L'altro giorno qualcuno mi ha dato dell'apologeta dell'immoralismo, perché ne sarei un tifoso nel definirne i contorni e le dinamiche dentro il nichilismo (=l'esser niente)...
La verità è già da sempre, chi è fallace lo è nei confronti della verità, chi falla manca di qualcosa, dove manca manca? manca "nella verità", gli si oppone, la contrasta, "vuole" contrastarla, ma infine non vi riesce, perché appunto la non-verità è quella contraddizione nei confronti della verità che è l'immediato al mediato contraddirvisi. La verità non può essere qualche cosa che va cercata, non possiamo noi essere fuori dalla verità, come non possiamo definirci vincenti che senza la presenza dei perdenti.
in che modo guardiamo le cose? e/o come ci poniamo ad esse? saremo o vincenti o perdent? e chi dice che ci siano vincenti e perdenti? sembra messo in un quadro di competizione. il fatto che uno voglia migliorare personalmente conoscendo i suoi limiti per me è già vincente, indipendentemente dal risultato. oppure essere vincenti ha una misura? ha un valore economico?col nichilismo nessuno è vincente nessuno è perdente?tu d che parte stai? ti ritieni vincente o perdente? ciao :)
per mia esperienza personale, i perdenti(per come li intendo io!!!) si impegnano, lavorano, studiano e sono molto più preprati dei vincenti. con questo non significa che i vincenti abbiano fortuna ad essere vincenti. solo che bisogna allineare la preparazione con l'azione. chi sa spesso non fa, e chi fa spesso fa male.!!! e infine, nella vita sii può essere perdenti per qualcosa ma vincenti in tante altre cose (per cosa intendo amore, affetti, lavoro, ecc...)
Le cose le guardiamo o/e, identicamente, le pensiamo. Noi siamo, in quanto tali, in quanto individui pensanti, una parte, e come parte pensiamo e sappiamo che siamo parte del tutto (pensiero) (non c'é parte altrimenti per chi definisce la parte) o pensiamo e sappiamo , indistintamente, che non c'é parte e non c'é tutto, la coerenza del nichilismo, e pensiamo, nichilisticamente, l'esser niente delle cose tutte. È appunto così, questo è il modo, che noi pensiamo e ci riconosciamo in questo pensiero alienante, lo pensiamo in quanto viventi o mortali, in quanto vivere significa dominare la morte, significa, fin tanto che si "può", isolare appunto la parte, astrarla al punto di pensarla come parte a sé, senza il tutto ( questo significa la ricerca del tutto, o verità). Perché ho detto sopra che indistintamente noi pensiamo in modi diversi ? Perché, appunto, noi pensiamo, questo dovrebbe riflettere
intuitivamente il senso vero della cosa e cosa significhi la verità. la verità è l'apparire dell'esser sé dell'essente e cioè del suo non esser l'altro da sé, l'incontrovertibile appunto, l'immutabile , non quello che sta fin tanto che sta identicamente a sé, come vuole il principio di non contraddizione e tutta la tradizione epistemica della verità. Quello incontrovertibilmente vero dunque , non quello controvertibilmente vero, come vuole la volontà del mortale.
Ecco, questa domanda è posta dal punto di vista del nichilismo, solo il nichilista, in quanto tale, in quanto pensa l'esser niente delle cose, può pensare di poter vincere le cose, ma il nichilismo è l'errore e in quanto errore è il nostro errare, il nostro cercare la verità appunto, pensando di esserne fuori. No, afferma il destino della necessità, o la verità come il destino delle cose, noi siamo già da sempre dentro la verità, noi siamo già da sempre infinitamente più di quello che pensiamo di essere nel pensiero nichilista, noi siamo già da sempre, "siamo re che si credono mendicanti".
...ti indirizzo ai miei articoli "Tecnica 3.2" e "Le Verità che diventano Autorità" che, coerentemente al pensiero nichilista ( = dell'esser niente delle cose), specificano il senso di questa potenza impotente, ma che, come potenza del nichilista, non è vista come tale, come dimostrano, in luce, le tue stesse parole.
Può l'uomo smettere di volere? Se si rispondesse di sì saremmo costretti a negare l'uomo come espressione vivente di volontà, cadendo in palese contraddizione. Dunque l'uomo non può smetter di volere. Volontà significa scelta: l'uomo non può non scegliere. Questa affermazione è tanto vera quanto l'espressione che anche non scegliere è in fondo una scelta. Ed è espressione ancora più vera se si pensa che ogni scelta non può che avere conseguenze nella sfera morale, sia in termini positivi che negativi. Al di là delle intenzioni, non è contraddittorio affermare che l'uomo si muove "necessariamente" tra il piano del moralismo o dell'immoralismo, conseguenza appunto della sua impossibilità di smettere di volere, ossia di smettere di scegliere. Se quanto sopra è vero, per come è vero, alla luce di questa verità vorrei analizzare le seguenti espressioni comparse in calce al
mio articolo "Baluardo della democrazia o fascisti inconsapevoli?": ID41221: "...Il Principe non può osservare le regole e i confini della morale se la condizione in cui versa non lo permette, altrimenti finirà rovinato dall’astuzia altrui"; ID41222: "devi definire cosa intendi per "seria" e "alta", CERTO CHE SE INTENDI PER SERIO E ALTO L'ASTUZIA E LA FURBIZIA O LA FORZA ANIMALE E ANIMALESCA ALLORA SIAMO D'ACCORDO"; ID41223 "...le verità (epistemiche della tradizione - nota mia) sono i vincoli che limitano la libertà, la libertà appunto del Principe di essere anche un animale o astuto, libertà di vincoli morali, libertà di uccidere ad esempio, perché la forza per vincere non deve essere limitata da vincoli quali "la vita dell'uomo", ad esempio...". Queste tre affermazioni, tenendo presente la premessa che ho fatto, implicano "necessariamente" una scelta di campo in termini morali. Chi le ha scritte, in pratica, ha scelto il
campo morale in cui stare. E per le stesse premesse, non potendo esimersi da una scelta, l'ha fatta per il campo dell'immoralismo piuttosto che per il moralismo. Nell'articolo poi si affronta anche un altro argomento: la dialettica perdente/vincente. Se rispetto a questo argomento si tengono in considerazione le stesse affermazioni di cui sopra, è chiaro che l'estensore vuole stare dalla parte dei vincenti. Ma, ipotizzando di non essere così immediati nel giudizio per carenza di normale senso logico, potremmo arrivarci lo stesso se considerassimo le affermazioni nell'articolo: "Chi vince, vince sulle cose o le persone (cose) che sono vinte. A questa dialettica non si può sfuggire, sfuggirne è contraddittorio", che vogliono esplicitamente dire che non si può uscire dalla logica vincente/perdente e che se vige tale struttura e si vuole vincere si deve accettare la presenza necessaria di un perdente. Faccio notare che qui l'autore intende dire
che non può essere accusato di volere che qualcuno perda perché è conseguenza del volere vincere. Facciamo notare però che nonostante l'uomo non possa che scegliere, non è vero che le scelte a sua disposizione sono solo nella logica bipolare vincere/perdere, perché in tale caso la realtà è molto più ampia rispetto alla ristrettezza di tale dicotomia. Se invece si insiste a volerla tale, la realtà, allora si cade nel manicheismo, di cui già abbiamo detto in altri post su questo giornale. A questo punto vorrei prevenire un'obiezione che potrebbe sorgere: perché nel caso della coppia moralismo/immoralismo vale l'impostazione dialettica mentre tra vincente/perdente no? La risposta è semplice: nel primo caso l'uomo non può scegliere una via di mezzo, nel secondo caso sì. Mi spiego meglio: nel primo caso non posso eliminare le conseguenze morali di una scelta perché l'uomo sceglie
suo malgrado sempre, nel secondo caso invece esistono vie di mezzo: si può voler vincere ottenendo un pareggio in cui non ci sono né vincitori né perdenti. Potremmo in conclusione fare questo paragone: quando si discute dell'essere "italiani" o dell'essere "poliziotti" non si dà una via di mezzo ossia o si è o non si è italiani, o si è o non si è poliziotti, ci può essere invece una via di mezzo tra bianco e nero, ossia il grigio. Dipende sempre dalla realtà che si sta giudicando. Come si nota, non ho affrontato il discorso filosofico contenuto nell'articolo se non per la prima parte. Nella seconda parte dell'articolo, più prettamente filosofico infatti, notiamo delle novità sostanziali rispetto alla strumentale interpretazione severiniana della denuncia del nichilismo congenito dell'Occidente. Ma attendiamo segnali più convincenti prima di formulare un ulteriore giudizio.
già definii cosa significhi per l'uomo occidentale moralismo, moralismo significa consuetudine nel seguire i costumi, costumi significa, per la Polis, le leggi che si è data. Morale, il moralismo e il moralista è colui che si adegua alle leggi dello stato, poi sorgono problemi in seno all'imperativo categorico kantiano , conseguenza anche del discorso fatto da Machiavelli, ma Kant nasce appunto dopo Machiavelli. Machiavelli definisce ciò che è morale per la chiesa immorale per il principe. Premessa, l'uomo si allea con la massima potenza sempre e riconosce nelle leggi che si è dato appunto la massima potenza. Prima sono le leggi di Dio, poi l'uomo pagano, vede che queste funzionano meno delle leggi terrene, allora sono le leggi terrene, poi l'uomo tecnico vede che le leggi terrene sono un vincolo alla sua libertà (alla sua potenza), allora è l'imperativo categorico kantiano., ecc...
Machiavelli, dicevo, semplicemente dice che se il Principe non vuole soffocare nelle leggi che non si è dato lui ma ha ricevuto da un altra sfera pubblica, allora deve farsi le sue leggi e le sue leggi, per essere appunto potente e cioè libero da leggi altrui, sono la furbizia l'astuzia e altre cose che non rivango.ma non lo dico io, lo dice il Principe di Machiavelli. Cioè Leretico non so come spiegarmi a tr che non vedo come tu non riesca a trovare il bandolo della matassa, ma facciamo un parallelo poliziesco, definirmi delinquente perché mi infiltro nell'organizzazione criminale per spiegartela significa non che io sono criminale, ma che tu, cittadino, non capisci ciò che sto facendo. Adesso non pensare che giustifichi la Chiesa nei confronti del Principe, o che io sia il mandante della Chiesa, semplicemente chi mi manda non è né della chiesa né del Principe, ma della Chiesa e del Principe la sua negazione.
Che sono determinazioni necessarie e dare del manicheo a chi le indaga può risultare, a prima vista, compiacente alla propria idea politica del mondo, ma filosoficamente è assolutamente insufficiente. Quando poi tu dici appunto che la scelta è nel campo dell'immoralismo, la scelta di chi scrive le frasi che hai virgolettato", le mie, questo tuo dire, questo tuo procedere, è logicamente fallace, perché non tiene conto di cosa significhi appunto Morale, un procedere appunto controvertibile per nulla determinato, questo si manicheo perché vuole imprigionare la morale(il bene) non libero di essere quello che è. Oggi morale per l'Occidente non è seguire le leggi di Dio (ciò che risultava potente ieri, oggi è impotente dice Machiavelli o Jefferson o Kant), ma ieri si, questo intercedere che devi indagare per comprendere dove sbagli in ciò che sostieni sulla morale. Sei manicheo a voler a tutti i costi puntare i
piedi della morale sul valori tradizionale ormai tramontati. Di nuovo, mi accusi di qualche cosa che non ho detto. Ho semplicemente detto che per il pensiero di colui che si pensa vincente non può pensarlo che secondo il perdente, infatti dico già nel titolo... Il vincente ( colui che pensa di vincere le cose) è il perdente ( colui che pensa di esser vinto dalle cose). Sei poi tu che in maniera manichea riduci, o astrai il mio che non è un mondo bipolare, polarizzando.
quando scelgo, scelgo perché mi conviene, o credo che mi convenga scegliere quella parte sul resto, sul tutto, questo è il gesto, questa la scelta, allora credo, sono convinto che quella parte mi fa vincere e il resto ciò che della scelta non ho scelto non l'ho scelta perché credo essere meno potente di ciò che ho scelto, questa la dinamica della volontà di potenza. Cedere di poter scegliere una parte sul tutto e di poterla possedere. Non è vero Leretico che l'uomo fa scelte, l'uomo crede di poter scegliere, perché la parte che si vorrebbe isolare, la parte che si crede di scegliere in realtà non è isolabile, porta con sé il tutto, ma questo è un capoverso di un paragrafo di un capitolo di un libro lungo.
SIAMO D'ACCORDO secondo quanto significa Machiavelli., secondo quanto il mondo racconta di sé durante il suo svolgersi nella storia del pensiero. Questo sarebbe il compito dello storico prima che del filosofo.
È scelta e gesto e respiro del vincente, di colui che pensa di vincere la parte nei confronti di quel tutto che recide e decide per sé, che si crede di vincere la parte sul tutto. anche il masochista è masochista, lo crede, per volontà di potenza, per vincere la parte, quella che del masochismo lo fa felice, sul resto del mondo. Scusa Leretico, altrimenti per quale motivo noi sceglieremmo? O crederemmo di scegliere ? Rifletti...
"Può l'uomo smettere di volere? Se si rispondesse di sì saremmo costretti a negare l'uomo come espressione vivente di volontà, cadendo in palese contraddizione. Dunque l'uomo non può smettere di volere. Volontà significa scelta: l'uomo non può non scegliere." Rispondere che l'uomo non può smettere di volere è già una volontà in quanto risposta alla domanda in principio, ma che l'uomo possa smettere di volere non è già in sé una contradizione fin che non si veda appunto ciò che ho detto del senso della volontà, finché la volontà non sia appunto il voler far diventare altro da sé il sé, fin tanto che appunto non si vede la contraddizione, fin tanto che non si veda la Volontà in sé e per sé. La contraddizione, la contraddizione pura non esiste, ma esiste come negata, dire appunto che la contraddizione della volontà è
smettere di volere, è non vedere la contraddizione, perché smettere di volere è volontà . La volontà è scelta appunto e la scelta è possibile solo se si crede di poter scegliere, di poter recidere, di poter dividere, e infine di poter raccogliere a sé, ciò che si vuole scegliere dal resto, il resto è trattato, è visto, nell'atto della decisione, come niente, fin tanto che si crede di poter scegliere, di poter decidere, di poter recidere, di poter dividere e infine di poter raccogliere a sé, altrimenti il resto non sarebbe quell'altro da sé che è appunto volontà in quanto mediato di ciò che si sarebbe, del resto, dell'altro, scelto di man-tenere (in vita), di trattenere.
In questo senso la volontà è volontà di far diventare altro da sé ogni cosa, ma questo senso, il senso che diamo da non-nichilisti le cose, al nichilismo è un senso infinitamente nascosto e inconscio della coscienza nichilista, che è essenzialmente diverso da come sopra instauri il tuo principio della volontà vivente, il cosiddetto tuo discorso sulla volontà non vede che l'evidenza di come stanno le cose che divengono altro da sé è implicito già come negazione della tua premessa, non lo vedi perché è difficile da scorgere, come ogni cosa vera.
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ID43397 - 07/04/2014 09:40:58 - (sonia.c) - uau!
la ammesso! uau!!!!wow...complimenti! ihih batti cinque dru....la verità è un avventura..cerchiamola insieme..