25 Novembre 2017, 08.00
Provincia
AIB

Le dinamiche dei gruppi industriali bresciani

di Redazione

Ecco una sintesi con i principali risultati dell’annuale ricerca sulle dinamiche economico – finanziarie nel 2016 relative ai principali gruppi manifatturieri bresciani, curata dall’Ufficio Studi e Ricerche Aib


Il rapporto analizza le principali dinamiche economico - finanziarie nel 2016 relative ai più rilevanti gruppi industriali bresciani a vocazione manifatturiera.  Come è oramai consuetudine, l’indagine pone l’obiettivo sul cosiddetto “Quarto capitalismo”, espressione coniata e portata alla ribalta nazionale da Giuseppe Turani a metà anni Novanta (“I sogni del grande Nord”, Il Mulino, 1996), poi ripresa da Andrea Colli (“Il Quarto capitalismo”, Marsilio, 2002) e dai periodici dettagliati approfondimenti realizzati congiuntamente da Mediobanca e Unioncamere (“Le medie imprese industriali italiane”).

Di questo cluster fanno parte le imprese manifatturiere di fascia dimensionale intermedia, caratterizzate da alcune peculiarità, fra cui: proprietà concentrata, produzioni specializzate, forte vocazione internazionale, autosufficienza patrimoniale, spiccata propensione all’innovazione e risultati economici in media migliori delle aziende piccole e grandi. Sono tutti elementi distintivi che ben si associano ai gruppi industriali oggetto del nostro rapporto.  

Analogamente a quanto effettuato nella scorsa edizione, lo studio, oltre all’analisi relativa all’evoluzione dei principali aggregati economico - finanziari registrati negli ultimi due esercizi (gli anni 2015 e 2016), prevede anche un focus su un periodo più esteso (il decennio 2007 - 2016). Ciò permette di offrire una panoramica di lungo periodo su alcuni aspetti relativi all’economia bresciana e, nel dettaglio, di cogliere l’entità del recupero dai minimi sperimentati nella fase più acuta della crisi finanziaria internazionale, nonché di valutare le difformità di reazione da parte dei singoli operatori e dei principali settori produttivi provinciali. 

La prima sezione, relativa ai risultati ottenuti nel 2016 confrontati con l’anno immediatamente precedente, ha riguardato 90 gruppi industriali bresciani a vocazione manifatturiera. Tali operatori hanno prodotto nel 2016 un volume d’affari pari a 14,4 miliardi di euro, con un’occupazione complessiva di oltre 48 mila unità.  La dimensione media dei gruppi analizzati è pertanto pari a 160 milioni di euro per quanto riguarda il fatturato e 539 addetti.  La segmentazione dei gruppi per settore di attività vede la prevalenza dei comparti metalmeccanici (76 operatori), andando a riflettere la specializzazione produttiva dell’industria locale: i rimanenti 14 fanno riferimento a settori comunque rilevanti per l’economia del territorio, come l’Alimentare, il Carta e stampa, il Chimico, gomma e plastica e il Sistema Moda.  

Le imprese complessivamente incluse nell’area di consolidamento sono 700 (in media 7,8 per ogni gruppo): di queste, 287 (41%) hanno sede in provincia di Brescia, 98 (14%) nel resto d’Italia e ben 315 (45%) all’estero. Le realtà produttive sono 324 (46%), 262 (38%) sono commerciali e 114 (16%) svolgono altre attività (immobiliari, finanziarie, logistica, energia, società agricole, ecc.). La forte propensione all’internazionalizzazione viene confermata anche dal fatto che nel 2016 ben il 58,2% dei ricavi è stato generato all’estero: un valore elevato che tuttavia nasconde una certa eterogeneità fra settori. Per quasi la metà del campione le vendite all’estero intercettano oltre il 60% del volume d’affari complessivo, mentre per quasi il 20% dei gruppi, le vendite realizzate oltre confine incidono per non meno dell’80% del fatturato. Di seguito i risultati più significativi, riferiti al biennio 2015-2016: 
 
- Nel 2016 le vendite hanno sperimentato un’evoluzione complessivamente piatta rispetto al 2015 (0,0%). La suddetta dinamica trae giustificazione dal contesto macroeconomico che ha caratterizzato l’anno in questione. Il prodotto a livello globale è cresciuto del 3,2%, mostrando un lieve rallentamento rispetto al 2015 (+3,4%). La decelerazione delle economie avanzate è in buona parte imputabile alla frenata che ha caratterizzato gli Stati Uniti, mentre Germania, Francia e Italia sono state protagoniste di un’accelerazione della crescita del prodotto più o meno intensa. I paesi a più recente industrializzazione hanno confermato i propri tassi di sviluppo (+4,3%, sia nel 2015, sia nel 2016), pur mostrando una significativa variabilità al loro interno. Gli scambi mondiali hanno registrato una nuova frenata (+1,4% nel 2016, dal +1,9% nel 2015), riflettendo motivazioni strutturali, oltre che congiunturali. In tale contesto, le principali commodity industriali hanno evidenziato uno sgonfiamento delle proprie quotazioni, espresse sia in dollari, sia in euro. Ciò ha controbilanciato, a livello monetario, gli effetti positivi derivanti dalla domanda globale in crescita. 
 
- La dinamica stagnate del volume d’affari è confermata anche dall’analisi “micro”, che mostra un campione letteralmente diviso in due, fra gli operatori con fatturato in crescita e quelli con fatturato in diminuzione. 
 
- Le limitate tensioni sui costi hanno favorito il recupero della redditività operativa: il Margine operativo lordo è infatti cresciuto mediamente del 9,8%, con una dinamica nettamente superiore a quella delle vendite. In tale ambito, il 60% dei gruppi censiti ha registrato una crescita del MOL, mentre il restante 40% ha segnalato una contrazione. 
 
- Nel 2016 il rapporto fra il MOL e i ricavi si è attestato all’11,9% (10,8% nel 2015): il miglioramento dell’indicatore è stato particolarmente diffuso fra i settori analizzati, sebbene essi si caratterizzino per livelli piuttosto differenziati. La maggioranza assoluta dei gruppi del panel si posiziona per valori dell’EBITDA margin compresi fra il 6% e il 15%.
 
 - I progressi del ROA riflettono quelli del MOL: l’indicatore in questione ha raggiunto nel 2016 il 5,9% (dal 5,3% nel 2015). Si tratta di una dinamica positiva, favorita dalla salita del ROS (proxy della redditività delle vendite), che ha più che compensato la discesa della Rotazione del capitale investito, che misura la velocità di disinvestimento delle risorse aziendali. 
 
- La crescita della redditività operativa, unita al calo dell’onerosità debitoria (quest’ultima passata dal 3,0% del 2015, al 2,7% del 2016) ha determinato un significativo incremento del cosiddetto “Effetto semplice di leva finanziaria”. Il differenziale fra il ROI (inteso come la massima remunerazione che può essere offerta ai finanziatori di rischio e di credito) e il costo medio dell’indebitamento finanziario, si è così attestato nel 2016 al 5,2%, rispetto al 4,0% nel 2015. Tale dinamica, ha pertanto consentito di portare l’intero campione su livelli di “sicurezza” e di ridurre i rischi che un improvviso calo della redditività e/o un brusco innalzamento del costo del debito possano facilmente portare il differenziale ROI-ROD sotto lo zero; l’esistenza di valori positivi del suddetto spread può essere intesa infatti come la condizione minima di sopravvivenza.  
 
- L’evoluzione del reddito netto (+23,7% nel 2016 sul 2015) ha beneficiato dei progressi sperimentati nella marginalità operativa e della minore incidenza dell’area finanziaria sul Conto Economico; complessivamente il ROE si è quindi attestato al 7,4% (dal 6,3% nel 2015). Il miglioramento non è stato diffuso, ma ha riguardato la metà dei gruppi del campione. Va poi evidenziato che nel 2016 il 12,5% del panel si caratterizza per valori negativi del ROE, in leggero aumento rispetto al 10,1% nel 2015; allo stesso tempo, si è ridotto il numero degli operatori appartenenti alle classi più virtuose.  
 
- Come già emerso nelle passate edizioni del rapporto, il grado di capitalizzazione si mantiene elevato: l’Indice di indipendenza finanziaria, che pone al numeratore i mezzi propri e al denominatore l’intero capitale investito, ha raggiunto nel 2016 il 46,3% (dal 45,4% nel 2015). Il ricorso all’indebitamento si è quindi confermato contenuto: il Leverage finanziario, che mette in relazione i debiti a onerosità esplicita col patrimonio netto si è attestato nel 2016 al valore di 0,6, rispetto allo 0,7 registrato nel 2015. 
 
- Per quanto riguarda la liquidità, ovvero la capacità dell’azienda di fare fronte agli impegni di breve periodo attraverso l’utilizzo del capitale circolante, non si segnalano problematiche di rilievo: nel 2016 l’Indice di disponibilità ha raggiunto il valore di 1,7 (da 1,6 nel 2015). Ciò sta a significare che gli impieghi correnti (grazie al contributo delle rimanenze) sono più che sufficienti a coprire l’ammontare delle fonti a breve. Dal punto di vista dinamico, la durata del ciclo commerciale è rimasta invariata (134 giorni sia nel 2015, sia nel 2016): non ha quindi subito variazioni il lasso di tempo in cui il fabbisogno finanziario aziendale deve essere coperto per fare fronte alla temporanea mancanza di liquidità. La stabilità dell’indice è frutto dei minimi movimenti che hanno interessato le sue componenti, ovvero: la rotazione delle rimanenze e quella dei crediti e dei debiti. 
 
- La propensione a investire è rimasta elevata: nel 2016 i gruppi manifatturieri bresciani hanno destinato agli investimenti in immobilizzazioni materiali un’ingente porzione del proprio valore aggiunto, pari al 18,5%. Si tratta di un valore significativo, che ben rispecchia la voglia di “fare industria” degli operatori analizzati. Quasi il 70% dei gruppi ha devoluto agli investimenti un valore non superiore a quello medio, mentre poco meno del 15% degli stessi ha investito oltre il 30% della ricchezza prodotta.  
 
Come precedentemente accennato, il rapporto ha affrontato l’evoluzione dei principali indicatori economico-finanziari dei gruppi industriali bresciani anche per il periodo 20072016. Tale analisi, che non dovrebbe avere eguali in ambito territoriale, ha riguardato 55 operatori, rispetto ai 90 coinvolti nella prima sezione: 35 operatori si sono quindi “persi per strada”. Nei dieci anni oggetto del focus, si è sperimentato un certo turnover fra i gruppi: alcuni hanno iniziato a redigere il bilancio consolidato, altri non sono stati più tenuti a farlo.

Ciò, unito alla logica del panel chiuso qui adottata (che fa sì che in caso di un’osservazione mancante, venga eliminata l’intera serie di riferimento) ha determinato la “sopravvivenza” nel campione di 55 operatori fra i 90 precedentemente analizzati.  Gli esponenti imprenditoriali selezionati a livello settoriale rappresentano adeguatamente l’universo delle imprese manifatturiere bresciane: 46 appartengono ai comparti metalmeccanici, mentre i rimanenti 9 fanno riferimento ad altri ambiti. Il valore complessivo dei ricavi realizzati nel 2016 ammonta a circa 10,6 miliardi di euro, mentre la dotazione occupazionale delle imprese incluse nell’area di consolidamento supera le 38 mila unità. Di seguito i risultati più significativi, riferiti al periodo 2007-2016: 
 
- Dopo il crollo registrato nel 2009 (-36,2% sul 2008), il volume d’affari complessivo è velocemente tornato su livelli non distanti dai massimi pre - crisi, ma dal 2011 la velocità del recupero ha perso smalto. I ricavi sperimentati nel 2016 sono di poco superiori a quelli realizzati nel 2007 (+2,9%), ma sono ancora inferiori a quelli del 2008 (-3,8%). Ciò è in gran parte imputabile ai valori record dei prezzi assunti in quell’anno da alcune materie prime di riferimento per l’industria bresciana: al netto di tale aspetto, l’intensità del recupero sarebbe superiore. Per quanto riguarda la distribuzione dei gruppi per anno in cui sono statti realizzati i valori minimi delle vendite, vi è, come nelle aspettative, una netta convergenza sul 2009 (tale fenomeno ha interessato 39 operatori); sul versante dei valori massimi, forse a sorpresa, è in testa il 2016 (ben 21 gruppi), seguito a distanza dal 2008 (11) e dal 2007 (9). La parziale asimmetria fra i valori cumulati e quelli “micro” può trovare giustificazione nel fatto che il record realizzato nel 2008 nasce da pochi gruppi che negli anni successivi non sono stati più in grado di replicare tali performance; al contrario di quanto sperimentato nel 2016, quando i buoni risultati nei ricavi sono apparsi generalmente più diffusi. 
 
- Al di là degli incrementi “contabili” del Patrimonio netto, derivanti dalle rivalutazioni degli immobili effettuate nel 20081 e nel 20132, la capitalizzazione è sensibilmente cresciuta negli anni: nel dettaglio, nel 2016 l’Indice di indipendenza finanziaria ha raggiunto il 46,6% (nel 2007 era pari al 35,8%). La dipendenza da finanziatori terzi è conseguentemente diminuita, con il Leverage finanziario che negli ultimi anni si è attestato su un valore pari a 0,6: vale a dire che, per ogni 100 euro di mezzi propri, i gruppi del campione hanno fatto ricorso all’indebitamento finanziario per 60. 
 
- Alla ripresa dei ricavi è corrisposto un sensibile recupero dei margini: l’incidenza del Margine operativo lordo sulle vendite (11,9% nel 2016) è in miglioramento dai minimi del 2009 (8,1%), posizionandosi poco al di sotto dei livelli pre - crisi (12,4% nel 2007). In questo ambito l’anno 2007 è risultato il migliore per quasi un terzo del campione (17 gruppi), mentre il 2016 lo è stato per 13 operatori. Il 2009 (18 gruppi) e il 2012 (12) emergono invece come gli anni peggiori. 
 
- Il ROA evidenzia una dinamica in parte difforme da quella registrata dall’EBITDA margin, con una caduta più intensa e un recupero relativamente meno brillante: i livelli raggiunti nel 2016 (6,1%), pur in netto recupero sul 2009 (1,5%) risultano ancora molto lontani dal 2007 (8,9%) e dal 2008 (7,3%). Ciò è imputabile, fra l’altro, agli elevati ammortamenti a bilancio, frutto degli ingenti investimenti effettuati in questi anni.  
 
- L’evoluzione complessiva del ROA ha seguito quella delle sue componenti: negli anni, i margini sulle vendite (misurati dal ROS) si sono ridotti e la Rotazione del capitale investito ha fornito un contributo negativo alla formazione della redditività operativa. 
 
- Dopo il crollo nel 2009 (-2,7%), il differenziale ROI-ROD mostra segnali di evidente recupero: il valore registrato nel 2016 (5,9%) è secondo solo a quello del 2007 (7,0%). Tale miglioramento è giustificato da un incremento della redditività operativa (ROI), accompagnato da una contestuale flessione del costo del debito (ROD). 
 
- La redditività netta ha seguito l’evoluzione di quella operativa: nel 2016 il valore del ROE (8,1%) ha registrato un’accelerazione rispetto al recente passato, ma siamo ancora lontani dalle performance sperimentate nel 2007 (13,0%), che si conferma l’anno d’oro per i risultati aziendali. Ben 28 gruppi hanno infatti registrato in quell’esercizio il valore massimo del ROE (nel 2016 solo 4, anche a causa della maggiore patrimonializzazione che caratterizza in quell’anno i gruppi osservati). Come nelle aspettative, il 2009 si conferma l’anno peggiore, sia in termini complessivi (valore del ROE pari a -0,4%), sia in termini “micro” (25 gruppi hanno sperimentato in quell’anno il valore minimo). 
 
- I gruppi presi a riferimento nel rapporto emergono come uno straordinario serbatoio di occupazione: nel 2016, il numero degli addetti (calcolati sulle 55 imprese “capogruppo operative”) si è attestato 5,5 punti percentuali sopra i livelli del 2007; tutto ciò a fronte di una contrazione nell’industria in senso stretto pari al 10,2% nel periodo 2008-2016.

Ne deriva che le asperità di questi anni e la crescente propensione all’internazionalizzazione dei gruppi bresciani a vocazione manifatturiera non hanno scalfito il loro legame col territorio di origine; anzi, la dinamica degli organici evidenziata nel decennio 2007-2016 certifica uno sviluppo “sano” e rispettoso della forza lavoro locale, la quale si conferma ancora una volta come un vero e proprio asset strategico per le imprese bresciane.
 
 


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