo indietro, mettendo addirittura in discussione il Risorgimento: per la Resistenza temo ci arriveranno i nostri pronipoti.

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