07 Aprile 2014, 07.16
Terza pagina

Il vincente è il perdente, sono la stessa «cosa»

di Dru

L'altro giorno qualcuno mi ha dato dell'apologeta dell'immoralismo, perché ne sarei un tifoso nel definirne i contorni e le dinamiche dentro il nichilismo (=l'esser niente)...


...e mi ha chiesto di scrivere con termini che siano comprensibili, determinando il mondo che lo circonda e cercando in questo, appunto, di vincerlo a sé.

Poi mi ha detto che sono vincolato alla dialettica vincente/perdente, accusandomi di vantarmi di stare con i primi e di capirli, piuttosto che i secondi, dimostrandomi nuovamente, in lui, un forte egoismo determinista, che vuole vincere a sé le cose, solo in quanto ho parlato di questa dialettica e gli ho fatto vedere di cosa si tratta, come quella logica nichilista (=l'esser niente) vista dal non-nichilismo (=l'esser qualcosa); per lui io, con questo mostrare, mi dichiarerei al riparo dal dubbio.

Alla fine mi ha dato del manicheo, perché rispondo alle logiche di alcuni ragionamenti fatti intorno alla politica in Vallesabbianews, le stesse che lui persegue pretendendo ora, per volontà, di distinguersene.

Quel qualcuno insiste a dirmi "cosa devo fare" e cosa "non devo fare".

Mi accusa di cadere nella "fallacia ad hominem", senza forse rendersi conto di quanto questa caduta, mentre lo dice, sia farina del suo sacco.

La fallacia l'adopera come clava, poiché, al dunque, gli riamane sempre più spesso l'attacco alla mia persona e non agli argomenti che  tratto, mancando forse di argomenti ?

A me piace ascoltare e non mi scuso se riporto qualcosa di ciò che ho ascoltato, mi scuserò quando mi si mostrerà la contraddizione di ciò (gli argomenti) che dico.

Dico a quel qualcuno che non sono perfetto, come gli può sembrare a primo acchito, ma quantomeno non ho mai disposto a nessuno, del proprio pensiero, il "dover fare".

Sento  la contraddizione, unico vero e giusto parametro per dire di un argomento che sia vero o falso, sempre in base a quel famoso principio che sta ancora come fondamento  di tutta la scienza, il principium firmissimum di Aristotele

Il principium firmissimum, il massimo della contraddizione, ma questa è un'altra storia, ma nemmeno  tanto...

Dove il perdente si crede un vincente... segue l'argomento

Se pensiamo ad un vincente non possiamo pensare che ad un vincente rispetto ad un perdente.

Non v'è vincente senza perdente.

Un vincente senza un perdente mancherebbe di quel qualcosa che lo determini.

Chi vince, vince sulle cose o le persone (cose) che sono vinte.

A questa dialettica non si può sfuggire, sfuggirne è contraddittorio.

Il contraddittorio per il pensiero che è (pensando  il vincente senza il perdente, di ciò  che manca della sua ragione) dinamica uscente dal dominio o dalla volontà di potenza, contenuto della contraddizione, che dice di un vincente senza perdente.

 Ma il nichilismo (=l'essere niente) questa contraddizione la vede e la vuole eliminare senza per altro riuscirvi.

Chi ha questa visione delle cose vincibili afferma (pensa) che le cose possono essere vinte (essere vinte significa l'essere niente di ciò che erano), come non essere vinte (non essere vinte significa l'essere ancora di ciò che erano allora).

Qualcosa o  qualcuno vince su qualcosa o qualcuno.

Ma vincere una cosa o una persona cosa significa?

L'ho appunto accennato sopra, quando ho detto che "chi afferma vuole", e ora lo mostrerò anche, consapevole di dire cose che violenteranno il senso comune.

Se le cose possono essere vinte significa che possono essere altro da sé, perché il "potere vincere" le cose indica, delle cose, che possono essere vinte, come anche che non possono essere vinte, che quando sono vinte non sono quello che erano prima di esser vinte e quando non sono vinte allora sono quello che erano prima di esser vinte.

Semplicemente è per quello che pensiamo che siano le cose il loro essere sé e non l'altro da sé, fin tanto che son l'esser sé, poiché "possono" essere come non essere quello che sono, quando divengono altro da sé e  non sono quello che erano.

Allora, chi pensa di vincere le cose, o persone, pensa che, di una cosa che è il prodotto, la volontà può farla diventare una cosa che non è quello che è, ma quell'altro da sé, la cosa vinta appunto.

La cosa vinta è quella cosa che è divenuta altro da sé.

Questo pensiero che pensa di far diventare una cosa o una persona quello che non è, l'altro da sé, o di quello che era, ciò che appunto non è più, è il pensare di poter "vincere" la cosa o la persona (sempre cosa), è la contraddizione massima, è il nichilismo (=l'esser niente) di quella cosa che quando era è diventata niente per essere, dal niente che è (= nichilismo), la cosa vinta .

Nel pensiero nichilista (=l'esser niente), nel nostro pensare, questa volontà di far diventare altro da sé, le cose che sono, è l'evidenza suprema e incontrovertibile della cosa.

Pur non accettandone la forma nichilsta (l'=esser niente) e, non accettandone la forma, rifiutandola, restando al di fuori di ogni visione del contenuto contraddittorio, il pensiero nichilista pone, contapponendosi, la nullità del suo pensiero .

Nel pensiero non-nichilista (l'esser sé e il suo non esser altro da sé) non c'è spazio per vinti e vincitori le cose, perché le cose sono il loro esser sé e il non esser l'altro da sé, questo è l'incontrovertibile delle cose, il non poterle vincere, in quanto sono già da sempre.

Sarebbe qui dispendioso, ora, spiegare perché la seconda proposizione afferma (vince, pone) necessariamente (sulla) la prima (anche se in altri miei scritti qui l'ho fatto), vi basti pensare che se fosse affermata per sé la prima, allora mostreremmo la sua contraddizione, ricadendo nella seconda, e che quindi la prima come negazione della seconda è autonegazione, nega se stessa.

Ma non voglio complicare oltre.

A questo punto se chi mi sta leggendo non capisce quello che dietro il senso comune sto indicando, se non fa camminare il pensiero, se non si sforza di capire, perché il pensiero cammina solo sforzandosi di farlo camminare, beh! quel qualcuno può benissimo pensare che in questo momento stia facendo apologia di discorsi per lui strampalati, ma gli chiederei per piacere di limitarsi ad indicarmene le contraddizioni e non semplicemente dicendo che son discorsi strampalati, perché questa sarebbe  la vera fallacia ad hominem.

Infine si, è vero, lo dichiaro pubblicamente, sono fallace.

Dru


Commenti:
ID43397 - 07/04/2014 09:40:58 - (sonia.c) - uau!

la ammesso! uau!!!!wow...complimenti! ihih batti cinque dru....la verità è un avventura..cerchiamola insieme..

ID43398 - 07/04/2014 10:06:49 - (Dru) - Le cose sono già da sempre vere

La verità è già da sempre, chi è fallace lo è nei confronti della verità, chi falla manca di qualcosa, dove manca manca? manca "nella verità", gli si oppone, la contrasta, "vuole" contrastarla, ma infine non vi riesce, perché appunto la non-verità è quella contraddizione nei confronti della verità che è l'immediato al mediato contraddirvisi. La verità non può essere qualche cosa che va cercata, non possiamo noi essere fuori dalla verità, come non possiamo definirci vincenti che senza la presenza dei perdenti.

ID43402 - 07/04/2014 11:12:54 - (ROBIN) - dove sta la verità? :)

in che modo guardiamo le cose? e/o come ci poniamo ad esse? saremo o vincenti o perdent? e chi dice che ci siano vincenti e perdenti? sembra messo in un quadro di competizione. il fatto che uno voglia migliorare personalmente conoscendo i suoi limiti per me è già vincente, indipendentemente dal risultato. oppure essere vincenti ha una misura? ha un valore economico?col nichilismo nessuno è vincente nessuno è perdente?tu d che parte stai? ti ritieni vincente o perdente? ciao :)

ID43403 - 07/04/2014 11:24:58 - (ROBIN) - aggiungo

per mia esperienza personale, i perdenti(per come li intendo io!!!) si impegnano, lavorano, studiano e sono molto più preprati dei vincenti. con questo non significa che i vincenti abbiano fortuna ad essere vincenti. solo che bisogna allineare la preparazione con l'azione. chi sa spesso non fa, e chi fa spesso fa male.!!! e infine, nella vita sii può essere perdenti per qualcosa ma vincenti in tante altre cose (per cosa intendo amore, affetti, lavoro, ecc...)

ID43406 - 07/04/2014 11:46:05 - (Dru) - Si, c'è anche il "modo" in cui guardiamo le cose

Le cose le guardiamo o/e, identicamente, le pensiamo. Noi siamo, in quanto tali, in quanto individui pensanti, una parte, e come parte pensiamo e sappiamo che siamo parte del tutto (pensiero) (non c'é parte altrimenti per chi definisce la parte) o pensiamo e sappiamo , indistintamente, che non c'é parte e non c'é tutto, la coerenza del nichilismo, e pensiamo, nichilisticamente, l'esser niente delle cose tutte. È appunto così, questo è il modo, che noi pensiamo e ci riconosciamo in questo pensiero alienante, lo pensiamo in quanto viventi o mortali, in quanto vivere significa dominare la morte, significa, fin tanto che si "può", isolare appunto la parte, astrarla al punto di pensarla come parte a sé, senza il tutto ( questo significa la ricerca del tutto, o verità). Perché ho detto sopra che indistintamente noi pensiamo in modi diversi ? Perché, appunto, noi pensiamo, questo dovrebbe riflettere

ID43410 - 07/04/2014 11:54:09 - (Dru) -

intuitivamente il senso vero della cosa e cosa significhi la verità. la verità è l'apparire dell'esser sé dell'essente e cioè del suo non esser l'altro da sé, l'incontrovertibile appunto, l'immutabile , non quello che sta fin tanto che sta identicamente a sé, come vuole il principio di non contraddizione e tutta la tradizione epistemica della verità. Quello incontrovertibilmente vero dunque , non quello controvertibilmente vero, come vuole la volontà del mortale.

ID43411 - 07/04/2014 12:02:13 - (Dru) - Io sono un perdente o un vincente ?

Ecco, questa domanda è posta dal punto di vista del nichilismo, solo il nichilista, in quanto tale, in quanto pensa l'esser niente delle cose, può pensare di poter vincere le cose, ma il nichilismo è l'errore e in quanto errore è il nostro errare, il nostro cercare la verità appunto, pensando di esserne fuori. No, afferma il destino della necessità, o la verità come il destino delle cose, noi siamo già da sempre dentro la verità, noi siamo già da sempre infinitamente più di quello che pensiamo di essere nel pensiero nichilista, noi siamo già da sempre, "siamo re che si credono mendicanti".

ID43414 - 07/04/2014 12:26:56 - (Dru) - Per ciò che concerne il tuo pensiero sui vincenti che sarebbero, nella prospettiva dei vincenti i perdenti, Robin...

...ti indirizzo ai miei articoli "Tecnica 3.2" e "Le Verità che diventano Autorità" che, coerentemente al pensiero nichilista ( = dell'esser niente delle cose), specificano il senso di questa potenza impotente, ma che, come potenza del nichilista, non è vista come tale, come dimostrano, in luce, le tue stesse parole.

ID43502 - 09/04/2014 09:47:27 - (Leretico) - Moralismo e immoralismo

Può l'uomo smettere di volere? Se si rispondesse di sì saremmo costretti a negare l'uomo come espressione vivente di volontà, cadendo in palese contraddizione. Dunque l'uomo non può smetter di volere. Volontà significa scelta: l'uomo non può non scegliere. Questa affermazione è tanto vera quanto l'espressione che anche non scegliere è in fondo una scelta. Ed è espressione ancora più vera se si pensa che ogni scelta non può che avere conseguenze nella sfera morale, sia in termini positivi che negativi. Al di là delle intenzioni, non è contraddittorio affermare che l'uomo si muove "necessariamente" tra il piano del moralismo o dell'immoralismo, conseguenza appunto della sua impossibilità di smettere di volere, ossia di smettere di scegliere. Se quanto sopra è vero, per come è vero, alla luce di questa verità vorrei analizzare le seguenti espressioni comparse in calce al

ID43503 - 09/04/2014 09:56:13 - (Leretico) - continua

mio articolo "Baluardo della democrazia o fascisti inconsapevoli?": ID41221: "...Il Principe non può osservare le regole e i confini della morale se la condizione in cui versa non lo permette, altrimenti finirà rovinato dall’astuzia altrui"; ID41222: "devi definire cosa intendi per "seria" e "alta", CERTO CHE SE INTENDI PER SERIO E ALTO L'ASTUZIA E LA FURBIZIA O LA FORZA ANIMALE E ANIMALESCA ALLORA SIAMO D'ACCORDO"; ID41223 "...le verità (epistemiche della tradizione - nota mia) sono i vincoli che limitano la libertà, la libertà appunto del Principe di essere anche un animale o astuto, libertà di vincoli morali, libertà di uccidere ad esempio, perché la forza per vincere non deve essere limitata da vincoli quali "la vita dell'uomo", ad esempio...". Queste tre affermazioni, tenendo presente la premessa che ho fatto, implicano "necessariamente" una scelta di campo in termini morali. Chi le ha scritte, in pratica, ha scelto il

ID43505 - 09/04/2014 10:28:11 - (Leretico) - continua

campo morale in cui stare. E per le stesse premesse, non potendo esimersi da una scelta, l'ha fatta per il campo dell'immoralismo piuttosto che per il moralismo. Nell'articolo poi si affronta anche un altro argomento: la dialettica perdente/vincente. Se rispetto a questo argomento si tengono in considerazione le stesse affermazioni di cui sopra, è chiaro che l'estensore vuole stare dalla parte dei vincenti. Ma, ipotizzando di non essere così immediati nel giudizio per carenza di normale senso logico, potremmo arrivarci lo stesso se considerassimo le affermazioni nell'articolo: "Chi vince, vince sulle cose o le persone (cose) che sono vinte. A questa dialettica non si può sfuggire, sfuggirne è contraddittorio", che vogliono esplicitamente dire che non si può uscire dalla logica vincente/perdente e che se vige tale struttura e si vuole vincere si deve accettare la presenza necessaria di un perdente. Faccio notare che qui l'autore intende dire

ID43506 - 09/04/2014 10:40:15 - (Leretico) - continua

che non può essere accusato di volere che qualcuno perda perché è conseguenza del volere vincere. Facciamo notare però che nonostante l'uomo non possa che scegliere, non è vero che le scelte a sua disposizione sono solo nella logica bipolare vincere/perdere, perché in tale caso la realtà è molto più ampia rispetto alla ristrettezza di tale dicotomia. Se invece si insiste a volerla tale, la realtà, allora si cade nel manicheismo, di cui già abbiamo detto in altri post su questo giornale. A questo punto vorrei prevenire un'obiezione che potrebbe sorgere: perché nel caso della coppia moralismo/immoralismo vale l'impostazione dialettica mentre tra vincente/perdente no? La risposta è semplice: nel primo caso l'uomo non può scegliere una via di mezzo, nel secondo caso sì. Mi spiego meglio: nel primo caso non posso eliminare le conseguenze morali di una scelta perché l'uomo sceglie

ID43507 - 09/04/2014 10:51:39 - (Leretico) - continua

suo malgrado sempre, nel secondo caso invece esistono vie di mezzo: si può voler vincere ottenendo un pareggio in cui non ci sono né vincitori né perdenti. Potremmo in conclusione fare questo paragone: quando si discute dell'essere "italiani" o dell'essere "poliziotti" non si dà una via di mezzo ossia o si è o non si è italiani, o si è o non si è poliziotti, ci può essere invece una via di mezzo tra bianco e nero, ossia il grigio. Dipende sempre dalla realtà che si sta giudicando. Come si nota, non ho affrontato il discorso filosofico contenuto nell'articolo se non per la prima parte. Nella seconda parte dell'articolo, più prettamente filosofico infatti, notiamo delle novità sostanziali rispetto alla strumentale interpretazione severiniana della denuncia del nichilismo congenito dell'Occidente. Ma attendiamo segnali più convincenti prima di formulare un ulteriore giudizio.

ID43508 - 09/04/2014 11:12:18 - (Dru) - Moralismo e immoralismo nel tempo di Machiavelli semplificando molto

già definii cosa significhi per l'uomo occidentale moralismo, moralismo significa consuetudine nel seguire i costumi, costumi significa, per la Polis, le leggi che si è data. Morale, il moralismo e il moralista è colui che si adegua alle leggi dello stato, poi sorgono problemi in seno all'imperativo categorico kantiano , conseguenza anche del discorso fatto da Machiavelli, ma Kant nasce appunto dopo Machiavelli. Machiavelli definisce ciò che è morale per la chiesa immorale per il principe. Premessa, l'uomo si allea con la massima potenza sempre e riconosce nelle leggi che si è dato appunto la massima potenza. Prima sono le leggi di Dio, poi l'uomo pagano, vede che queste funzionano meno delle leggi terrene, allora sono le leggi terrene, poi l'uomo tecnico vede che le leggi terrene sono un vincolo alla sua libertà (alla sua potenza), allora è l'imperativo categorico kantiano., ecc...

ID43509 - 09/04/2014 11:21:02 - (Dru) - la frantumazione della terra, i vincoli si sciolgono, l'assoluto è la libertà .

Machiavelli, dicevo, semplicemente dice che se il Principe non vuole soffocare nelle leggi che non si è dato lui ma ha ricevuto da un altra sfera pubblica, allora deve farsi le sue leggi e le sue leggi, per essere appunto potente e cioè libero da leggi altrui, sono la furbizia l'astuzia e altre cose che non rivango.ma non lo dico io, lo dice il Principe di Machiavelli. Cioè Leretico non so come spiegarmi a tr che non vedo come tu non riesca a trovare il bandolo della matassa, ma facciamo un parallelo poliziesco, definirmi delinquente perché mi infiltro nell'organizzazione criminale per spiegartela significa non che io sono criminale, ma che tu, cittadino, non capisci ciò che sto facendo. Adesso non pensare che giustifichi la Chiesa nei confronti del Principe, o che io sia il mandante della Chiesa, semplicemente chi mi manda non è né della chiesa né del Principe, ma della Chiesa e del Principe la sua negazione.

ID43510 - 09/04/2014 11:35:32 - (Dru) - ma purtroppo, o per fortuna, c'è la Chiesa e c'é il Principe.

Che sono determinazioni necessarie e dare del manicheo a chi le indaga può risultare, a prima vista, compiacente alla propria idea politica del mondo, ma filosoficamente è assolutamente insufficiente. Quando poi tu dici appunto che la scelta è nel campo dell'immoralismo, la scelta di chi scrive le frasi che hai virgolettato", le mie, questo tuo dire, questo tuo procedere, è logicamente fallace, perché non tiene conto di cosa significhi appunto Morale, un procedere appunto controvertibile per nulla determinato, questo si manicheo perché vuole imprigionare la morale(il bene) non libero di essere quello che è. Oggi morale per l'Occidente non è seguire le leggi di Dio (ciò che risultava potente ieri, oggi è impotente dice Machiavelli o Jefferson o Kant), ma ieri si, questo intercedere che devi indagare per comprendere dove sbagli in ciò che sostieni sulla morale. Sei manicheo a voler a tutti i costi puntare i

ID43511 - 09/04/2014 11:45:22 - (Dru) - vincere/perdere

piedi della morale sul valori tradizionale ormai tramontati. Di nuovo, mi accusi di qualche cosa che non ho detto. Ho semplicemente detto che per il pensiero di colui che si pensa vincente non può pensarlo che secondo il perdente, infatti dico già nel titolo... Il vincente ( colui che pensa di vincere le cose) è il perdente ( colui che pensa di esser vinto dalle cose). Sei poi tu che in maniera manichea riduci, o astrai il mio che non è un mondo bipolare, polarizzando.

ID43512 - 09/04/2014 11:56:41 - (Dru) - sul significato del contraddittorio e della scelta

quando scelgo, scelgo perché mi conviene, o credo che mi convenga scegliere quella parte sul resto, sul tutto, questo è il gesto, questa la scelta, allora credo, sono convinto che quella parte mi fa vincere e il resto ciò che della scelta non ho scelto non l'ho scelta perché credo essere meno potente di ciò che ho scelto, questa la dinamica della volontà di potenza. Cedere di poter scegliere una parte sul tutto e di poterla possedere. Non è vero Leretico che l'uomo fa scelte, l'uomo crede di poter scegliere, perché la parte che si vorrebbe isolare, la parte che si crede di scegliere in realtà non è isolabile, porta con sé il tutto, ma questo è un capoverso di un paragrafo di un capitolo di un libro lungo.

ID43513 - 09/04/2014 12:48:04 - (Dru) - Insisto sul tuo virgolettato dove sembrerebbe a tuo dire che io condivida un'immoralismo per qualcuno che è diventata morale per il Principe.

SIAMO D'ACCORDO secondo quanto significa Machiavelli., secondo quanto il mondo racconta di sé durante il suo svolgersi nella storia del pensiero. Questo sarebbe il compito dello storico prima che del filosofo.

ID43515 - 09/04/2014 13:05:41 - (Dru) - In ogni nostra scelta, in ogni nostro gesto, in ogni nostro respiro...

È scelta e gesto e respiro del vincente, di colui che pensa di vincere la parte nei confronti di quel tutto che recide e decide per sé, che si crede di vincere la parte sul tutto. anche il masochista è masochista, lo crede, per volontà di potenza, per vincere la parte, quella che del masochismo lo fa felice, sul resto del mondo. Scusa Leretico, altrimenti per quale motivo noi sceglieremmo? O crederemmo di scegliere ? Rifletti...

ID43519 - 09/04/2014 15:13:22 - (Dru) - infine, visto che ambisci a difendere le cosiddette tu premesse, veniamo al dunque...

"Può l'uomo smettere di volere? Se si rispondesse di sì saremmo costretti a negare l'uomo come espressione vivente di volontà, cadendo in palese contraddizione. Dunque l'uomo non può smettere di volere. Volontà significa scelta: l'uomo non può non scegliere." Rispondere che l'uomo non può smettere di volere è già una volontà in quanto risposta alla domanda in principio, ma che l'uomo possa smettere di volere non è già in sé una contradizione fin che non si veda appunto ciò che ho detto del senso della volontà, finché la volontà non sia appunto il voler far diventare altro da sé il sé, fin tanto che appunto non si vede la contraddizione, fin tanto che non si veda la Volontà in sé e per sé. La contraddizione, la contraddizione pura non esiste, ma esiste come negata, dire appunto che la contraddizione della volontà è

ID43520 - 09/04/2014 15:17:20 - (Dru) -

smettere di volere, è non vedere la contraddizione, perché smettere di volere è volontà . La volontà è scelta appunto e la scelta è possibile solo se si crede di poter scegliere, di poter recidere, di poter dividere, e infine di poter raccogliere a sé, ciò che si vuole scegliere dal resto, il resto è trattato, è visto, nell'atto della decisione, come niente, fin tanto che si crede di poter scegliere, di poter decidere, di poter recidere, di poter dividere e infine di poter raccogliere a sé, altrimenti il resto non sarebbe quell'altro da sé che è appunto volontà in quanto mediato di ciò che si sarebbe, del resto, dell'altro, scelto di man-tenere (in vita), di trattenere.

ID43521 - 09/04/2014 15:17:42 - (Dru) -

In questo senso la volontà è volontà di far diventare altro da sé ogni cosa, ma questo senso, il senso che diamo da non-nichilisti le cose, al nichilismo è un senso infinitamente nascosto e inconscio della coscienza nichilista, che è essenzialmente diverso da come sopra instauri il tuo principio della volontà vivente, il cosiddetto tuo discorso sulla volontà non vede che l'evidenza di come stanno le cose che divengono altro da sé è implicito già come negazione della tua premessa, non lo vedi perché è difficile da scorgere, come ogni cosa vera.

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