Il nostro Dru confuta alcune affermazioni di Umberto Eco, estrapolandole dal discorso pronunciato all'Expo, dove lo studioso è intervenuto sull'argomento "cultura"
La cultura crede di creare.
Dice anche "Ma non dimentichiamoci anche che ci sono stati grandi criminali che collezionavano quadri" Attenzione quindi a discendere da dove deriva la cultura...
"La comprensione interculturale può ridurre gli scontri, e far nascere nuove forme di fratellanza. In mezzo ai conflitti, può avere una funzione positiva e costituire uno - ma uno soltanto - degli elementi di salvezza per un mondo globalizzato". Dice il Nostro, ma la comprensione, che può ridurre gli scontri, è nuovamente un presupporre che gli scontri nascano per un incomprensione, quando invece gli scontri il più delle volte nascono proprio perché l'uno comprende che l'altro non ha, delle proprie volontà, o fedi, o cultura, gli stessi fini. Cioè, è propria della comprensione l'animo del conflitto. E poi qui Eco si inerpica in parabolismi degni del miglior inquisitore, cosa significa dire che è uno, e gli altri? Ci lasci così nella vaghezza? E infine questa salvezza benedetta da Eco! Ce la vuole spiegare? Perché se bisogna cambiare il mondo senza cultura in mondo con cultura, questo mondo senza
cultura è salvo?
non confondere come fa Eco, credo intenzionalmente, la cultura con Goebbels, Goebbels non è la cultura ma è della cultura. È proprio perché Eco confonde l'Individuale con l''Universale, che poi ci si arrampica sui vetri per 2 giorni, per altro scivolando continuamente. Certo bisogna saper vedere e Eco e il vetro su cui egli scivola.
nel mio scritto indico apertamente dove stia il dilemma, il dilemma sta proprio nel dover ammettere che la cultura non produce fratellanza in Goebbels. E allora? A cosa stiamo giocando, al paroliere?
Dipende cosa si intende per cultura, credo. Di solito Eco non e' mai banale alla Galli della Loggia per esempio che e' la quintessenza del prevedibile. Generalmente le guerre, dichiarate dai politicanti, trovano alimento nell'ignoranza, cioe' nella non-cultura, del popolo che sostiene la guerra proprio perche' l'informazione di regime ne guida i sentimenti con mezze verita' o bugie belle e buone.
la tua risposta mi stimola ad una riflessione che avrei preferito fare in un articolo (e non si sa mai che lo farò comunque). Dipende dici, ma è proprio quel dipende che va meglio risolto e che un intellettuale dovrebbe sentire come dovere nel suo mestiere. Certo è che per un bambino che guarda un film, il pistolero che spara "uccide". Ma noi sappiamo che le cose non stanno così, e certo che per un bimbo i due amanti che si stanno baciando in un film lo fanno con passione, ma noi sappiamo che le cose non stanno così, o meglio così stanno nel film ma non nella sua ragione. Lo stesso è per l'argomento che Umberto Eco sta trattando. Se egli vuole controbilanciare la propaganda di regime con queste fallibili affermazioni, non credo che gli valga la pena, cioè non credo che affermazioni così contraddittorie lo possano fare.
Sarebbe come se io spiegassi a mio figlio che il pistolero non uccide davvero perché è buono. A questo livello argomentativo, dove da una parte c'è l'immagine del pistolero che uccide e dall'altra la mia buona fede in quello, credo che mio figlio, benché affezionato a me, non mi ascolterebbe.
E d'altra parte della vera questione disputata non avremmo sfiorato alcunché.
la cultura è la storia. Punto. Se la storia la "fanno" gli uomini, anche quando a produrla è il Cosmo o Dio, allora la cultura siamo "noi" come enti storici e storizizzati.
Dire "è la nostra cultura" o "è la nostra storia" è sinonimo, è il dire della stessa cosa, o materia.. Certo si potrebbe obiettare che la cultura non si può subire mentre la storia si, ad esempio quando siamo costretti a fare o subire qualcosa allora è la nostra storia, e non è la nostra cultura, ma in questo caso l'obiezione è mossa da intelletto astratto, perché la cultura non è solo quella che si legge sui libri e non è solo quella che si fa e non si subisce, nella cultura di un popolo ci stanno e gli eventi vincenti e gli eventi perdenti. Ad esempio è della nostra cultura subire il fascino di un Dio o del denaro, relativamente a questi (enti) noi siamo ancora oggi perdenti, è la nostra cultura, è la nostra storia..
Dru non ti seguo scusa. Nessun uomo "di cultura" sara' mai per la guerra almeno ai nostri giorni. Non puo' esserlo, la "cultura" glielo vieta. La mancanza di conoscenza ottenebra il cervello. Io non conosco la faccia scura della luna e per questo la temo, mi e' nemica. Se conosco non sparo, discuto: cosi' dall'altra parte.
Ah Dru, dimenticavo: aspetto l'articolo!
se non capisci è colpa mia e è bravura tua di dichiararlo, perché solo così, solo discutendo di cose apparentemente facili, si può progredire. Allora, essere per la guerra non è la guerra. Se un intellettuale non è per la guerra, allora farà guerra a chi è per la guerra. Tra chi è per la guerra e l'intellettuale, in questo caso non c'è alcuna differenza, sia chi è per la guerra sia chi non è per la guerra, se vuole l'un sconfiggere l'altro, quell'un gli farà guerra all'altro e viceversa. Infatti Umberto Eco intenderebbe distinguere chi ha la cultura e allora non fa guerra e chi invece è incosciente e la fa. Già Socrate venne accusato di ingenuo intellettualismo per questo motivo e infatti Eco, per non essere preso per ingenuo, parla di Goebbels come di un finissimo intellettuale, ma che ha sterminato più di 6 milioni di ebrei e così facendo in 4 righe
quest'ultimo smentisce le prime 3 e così Eco dice e non dice allo stesso tempo, dice contraddittoriamente. Io credo che lo faccia inconsciamente, proprio perché della "guerra" ha un concetto astratto e così ha un concetto astratto di "positività" e di "riduzione"
"Che l'ignorarsi esista lo si può affermare solo sulla base di un concetto, o cultura appunto, dunque sia il "comprendersi" che l'"ignorarsi" lo determinano." Cioè per un eremita "ignorarsi è comprendersi", e "non ignorarsi è offendersi", no?
La conoscenza reciproca della cultura dei popoli aumenta o diminuisce la possibilità di conflitto tra di essi? Io penso che la maggiore conoscenza di un fenomeno diminuisce la possibilità che qualcuno ci possa manipolare descrivendolo diversamente da quello che è. Insomma la conoscenza aumenta la libertà di giudizio e diminuisce quel fenomeno che gli imbonitori televisivi conoscono alla perfezione. Se è questo quello che intendeva dire Eco, sono pienamente d'accordo con lui. Se invece intendeva che in generale la conoscenza dell'altro produce meno conflitti allora non sono d'accordo, perché è troppo spesso vero il contrario: proprio perché si conosce l'altro si è in grado di contrastarlo maggiormente.
"Io penso che la maggiore conoscenza di un fenomeno diminuisce la possibilità che qualcuno ci possa manipolare descrivendolo diversamente da quello che è. Insomma la conoscenza aumenta la libertà di giudizio e diminuisce quel fenomeno che gli imbonitori televisivi conoscono alla perfezione." Ma questo appunto è un altro modo per definire la guerra. È proprio così, più siamo coscienti di determinare e meno ci facciamo determinare, ma questo aumenta la conflittualità, non la diminuisce. Qualcuno d'altro appunto non ci può manipolare. Non poter manipolare o dominare, da qualcun altro qualcosa, significa, d'altro canto, manipolare e dominare quel qualcosa, o fine, che quel qualcun altro avrebbe voluto dominare e manipolare. La guerra tra qualcuno e l'altro così non è affatto sopita, anzi...
se pensiamo che un mondo sarebbe potuto essere diversamente per una comprensione diversa di questo mondo, allora tra quel mondo e questo mondo si instaura, rispetto a quel "pensiamo", una guerra appunto.
pensiamo all'ineludibilità o necessità di un mondo, quel mondo ci domina, ma appunto non siamo più liberi di pensarlo diversamente.
Per questo motivo, anche se Eco non lo sa esplicitamente, un mondo, quello nazista, ha potuto su un altro mondo, quello ebreo. Ha potuto perché esso "pensava" che quel mondo potesse essere annichilito. Un pensiero irrealizzabile, ma che come volontà (libertà) è stato pensato eccome.
tra l'un e l'altro, la guerra è la definizione di "cosa", una cosa non sarebbe se non fosse libera di esser in guerra con il resto che la determina appunto. Un spiaggia asciutta è in guerra con una spiaggia bagnata e ciò che una spiaggia asciutta contrasta è la battigia, le sue onde.
per la spiaggia asciutta, risulti la soluzione tra il conflitto dei due, è credere l'impossibile, tra i due se chi conosce è la spiaggia asciutta, essa potrà magari erigere un muro, si da sconfiggere la spiaggia bagnata, ma questa comprensione non diminuisce affatto il conflitto, anzi.
Capiamoci sui termini: io per guerra intendo quella con morti e feriti
Comunque il discorso lungo, bisogna capire prima osa si intende per cultura, guerra, sconfiggere.Poi ci possiamo intendere sul resto...sempre pronto a parlarne
Comunque sei proprio erodotista (come coppista) Dru. O si dice erodotiano (come bartaliano)?
Se per guerra intendiamo quella che fa i soli morti e feriti, allora la guerra fredda è esclusa. In quel frangente America e Unione Sovietica erano allo studio profondo l'un dell'altra sponda. Io parlo della vera guerra, del suo più ampio significato, che comprende e la prima guerra mondiale e la guerra fredda e il significato di dolcestilnovo. Siamo nella guerra. Il significato più ampio non teme di essere scalfito dalle specificazioni, al contrario, quando le specificazioni non comprendono il senso più ampio rischiano di voler dire di quello tutto e allora cadono nel concetto astratto dell'astratto, cioè presumono di poter dire il vero senso e non lo possono dire, lo dicono contraddittoriamente.
Che poi escono ingarbugliate parole.
Che l'essere sia è noto per sé non è noto per altro. Che la guerra sia in "quel" luogo non è nota per sé, è nota per altro, ad esempio telegiornali e giornali. Tra queste due notizie chi ha il senso più ampio possibile di contenere tutto? E se la seconda che non contiene tutto vuole contenerlo, cosa pretende di essere? Ciò che non è e cioè una semplice notizia di giornale e quindi parte delle notizie che possono convenire a "quel" luogo e non l'intera sua notizia. Ecco su questi principi logos procede, sulla notizia dell'esser sé dell'essente, mentre la prevaricazione (hybris) ha piuttosto le movenze della notizia di quotidiano.
Quando leggiamo una notizia di "quel" luogo, non leggiamo "quel" luogo, ma la sua notizia. È della notizia che quindi possiamo trattare, non di "quel" luogo. Hybris produce questa contraddizione, invece di "criticare" la notizia, "critica" il luogo identificando la notizia al luogo. Badate bene, ora l'obiezione si leva tutta in quanto momento razionale, ma l'uomo a hybris non ha scampo, perché le cose più nascoste sono per altro le più manifeste.
perché se fosse noto per altro allora "sarebbe" contraddittoriamente. Sarebbe per quell'altro si che l'essere immediato sarebbe esso più l'altro e quindi l'essere non sarebbe ma sarebbe stato, oltrepassato da questo esser altro che ne dà notizia.
se è l'altro che dà notizia dell'essere, di quell'altro chi dà notizia? Regressus ad indefinitum. Chi produce questo regresso è l'intelletto astratto. Quello che sopra, nell'articolo su Umberto Eco, specifico del senso del suo discorso, quando il Nostro vorrebbe affermare che la cultura produce comprensione. No, la cultura produce odio per ciò che gli è escluso e amore per ciò che gli è compreso, ma questo odio e questo amore, altro dall'essere due cose che non convengono, sono due modi di intendere della stessa cosa, l'esser cosa per come Hybris la vede.
si dice erodoteo.
E invece si dice proprio erodoteo
Comunque è vero, sono piuttosto amico dei barbari...
Ogni volta che si legge un messaggio bisogna considerare il suo destinatario. Il concetto filosofico di guerra è più ampio di quello utilizzato dal senso comune. Prima di utilizzarlo nel senso più ampio bisognerebbe capire se il destinatario ha i mezzi di conoscenza che gli permettono di capire questo senso allargato. Se leggono guerra e lo intendono alla maniera del senso comune l'intento di chi invece lo pensa e lo scrive in senso allargato è totalmente disatteso. È dunque fondamentale per il passaggio dei messaggi la comunanza dei codici. Capisco che tutto ciò vada un po' stretto ai creativi, ma che ci possiamo fare?
se si vuole comprendere qualcosa, è qualcosa che va studiato, e anche comprendere e volere e l'ipotesi che viene comunicata da quel "se". Quel se apre ad un mondo che è "altrimenti", poiché è dell'ipotesi la creazione di un mondo che ha come presupposto la "potenza". Senza ipotesi e senza qualcosa, cioè senza la capacità di determinare i significati che li comprendono, tutto è vano, ogni comprensione é solo interpretazione e distorsione. Quando scrive e parla Dru in cattedra è filosofia, il resto lo lascio agli Umberto Eco.
Caro Dru, fa sempre piacere leggere analisi sì pertinenti. Ma proprio perché Severino insegna che 'volere la verità' è un costrutto mostruoso e autocontraddittorio... perché vuoi confutare il povero Uberto Eco?
non confuto Umberto Eco, confuto alcune sue affermazioni ballerine che lui vorrebbe tener ferme. D'altronde Umberto Eco è un personaggio pubblico e di altro spessore intellettuale, quale migliore preda per misurarsi sul senso che i diversi significati instaurano nel proprio processo ontico...
vogliamo discutere il piano dialogico e obiettare che il Nostro non può rispondermi, allora, convenendo alle parole di Dolcestilnovo, qui un poco sopra, debbo significare che Odifreddi almeno dava una parvenza di apertura e di dialogo, cosa che per certi Soloni della nostra "cultura" resta ancora tabù. La comprensione interculturale sarebbe declinata per una dizione ambivalente. Se io debbo ascoltare tutte le "fregnacce" di Umberto Eco e di altri come lui, senza per altro esser ascoltato, di quale comprensione stiamo parlando?
che quando Umberto Eco attaccava Internet e la sua prepotenza divulgativa, era perché voleva che la comprensione fosse ridotta alla "sua" di comprensione, per altro facendo guerra appunto ad Internet.
Caro Dru, forse mi sono male espresso, o l'ho fatto troppo sibillinamente... Chiedendoti perché tu volessi confutare Eco non ponevo l'accento né su di lui in quanto Umberto Eco, né su di lui in quanto 'pensiero' (metonimia) - peraltro entrambi ben degni d'esser confutati. Piuttosto l'accento era (ed è) posto sul 'perché VUOI'. Sempre posto che il volere (e dunque - Severino docet - anche il volere la verità) sia concetto mostruoso e autocontraddittorio.
È come ci si può esimere dal volere? Può l'uomo non volere?
non volere significa volere non volere. Non volere simpliciter è l'impossibile, è l'astratto del concetto astratto di volere. Io decido di non fare più niente, cioè metto consorte le braccia, ecco questa mia decisione è presupposta da una volontà, anche non fare è un fare qualcosa, perché non fare è qualcosa, non è nulla. Ogni negazione pone come esistente ciò che essa nega e da essa è costituita. Se confuto le affermazioni sopra, non è perché io le confuto, ma perché sono confutate esse dal loro apparire come contraddittorie. Perché l'essere e non il nulla? Perché il nulla che dico è. Cioè è immediatamente noto per sé che è e non per altro. Certo il nulla come nulla momento,se è dall'intelletto astratto posto come positivo significato, è identificazione dei diversi e diversificazione degli identici,
come il non volere è contraddittorio se considerato come lo considera l'intelletto astratto che appunto crede di poter isolare il non volere da ciò che lo costituisce, il volere appunto. Ma il contraddicentesi volere che una cultura possa essere un motivo di fratellanza e di comprensione dimentica appunto che una cultura è anche appunto distinzione e opposizione alle altre culture o alle inculture.
è chiaro che "non è perché Dru le confuta, ma perché sono confutate esse dal loro apparire come contraddittorie" che affermazioni contraddittorie appaiono appunto come tali. Tuttavia il punto in questione è un altro. Certo che il non volere è un volere - precisamente un voler-non-volere - ma io chiedo: se la volontà è concetto contraddittorio, poiché volere è sempre volere l'altro da sé (e perfino il non-volere lo presuppone), come si può sostenere di volere? Sarebbe come sostenere la verità di un 'ferro di legno': una contraddictio in adjecto. Ergo, come non esistono ferri di legno, non esistono soggetti volenti. Con il che (questo lo dico in risposta a Leretico) io non ho affatto sostenuto che l'uomo possa non volere, né tantomeno volere.
"se la volontà è concetto contraddittorio, poiché volere è sempre volere l'altro da sé" non è esattamente questo "se la volontà vuole qualcosa che risulta contraddittorio, poiché volere è sempre volere l'altro da sé... ma la volontà non è un concetto contraddittorio, la volontà è, eccome.Se per la verità la volontà fosse un concetto contraddittorio, significherebbe che essa, la volontà, nella verità , non esisterebbe, e quindi sarebbe un assurdo simpliciter e non secondo verità. Secondo volontà di potenza la volontà vuole realizzare ciò che ottiene, secondo la verità la volontà vuole realizzare ciò che crede (è persuasa) di ottenere, ma che è impossibile (contraddittorio per la Verità) ottenere.
eccome, a non esistere è il suo contenuto, cioè a non esistere è quello che la volontà pretende di realizzare.
Ma gabrielconroy, la invito a riflettere: così come la contraddizione esiste ed è un ente come gli altri, così esiste il volere. Quindi i volenti esistono, sono enti. Ciò che non esiste è il contenuto della contraddizione, così come non esiste ciò che il volente pensa di aver ottenuto volendo. Mi spiego meglio: la volontà esiste ma che essa ottenga quello che vuole è contenuto di una fede. L'uomo non può uscire dal volere, se smettesse di volere morirebbe. L'uomo costruisce tutto in base alla fede che otterrà dal suo volere un risultato, che invece non ottiene. Sapere che le cose stanno così è importante, determinante, ma non può far smettere l'uomo di essere volontà di potenza.
Non: “la volontà è concetto contraddittorio, poiché volere è sempre volere l‘altro da sé” ma “la volontà vuole qualcosa che risulta contraddittorio”. Benissimo! E cosa vuole allora come oggetto la volontà di potenza se non se stessa? Volontà che vuole se stessa - questa e nient’altro è la volontà di potenza. Ma proprio perché vuole se stessa la volontà di potenza vuole l’altro da sé, nonché sé come altro. Cioè a dire: la volontà si afferma negandosi. E dunque è contraddittoria. Non a caso la schopenhaueriana Voluntas può giungere alla Noluntas (ossia alla propria negazione): la struttura stessa della volontà (la sua stessa struttura!) glielo consente. Non a caso Zarathustra parla di eterno ritorno dell’identico. Se volete, Nietzsche (o la volontà di potenza - a voi la scelta…) mostra
qui il suo lato più biecamente hegeliano: “contraddictio est regula veri, non contraddictio falsi“. Del resto, Severino docet, la ‘cosa’ è concetto nichilistico, prodotto appunto dalla volontà di potenza.
Dedurre dal volere I volentI… Curioso! Forse Hobbes (Terze obiezioni a Cartesio) - ma Hobbes valga a titolo d’esempio, s’intenda! Non mi si prenderà certo per un materialista, per di più inglese… - forse Hobbes, dico, avrebbe qualcosa da ridire. Invero, ogni pensiero che affermi la volontà è un pensiero negante l’individuo in quanto volente (quando non addirittura, nei suoi esiti misticheggianti, anche il soggetto tout-court: penso, tra i tanti, a Eckhart, a Nagarjuna e, appunto, a Nietzsche - ma anche a Kant, che sul volere si esprime in termini noumenici, ossia negativi): Severino stesso parla, in effetti, di individuo ABITATO dalla volontà di potenza. Il perché poi è chiaro da Schopenhauer: l’individuo è già una manifestazione, un’espressione di detta volontà, che sola è indivisa, una, extrafenomenica, ecc… “In me si vuole”: questo è il
“In me si vuole”: questo è il pensiero consentito a chi intenda davvero affermare la volontà - e forse neppure questo... Rebus sic stantibus, chi affermi invece la pluralità dei soggetti (soggetti, non individui) volenti, afferma contestualmente la pluralità delle volontà - e dunque afferma (sostanzialmente, è il caso di dirlo) un dualismo metafisico, quando non un pluralismo. Con tutte le nefaste conseguenze del caso. Con il che (mi ripeto) io non ho affatto sostenuto che l’uomo possa non volere, né tantomeno volere.
è vero la struttura della volontà è in-coscienza o pseudoriflessione, ripiegamento su di sé, perché il sé non è tale ma è voluto. È l'intelletto astratto che produce questa scissione o separazione del sé dal suo essere: dimenticando di essere sé (sempre per volontà di dominio) , l'essente vuole esserlo, si sforza poi, infinitamente, di esserlo. Questo è il centro del nichilismo, questo significa la storia Occidentale e del pensiero. Con le sue considerazioni ultime sono assolutamente (non relativamente) d'accordo. "La storia della nostra civiltà mostra, quando lo si sappia cogliere, un significato unitario che avvolge e penetra ogni forma storica e che tanto più si illumina quanto più grande è lo specchio che lo riflette: il cristianesimo è un grande specchio di quel significato. In un senso essenzialmente diverso da quello a cui Nietzsche e Heidegger si
rivolgono, il significato unitario dell'Occidente è il Nichilismo: il cristianesimo è un grande specchio del nichilismo." Emanuele Severino in Pensieri sul cristianesimo.
L'intelletto astratto è il corrispondente del concetto astratto dell'astratto. Il concetto dell'astratto è il concreto, cioè "il concetto dell'astratto" questo il suo concreto. La volontà vuole isolare il concetto dell'astratto dal concreto, e badate, ogni scienza e senso comune agisce per questa via.allora resta è il concetto e l'astratto del concetto astratto dell'astratto e così ad indefiniti. Si tratta di comprendere questo, che è base della logica occidentale e del nichilismo e riconoscere del concreto e il concetto concreto dell'astratto e il concetto astratto dell'astratto.
complimenti. Seguo sempre con passione le vostre 'querelles' dialettiche. A Dru in particolare vorrei chiedere questo: poichè alla verità nulla può togliersi nè aggiungersi, a che pro dirla? E a che pro negare la sua negazione, la quale già da sè si rivela inconsistente, ossia non può costituirsi? La verità è da sempre vera, proprio perché è da sempre se stessa. La verità è una tautologia. Il nostro dirla non la rende nè più vera, nè vera.
ma il dire non è la verità. La verità è già da sempre detta. Ma ora non è la verità che è detta ad esser messa in discussione, ora è il suo dire. Ma proprio perché verità allora è detta, dire senza verità è l'impossibile, è il contraddittorio. Ogni dire vuole dire la verità, è volontà e in quanto tale è verità, mentre in quanto verità è il suo contraddittorio, è contesa.
Sono stato chiaro o criptico? Se criptico dove, che possiamo semplificare.
la verità è l'essere, ma l'essere non è la verità. Come risolvere questo apparente rebus? Perché la verità è l'essere e in che modo può esserlo? Può esser-lo (esso) solo se la verità è "insieme" l'essere. Ma l'essere non è la verità perché è "insieme" la verità. L'essere appare come l'esser sé dell'essente e non come il suo altro, come il suo altro è il contraddittorio. Dire che la verità è l'essere è dire che la verità non è la verità e che l'essere non è l'essere, perché la verità è l'essere, questo dire che non include quell'"insieme" è un dire che non dice nulla o che dice del nulla (contraddittorio). Il dire, come testo, o testimonianza, è traccia dell'essere e come traccia è insieme tutte le tracce che sono.
questo dire non è l'albero ma sua traccia appunto, è insieme l'albero e è insieme l'essere. L'albero che è è l'essere dell'albero, questa è la vera realazione o identità del dire "l'albero è" con la cosità dell'albero. La verità o identità tra il dire l'albero è e la sua esistenza e essenza è identità come relazione tra il dire e il detto.
le parole di Eco sono impossibili.
Caro Gabriel, non ho certo detto che lei ha affermato la volontà o i volenti. Ho precisato che l'uomo vive nella volontà e non è in grado di sfuggirle. Vivere è volontà. Oppure mi spieghi lei come potrebbe l'uomo vivere senza volontà di vivere. E che ci sia la consapevolezza che tale volontà non ottiene effettivamente quello che vuole non cambia la condizione nè della volontà né dell'uomo. Il dire è una forma della volontà, del credere, della fede. Qual è lo spazio di azione dell'uomo rispetto alla verità? Nessuno, perché azione è conseguenza della volontà. Si può dire dunque la verità? No, perché il dire è conseguenza della volontà. Cosa rimane? Il pensiero.
Caro Leretico, il fatto che io chiosi in entrambi i miei interventi affermando di non aver affermato né la volontà né la non-volontà non significa affatto (neppure nel primo dei due casi in cui mi rivolgo esplicitamente a lei) che io le abbia attribuito l'affermazione: “Gabriel afferma il volere o i volenti”. Significa solo e soltanto che io affermo di non affermare né il volere né il non-volere, in particolare rispetto ai termini della questione. Se vuole, precauzionalmente – precauzione che certo lei condividerà con me, da esperto di eresie e di relative “rieducazioni”... Comunque, io soltanto ho preso un asserto (“il volere esiste”) e ne ho tratte le conseguenze relative ai volenti da lei affermati. Spiegare poi “come potrebbe l'uomo vivere senza volontà di vivere” è problema di chi afferma la volontà – non certo mio.
Tuttavia mi permetto ancora di farle notare che affermare tout-court la volontà – diciamo così, a là Schopenhauer – significa negare l'individuo volente (vero e proprio mostro concettuale, stante la volontà!) quando non, nei suoi esiti appunto estremi, addirittura il soggetto. E ciò proprio perché a volere non può che essere la volontà, essendo appunto l'individuo una sua manifestazione. In altri termini, soggetto è la volontà, oggetto è l'uomo – che quindi non può essere 'volente', ma solo e soltanto 'voluto'.
Che poi la verità non possa essere detta, ma solo pensata, non solo è una proposizione (e quindi un dire), ma anche una proposizione non vera (se appunto la verità non si può dire). A meno che non si intenda affermare che altrove è LA Verità (ineffabile) e ovunque LE verità (queste sì, dicibili): un dualismo cioè – ma certo Leretico meglio di me sa che i dualismi sempre di incenso profumano...
Della sua capacità filosofica sono sorpreso e quindi la voglio conoscere... Con Leretico non infierisca, si tratta di cose molto importanti dette in maniera precisa , le sue. La sua 3 l'avrei scritta allo stesso modo. A Lererico: la forza di Gabriel, qui, è sostenuta da filosofia, mi interessa la tua opinione in merito. ..
La sua 3 la stavo scrivendo io, ma ho desistito per aspettare lei e adesso non serve che la scriva.
aspettavo da anni un interlocutore come lei, adesso da lei pretendo qualche pubblicazione in Vallesabbianews, d'accordo?
Caro Gabriel, lei non è affatto banale, quindi merita risposte non superficiali. Mi lasci il tempo di traghetti, valigie e ammennicoli vari per elaborare la mia replica. Dovrà però attendere, spero non vanamente.
Caro Dru, per mutuare dalla fisica un'espressione: "ad ogni azione corrisponde..." La ringrazio e sono lusingato. Non dubito nemmeno del suo "misticismo", anche perchè di tale fenomeno ho la massima stima possibile... del resto, il simile attira il simile... ma di questo avremo modo di parlare... magari a tu per tu, magari appunto sulle colonne di Vallesabbianews... per la stagione estiva spero vi accontentiate di qualche commento senza impegno, sotto l'ombrellone...
Caro Leretico, faccia pure con comodo e non se la prenda per la salacità delle mie repliche: confidi che è tutta...apparenza, appunto. Anche a lei come a Dru voglio però dire che, se le mie sono risposte non banali, è perché da non banali domande muovono - e perciò grazie a voi e buone vacanze.
Caro Gabriel, lei scrive: " Io affermo di non affermare né il volere né il non volere". Ma non sta forse, nell'affermare, esprimendo una volontà? Questo ci riporta al meccanismo, di cui dicevo, l'uomo non si può liberare e di cui lei affermando come dunque afferma, non riesce a liberarsi.
Dissento sul concetto che l'uomo sia solo un voluto. Esso é un volente è un voluto. Solo il Verstand separa i due concetti isolandoli.
ad essere vera mente solida...
Le devo dare atto, caro Gabriel, che la sua obiezione sul "dire" é molto acuta, logica e intelligente. Essa si basa però su una mia carenza definitoria che l'ha indotta a replicare così come ha fatto. Mi spiego meglio: seppur io abbia precisato che "il dire è una forma di volontà, del credere, della fede" questo non ha chiarito che esiste anche un dire originario diverso, diverso dal dire contraddittorio Occidentale. Quindi il dire Occidentale non è tutto il dire, altrimenti si potrebbe obiettare come lei ha fatto e giustamente che se si afferma che il dire in generale non può "dire la verità", tale affermazione è contraddittoria se pretende di essere vera essendo appunto un dire, una predicazione. Il dire Occidentale, la predicazione Occidentale a cui invece mi riferisco, esige la distinzione tra soggetto e predicato. Prendiamo il caso dell'affermazione A è A (A=A), qui si esige che A come soggetto sia diverso da A
solo il Verstand isola il concetto di volontà nelle due forme di volontà che sono l'astratto voluto e l'astratto volente, dimenticando che esse sono forme dello steso contenuto o concreto.
come predicato. Se A-soggetto è diverso da A-predicato ed essi vengono unificati da una mediazione predicazionale che sopraggiunge, allora tale predicazione è necessariamente contraddizione. Ecco perché il dire della volontà, il dire Occidentale, la predicazione pensata come appena detto è non verità. Esiste in alternativa una predicazione non contraddittoria che non presuppone i termini alla predicazione, non separa l'essere sé di A da A generando la contraddizione.
è Struttura Originaria.
se la predicazione vuole identificare i diversi A è A, perché il soggetto non è il predicato, compie un indebita operazione, perché identifica il soggetto al predicato, cioè trasforma il soggetto in predicato, si che il soggetto non è il soggetto e trasforma il predicato in soggetto, si che il predicato non è il predicato. Pensando la predicazione del soggetto, pensa all'identificazione dei differenti, pensa all'assurdo. A questo punto A è A significa che A è non A, cioè il pensiero pensa che tutto è in tutto, pensa che quel primo A è e non è quel primo A. Ma appunto, se quel primo A non è quel primo A, allora è anche tutto ciò che A non è.
A è A = A è A o tradotto è quell'A che è A ad esser l'A di A, che concretamente dice di A che è insieme A. Solo pensando concretamente l'identità della relazione tra soggetto e predicato allora la predicazione non è contraddizione.
"A è A" non è "A" e solo perché in A è A vediamo scritto e, temporalmente ma non logicamente, diciamo in sequenza diacronica i fonemi allora deduciamo una oscillazione dei significanti. Ogni ente è se stesso e non può esser l'altro da sé, l'altro da sé è (sempre, di giorno e di notte) il suo contraddittorio, per questo A è insieme A.
in quanto se ciò fosse, se la si potesse dire, allora non mancherebbe, in quel dire, nulla di ciò che, nel cerchio dell' apparire del tutto, significa tutto. Invece Nel cerchio dell'apparire del tutto, il tutto è formale, perché il tutto concreto non appare, o immediatamente appare il cerchio, appare il tutto formale, ma il tutto concreto no (se il tutto concreto apparisse non apparirebbe altro e non direbbe altro il dire). Il tutto è detto ma non è raggiunto, si che anche la Struttura Originaria è contraddizione originaria, ma è la contraddizione C. Che si risolve non quando ad apparire è la negazione di quanto la contraddizione normale dice, ma quando ad apparire è l'intensificazione infinita dell'affermazione contenuta nella contraddizione. Il tutto non appare concretamente e tutti gli enti che appaiono concorrono a risolverne la contraddizione C di ciò che il tutto formale dice.
Discorso tondeggiante
la verità è il dire, ma non come detta, come detta significherebbe che essa verità non "apparirebbe" più, perché sarebbe già tutta apparsa e quindi oltrepassata da quel dire che l'ha detta, si che nessun altro dire potrebbe fare la comparsa in quel dire che ha detto la verità. Ciao Darwin, mancavi...
Il dire dice la verità, ma la verità non può esser detta perché appare. L'obiezione potrebbe ora incalzare affermando che il dire dice anche il falso; ma cosa veramente appare quando appare il falso? quando appare il falso negandone la (sua) verità l'obiezione che dice questo lo dice in quanto intelletto astratto, in quanto crede che il falso possa esser detto "indipendentemente" dal vero.Altrimenti, è sul motivo della verità che si può affermare che un dire è falso, il falso può esserlo solo sul fondamento del vero, di ciò che in verità appare. Il falso puro non può apparire, è contraddittorio che appaia. Il falso puro, o intelletto astratto, è la volontà che esista il falso "indipendentemente", è un pensiero chiuso, isolato, e che pretenderebbe di esistere,ma che in verità non dice nulla, perché è il dire del nulla.
L'arte come opera «Vediamo se Umberto Eco ha ragione o, come mi capita di solito nell'analizzarne i suoi commenti, sproloquia». Ci prova proprio gusto Dru nell'analizzare quando affermano alcuni noti pensatori. Eccone un altro esempio
Imbecille fra imbecilli Un approfondimento sul tema dell'imbecillità del nostro tempo, il tempo del laicismo ingenuo
Gratis all'Expo Sapevate che per pensionati e lavoratori con reddito inferiore a 10mila euro, l'ingresso all'Expo di Milano è gratuito? Vi spieghiamo come fare. Agevolazioni anche con Trenitalia
Umberto Bondoni Con la lista “Noi per Anfo” si ricandida nel piccolo centro lacustre valsabbino l’attuale sindaco, Umberto Bondoni, 61 anni, tecnico di laboratorio al Perlasca di Idro
Umberto Eco, l'imbecille e il principio di non contraddizione Se l'imbecille è colui che è infermo di mente, in una conferenza stampa tenutasi a Torino sul valore dello strumento Internet, Umberto Eco ha fatto la figura dell'imbecille. Eccone i motivi
Le cerimonie di commemorazione e i momenti di festa per il 79° Anniversario della Liberazione nei comuni valsabbini e limitrofi
Accompagnata, tra gli altri, da Nicola Bianco Speroni del Rotary Club valsabbino, la signora Kobayashi, moglie del Console Generale del Giappone, ha visitato i giardini della Fondazione Heller
Per la rassegna “Altri Sguardi” questo mercoledì, 24 aprile, Federica Molteni in scena nello spettacolo dedicato al ciclista italiano che salvò centinaia di ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale
Al sodalizio sono stati legati, nel corso degli anni, ristoranti valsabbini e gardesani che donavano ai commensali degli speciali piatti in ceramica decorati, ora oggetto di collezione
Tutti noi abbiamo familiarità con l'attesa. Solitamente non la vediamo di buon occhio e, se fosse possibile accorciare i tempi per ottenere una determinata cosa, immagino che nessuno di noi si tirerebbe indietro. Ma l'attesa non potrebbe avere anche degli aspetti positivi?
Il coro di Puegnago del Garda ha vinto il secondo premio al Concorso Corale Nazionale
Questo mercoledì, 17 aprile, al Cinema di Vestone la commedia amara del regisa finlandese, chiusura di una quadrilogia iniziata nel lontano 1986
Inaugurata alla presenza delle autorità la mostra “L’età del Legno. 4000 anni fa al Lucone” presso il Museo archeologico della Valle Sabbia
Annalisa Durante, la torcia che diffonde luce dovunque sia raccontata la sua storia
La sezione valsabbina dei Testimoni di Geova è impegnata in un'importante campagna mediatica per combattere un fenomeno che coinvolge ormai circa 300 milioni di persone nel mondo
ID59774 - 03/08/2015 10:03:00 - (Dru) -
Expo, Eco racconta la globalizzazione buona: “La cultura crea nuova fratellanza” su la stampa, lo trovate in Internet...