08 Aprile 2017, 13.35
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Saviano & i social network

“Per me la rete è la piazza dove nella realtà non posso andare. Ha amplificato l’esistente, ma nessuno lì è davvero se stesso”

 
Hanno portato la primavera (o quasi) nei Paesi arabi, hanno eletto Trump e strappato il Regno Unito all’Europa.
La Danimarca ci ha messo un ambasciatore, con quasi due miliardi di utenti sono un mondo. Sono come la vita: qualcuno si è ucciso schiacciato dal cyberbullismo, qualcuno è diventato ricco con un’intuizione.

I ragazzi sotto i vent’anni ci abitano e se provate a dirgli che c’è stata un’epoca in cui non esistevano vi guarderebbero come un marziano.
Sono i social: Facebook, e a scendere Twitter, Instagram e via clonando. Roberto Saviano, anche per la sua storia personale, li studia da tempo.
Ci sta dentro con il coraggio che disegna tutta la sua produzione.
A Torino per il Festival Sotto i 18 (SottoDiciotto), li ha raccontati insieme alla youtuber Sofia Viscardi.  
 
Sei (in teoria servirebbe il lei, ma con Roberto dopo un minuto è impossibile, ndr) uno dei pochissimi scrittori che quando fa post su un libro, lo manda in classifica: la avverti come una responsabilità? Libri e social sono in conflitto?  
«Sono felice di avere questa forza e quindi la uso, ma con parsimonia. Il conflitto tra libri e social nasce nel rapporto con il tempo: un libro non può essere giudicato subito, come una foto o un video.
La lettura pretende tempo, è individuale e quindi forse a-social: ecco, mi piace muovermi all’interno di questa contraddizione».  
 
Quando hai iniziato a scoprire e a usare i social?  
«Prestissimo. Vivendo sotto scorta, ho percepito immediatamente Facebook come quel luogo, quella piazza che nella realtà mi era ormai preclusa. Poi è arrivato Twitter per cui vale un discorso diverso.
I 140 caratteri lo hanno reso all’inizio il naturale sostituto dei lanci d’agenzia, anche e soprattutto per la vicinanza che crea con i personaggi pubblici. Obama è su Twitter, io posso leggere ciò che scrive e soprattutto commentare i suoi tweet.
Commentare sul profilo di Obama o del Papa fa sentire i follower protagonisti anche e soprattutto perché, dando attenzione a un personaggio (nel bene o nel male), si contribuisce a farlo diventare di tendenza».  
 
Nella tua condizione di uomo sotto scorta e in certo senso isolato quanto sono importanti per te e quanto un boomerang?  
«Per me i social non sono un boomerang per un motivo semplice da enunciare, ma complicatissimo da rendere operativo: esiste una guida all’uso che non serve ad avere più condivisioni, più like, o a creare engagement, ma innanzitutto a preservare la propria dignità: non bisogna mai cedere all’aggressività, al turpiloquio, alla semplificazione.
Stare sui social a tempo perso, distrattamente, espone a rischi. Bisogna pretendere da se stessi, e da chi partecipa alle discussioni, un apporto costruttivo». 
 
Che regole ti sei dato nell’usarli?  
«Non attaccare, niente violenza verbale. Non vendicarsi di chi mi ha colpito e ha usato contro di me violenza verbale e gratuita.
Dire sempre ciò che sento, senza pensare che un argomento sia inutile affrontarlo perché non ha pubblico, non ha seguito, farebbe fatica a diventare virale. Parlare di libri sui social è la sfida più difficile oggi». 
 
Dalla Primavera araba il peso politico dei social è cresciuto a dismisura sino ad arrivare a giocare un ruolo nella Brexit e nelle elezioni di Trump. Come valuti questo? Quali rischi comporta?  
«In verità il peso va di pari passo con l’abbassamento della qualità del messaggio che veicolano.
I social sono stati utilizzati alla vigilia della Primavera araba per fare informazione laddove non era possibile farlo in altro modo, per chiamare a raccolta e per creare empatia.
Oggi sono il miglior veicolo di diffusione della post verità. Naturalmente la responsabilità è di chi ne fa un uso improprio e scorretto, ma anche di chi, affetto da analfabetismo funzionale, oggi pensa “è vero perché l’ho letto su Facebook” come ieri diceva “è vero perché l’ha detto la tv”». 
 
Trump governa a colpi di tweet, gestire la complessità dei tempi moderni in 140 caratteri non è un azzardo?  
«Assolutamente. Ma penso ai tre porcellini Disney in cui, nella versione italiana, la voce del lupo era quella splendida di Arnoldo Foà.
Ce la prendiamo solo con il lupo che soffia via le case di paglia e legno o anche con chi, sapendo di correre un rischio, non si impegna a costruire case di mattoni?
I social sono prodotti umani, servono a monetizzare, ma per gli utenti l’utilizzo è gratuito. Dobbiamo quindi domandarci a chi giova il nostro esserci costante».  
 
Tu che li conosci e li studi: blogger e youtuber sono i filosofi, gli intellettuali di quest’epoca?  
«Come ogni categoria anche tra i blogger e gli youtuber ci sono vere e proprie eccellenze. Ragazzi anche giovanissimi - anzi, soprattutto giovanissimi - capaci di raccontare il mondo recensendo un film, una serie tv, un manga o un videogioco». 
 
Quale peso hanno? Come influenzano le nostre vite?  
«Hanno un peso enorme. Intanto la tv generalista i ragazzi non la guardano più. Hanno a disposizione canali tematici e il web. E l’emorragia di spettatori ha ricadute sui contenuti.
Se gli under 35 non guardano la tv generalista, quella proporrà contenuti che non contempleranno più i ragazzi.
Se Saviano va in Rai, gli under 40 non lo vedono. Quindi Saviano se vuole parlare a un pubblico più giovane deve trovare canali alternativi ».  
A Torino parlerai a una platea di ragazzi calati nel mondo dei social. Le tesi sono contrapposte: favorisce la conoscenza, allarga la visuale oppure li isola dietro a tante piccole barriere virtuali?  
«Isolamento? Come si fa a dire questo? I ragazzi vanno a scuola, escono di casa ogni giorno e ogni giorno hanno a che fare con compagni di scuola, professori.
Se praticano sport, si aggiungono le persone che incontrano nelle attività pomeridiane. I social non li isolano, ma allargano i loro orizzonti».  
 
Se tu fossi un genitore come ti comporteresti con tuo figlio?  
«Credo che l’esempio valga più di ogni divieto».  
 
La cronaca ci ha purtroppo regalato parole nuove come cyber bullismo e le violenze vengono sempre più spesso filmate e messe in rete. Come si educa una generazione che trova tutto questo quasi naturale?  
«Insegnando l’empatia. A gioire o soffrire se il prossimo è felice o infelice.
A non fargli ciò che non vorresti fosse fatto a te. A guardarlo in faccia mentre soffre, solo così si diviene empatici, cosa impossibile se tutto è limitato alla relazione virtuale». 
 
I social hanno reso il mondo migliore, peggiore o banalmente amplificato l’esistente?  
«Banalmente hanno amplificato l’esistente. C’è una cosa che però deve essere chiara.
Sui social il simpatico diventa simpaticissimo, l’antipatico diventa insopportabilmente sarcastico, il colto diventa pesante e spocchioso, l’ignorante diventa illeggibile. Nessuno è davvero se stesso».

.da La Stampa di Massimo Vincenzi
 


Commenti:
ID71682 - 08/04/2017 16:44:17 - (Dru) - È lì sotto gli occhi, ma non lo si coglie

"Sui social il simpatico diventa simpaticissimo" è il divenire che se non visto alla luce della verità dell'essere mostra di sé il lato astratto, in cui il soggetto che permane diventa altro e allora davvero nessuno è se stesso Roberto Saiano, ma non per i social ma per il divenire stesso.

ID71684 - 08/04/2017 16:54:09 - (Dru) - Il social è uno strumento come strumento è l'aratro per il contadino

L'uomo diventa contadino perché impugna l'aratro che trasforma la natura in campo coltivato, diviene e l'uomo e la natura. In questo divenire ciò che permane è il divenire stesso, mentre l'uomo non è più se stesso, infatti diventa contadino, e la natura non è più se stessa, infatti diventa campo. Questo il divenire che pensiamo. Dunque contrapporre i social ad altri strumenti che sono della tecnica è errore. Invece è verità vedere cosa significhi tecnica.

ID71685 - 08/04/2017 17:09:46 - (Dru) - Capaci di raccontare il mondo

Ecco, la tecnica è proprio questo, la tecnica è presupporre un mondo raccontabile, mentre il mondo non è affatto il mondo che si racconta, e dunque qualcuno capace di farlo, dove questo farlo in Saviano è raccontarlo, il racconto prepara, chi ascolta, al mondo. Nella tecnica ci si suppone in grado di agire sull'essere che qui si presenta come due essenti: il mondo e il mondo che si racconta: io ti racconto il mondo, allora tu sai il mondo. Ma è davvero così? Davvero esiste una capacità tale? Se il mondo e il mondo che racconto non sono lo stesso come posso o farlo identico? Impossibile, ma quell'impossibile che le dolci parole di Saviano credono possibile.

ID71686 - 08/04/2017 17:14:16 - (Dru) - In verità

Il mondo e il mondo che racconto non possono esser lo stesso e io non posso identificarli in quanto se stessi, ma sono e dunque in quanto sono appartengono come contenuto dello stesso. Buon incoscienza a tutti.

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