I tesori di Sgarbi al Musa di Salò

Questi sono i numeri della mostra di Vittorio Sgarbi al Musa di Salò, numeri che forse non sono proporzionati fra loro, ma lo sono pensando ai grandi nomi presenti, i quali hanno segnato la storia dell’arte italiana, come Tiziano, Reni, Longhi, Morandi, De Chirico.

La mostra, intitolata “Da Giotto a De Chirico. I tesori nascosti”, è un viaggio attraverso la nostra storia artistica, partendo simbolicamente da Giotto per arrivare al maestro della metafisica, attraverso i secoli, gli stili e le aree geografiche del nostro paese.

La visita si apre con due magnetiche teste muliebri marmoree, prime sculture “italiane” riferite a un maestro federiciano della metà del Duecento, seguite dal “Crocifisso Corsi”, eseguito a tempera durante la metà del XIV, attribuito al pittore anonimo che porta il nome dell’opera.

Si continua con Tiziano, orgoglio italiano, e il suo “Ritratto del comandante Gabriele Tadino”, personaggio che, nato a Martinengo (Brescia) nel 1480, viene ricordato per essere stato nominato prefetto generale delle artigliere spagnole da Carlo V, per la difesa dell’isola di Rodi nel 1522 contro la flotta turca.
Il dipinto è noto dagli anni Trenta del Novecento e ha fatto parte delle collezioni Von Heyl di Darmstadt, Bendit di New York, Buhler di Winterthur ed ora è alla Cassa di Risparmio di Ferrara.

E’ presente il bresciano Giovanni Gerolamo Savoldo, purtroppo ancora lontano dalla conoscenza di molti, con “Riposo durante la fuga in Egitto”, che spicca per eleganza e semplicità ovviamente indiscusse.
E poi Guido Reni e il suo giorgionesco “Enea”; Pietro Longhi con una famosa scena d’interno veneziano; l’olandese Anton Sminck van Pitloo, fondatore dell’illustre Scuola di Posillipo, domina un’intera parete con la tela intimista “I Templi di Paestum”.

Gli ultimi tesori nascosti sono quelli del Novecento, che occupano l’ultima sala, stretta e lunga, della mostra, la cui disposizione mi ricorda vagamente quella delle Wunderkammer rinascimentali.

Nove De Chirico occupano la parete di destra, partendo da un più giovanile “Nudo” fino ai più riconoscibili manichini “Oreste e Pilade”, intervallati da un “Autoritratto” che il pittore eseguì in età avanzata.

Il maestro della metafisica osserva i contemporanei sulla parete opposta: Giorgio Morandi e le sue inaspettate vedute in bianco; l’anarchico Cagnaccio di S.Pietro, nato a Desenzano, è presente con due nature morte spinte al realismo più estremo e straniante e che ho amato da subito (e poi, non ho potuto non notare la precisione con la quale il pittore eseguiva la sua firma); Felice Casorati, l’altro cane sciolto del Novecento italiano, spicca con una delle sue donne erotiche, anticipando di circa un decennio lo stile contornato del secondo dopoguerra.

Attraverso una selezione indubbiamente ragionata, il noto critico, nonostante sul grande schermo non si mostri come una delle persone più amabili, ha messo a disposizione un percorso artistico Made in Italy, costellato non solo dal lavoro dei grandi maestri, ma anche da quegli artisti che, sebbene non rientrino nel bagaglio culturale popolare, con gli anni hanno segnato la memoria di conoscitori e studiosi, trovando il loro posto nella nostra, così ricca, storia dell’arte.

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