03 Settembre 2014, 12.00
Terza pagina

Le anime frantumate di «Bussi Off.»

di Leretico

Raccontare è sempre segno di coraggio, è prova che implica necessariamente il mettersi a nudo. Nella narrazione si rivela, involontariamente, anche l'io più nascosto, più meditatamente celato


Dietro le traslucide immagini del proprio passato emergono nella notte dell'oblio le lucciole ondivaghe delle proprie passioni, dei propri amori. Spuntano, nell'oscuro fondo delle stanze infantili, quegli orribili occhi che mai avremmo voluto rievocare, l'amarezza e il senso di colpa si rivelano nonostante si cerchi di trattenerli con una mezza parola, con un tocco d'ironia. Tutto scorre senza i contorni della sicura cornice del comodo, dell'usuale.

È proprio nella terra dell'oblio, del dolore e della rassegnazione che si finisce per guidare il lettore, se non si ha il polso fermo, la forza della saggezza e dell'età conquistata.
Quella forza che serve, ai nostri cari, da punto di appoggio sull'infido scoglio, per uscire dai flutti perigliosi e sperare di giungere, un giorno, all'agognata cima della scogliera.

Questi i pericoli della narrazione di Pino Greco, nel suo "Bussi Off." (Bussi Officine puntato, come spiega l'autore), scritto per i tipi di LiberEdizioni.
Il sentiero sdrucciolevole lungo il quale conduce sua figlia Rossella, percorso mai banale e sempre a rischio.
Pino Greco guida i nostri passi, senza malfidenza, verso Bussi Officine, un'invenzione dell'uomo industriale del primo Novecento, incastrata come un parassita nelle montagne abruzzesi, oggi paese sfranto e per buona parte cancellato dal mondo.

Si diceva: sentiero difficile, quello di Pino Greco, perché troppo a rischio di essere frainteso, troppi destini incrociati da scoprire, troppi dolori da dichiarare, troppa malinconia da stemperare.
Eppure egli procede senza indugio nel suo racconto, schiva i pericoli, mantiene la calma. Proietta la sua pellicola sullo schermo della nostra anima con gesti mai troppo frettolosi, mai sopra le righe: vuole mostrare a Rossella e a noi, che da lontano ascoltiamo il suo racconto, cosa ha voluto dire vivere e morire a Bussi Officine.

Cercare di sopravvivere in un mondo disegnato per altri scopi che non la vita, un mondo che nel processo industriale e per il processo industriale consumava le esistenze e le anime delle persone.
E nel racconto queste anime sono tutte sull'orlo della frantumazione, sempre in procinto di polverizzarsi nell'aria insieme al cloro che le avvolge e a poco a poco le consuma completamente.

Tra quelle vite, correndo e arrampicandosi, un ragazzino, poi uomo, si ciba di relazioni, di saggezze popolari, di cinema, di musica e di letteratura americana.
Assorbe pietà, rabbia, lotta e ironia, è testimone di insipienze e codardie, miserie e grandezze. Vede il mondo che si svapora davanti agli occhi e sogna un'altra strada, un'altra vita.

A Bussi Officine tutto è pensato, tutto è strutturalmente necessario al processo produttivo della fabbrica elettrochimica. Nulla sfugge: tutto è programmato.
Gli uomini: appendici del processo che mai si deve arrestare.
E mentre il lavoro, tra i miasmi che "grattano nelle gole", macina inesorabilmente le vite, per queste ultime non esiste onore.
La morte è vergogna da seppellire nei paesi di origine, non deve esistere memento a Bussi Officine di chi ha sperato in un futuro migliore.

Il copione è già scritto e non prevede, ignorata, la civiltà dei foscoliani sepolcri.
Tutto si svolge in una specie di "The Truman Show", dove quel poco affetto e umanità che i protagonisti cercano di raccogliere e trattenere nella loro faticata esistenza, fugge via come sabbia tra le mani.
La morte non arriva casualmente, ha già firmato ogni contratto e ad uno ad uno, va a riscuotere il prezzo pattuito con ciascuno dei personaggi.

Ecco, "Bussi Off." è la storia di una fuga, inconsapevole fuga dalla morte, come solo chi ama la vita e sente nel profondo la voglia di sparigliare, di non firmare il contratto fatale, di dare un altro senso a ciò che tutti credono ragionevole, come solo chi ama sconsideratamente la vita può pensare e mettere in atto.

Ebbene, nel viaggio della vita di Pino Greco, nelle sue parole che cercano il "pathos letterario", nella sua cultura abbeveratasi ai fiumi del cinema d'autore o a "Furore" di Steinbeck, non poteva andar bene il disegno della morte e della rassegnazione. Il suo slancio vitale è dunque da intendersi sempre come l'eccesso di felicità di chi sa di essere sopravvissuto anche all'ultimo colpo di falce della nera signora. Come il naufrago, raggiunta la spiaggia deserta, si volta a guardare il "pelago sconfinato", così egli ci indica con sicurezza da cosa è fuggito, da cosa anche noi dobbiamo salvarci.

Bussi Officine è la nostra "Spoon River", un caleidoscopio di vite perdute che ci ricordano, parlando dalla montagna abruzzese, lassù, cosa è veramente importante, per cosa vale la pena vivere.
Del paese dell’autore vogliamo salvare quindi solo le anime, quelle che rimangono ancora là dove Pino Greco ebbe il coraggio, nel 1998, di ritornare "fra squarci della memoria e sensazioni sepolte".

Le anime che popolano il suo "Bussi Off." sono tutte raccolte nel presepio descritto nelle ultime pagine. Esse calpestano, ormai salve, il muschio, "la pelle soffice dell'inverno", tanto viva che "serbava a lungo la memoria della sua funzione". Il muschio "è la vita che non cede alla disperazione" è il crogiolo di ricordi di quelle vite che ci hanno donato una parte della loro umanità e che serbiamo gelosamente nel cuore. Il muschio è ciò che ci protegge e ci tiene "al riparo dei tanti, fottutissimi inverni della vita".

Lettore "conserva tu questi ricordi. E un giorno quando vorrai, fanne pure partecipe chi riterrai degno di condividerli con rispetto".

Leretico

.in foto: copertina del libro; Pino Greco




Commenti:
ID49128 - 03/09/2014 16:41:33 - (Dru) - Critica molto intensa e per nulla banale

Penso che la critica abbia colto il fiore di questo campo così incolto e che, sentendone la debole fragranza di un'umanità ormai perduta, abbia voluto indicarne il disperato affanno, così com'è, ormai invischiata nei processi industriali, di quel poco di umano che ci resta da vivere. Ecco che quei morti, tanti, e che non sono che morti, sembrano diversi nelle storie quotidiane, ma uguali nel destino. È questo destino che ci tiene legati alla narrativa di Pino Greco, che, come un laboratorio, ci identifica e ci rende tutti uguali nella fine, anche quando è il protocollo che ci impone un tipo, a suo dire migliore, di sopravvivenza.

ID49461 - 14/09/2014 21:20:40 - (Leonardo10) -

Viene voglia di leggerlo

ID49582 - 17/09/2014 14:02:20 - (sonia.c) - grande Pino Greco!

e grande leretico. saluti al MITICO Pino.

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