18 Novembre 2014, 07.21
Libri

La morte di Ivan Illich

di Leretico

In nome del paradiso in terra promesso dalla tecnica, abbiamo eliminato il morire dal nostro vocabolario, è diventato ripugnante come lo è il diventar vecchi e come lo sono tutti quei segni che denunciano la vecchiaia


Ho ripreso in questi giorni il racconto di Tolstoj intitolato “La morte di Ivan Illich” ma l’avevo letto circa dieci anni fa, sull’onda di un’altra lettura, quella di un piccolo saggio di Leonardo Sciascia intitolato “La medicalizzazione della vita”, presente nella raccolta “Cruciverba” (1983).
Quella impostazione sottolineava come ci fosse stato per ogni nazione, per ogni civiltà, un momento in cui dalla tradizionale ritualità di preparazione alla morte si fosse passati, scienza permettendo e strutture ospedaliere presenti, alla completa dimenticanza di quei rituali, banditi come superstiziosa ignoranza.

Ma nell’abbandonare quei rituali in fondo se ne acquisivano altri, figli dell’ideologia positivista e poi razionalista dell’Ottocento e del primo Novecento.
Da quel momento non si andava più in ospedale per morire, ma per curarsi.
Il medico che prescriveva cure e medicine non era più malvisto, ma necessario a salvarsi la vita.

Da quel preciso momento, l’uomo tecnico, seppur fosse indubbiamente cosa buona il guadagnato aiuto della scienza per la cura della salute, cominciò a vergognarsi della morte, cercò di cancellare, insieme alla tradizione, anche il terrore della nera signora, di fare come non ci fosse, di non nominarla credendo che l’evitare di parlarne potesse magicamente allontanarla per sempre.

In nome del paradiso in terra promesso dalla tecnica, abbiamo eliminato il morire dal nostro vocabolario, è diventato ripugnante come lo è il diventar vecchi e come lo sono tutti quei segni che denunciano la vecchiaia: cose da nascondere, da eliminare, da botulinizzare, stirare, arrotondare, gonfiare, trasformare in maschera sotto la quale celare la vergogna della morte che quei segni indicano.

Insieme alla morte, insomma, abbiamo dimenticato anche la vita
e quali siano i motivi per cui vale la pena viverla.
E nel momento della morte l’angoscia è più forte e più lacerante proprio perché abbiamo voluto cancellarla.
Questa è una parte della storia che Tolstoj voleva raccontare.

Dunque, è proprio nel momento di passaggio
dalla tradizione alla “medicalizzazione della vita” che Tolstoj scrisse “La morte di Ivan Illich”.
Era il 1884 e nella Russia zarista la classe borghese più abbiente era rappresentata dagli alti funzionari pubblici, giudici e procuratori, come era appunto Ivan Illich, il protagonista del racconto.

Vincenzo Cerami, brillante sceneggiatore italiano, scomparso recentemente
, ha indicato, in un suo ottimo saggio sulla scrittura intitolato “Consigli ad un giovane scrittore” (2002), il racconto di Tolstoj non solo come capolavoro letterario ma anche come esempio di struttura narrativa cinematografica.
La storia si apre infatti partendo da un personaggio secondario, Petr Ivanovic, collega di lavoro di Ivan Illich Golovin, che apprende la notizia della morte di quest’ultimo dalla lettura del giornale in ufficio, annunciandola con enfasi ai colleghi in quel momento riuniti per discutere di un caso molto popolare a quel tempo nelle aule di giustizia russe.

La sorpresa di questa morte nascondeva però il cinismo della redistribuzione degli incarichi, e quindi degli stipendi: qualcuno moriva, qualcun altro prendeva, con vantaggio, il suo posto.
Niente di rimproverabile, tutto molto asettico, tutto nella logica di un adeguato e corretto funzionamento degli uffici, di un’oggettiva continuità istituzionale.

La macchina da presa segue Petr Ivanovic durante la sua visita nella casa di Ivan Illich, ci fa scorgere il viso cereo del morto, ci mostra il colloquio privato di Petr con la vedova Praskovja Fëdorovna, bassa, grassa e informatissima di tutti i meccanismi per ottenere denaro dall’erario in caso di morte di un suo funzionario; ci fa scorgere il mondo che fu di Ivan Illich: quella parte della società russa di fine Ottocento arida, falsa nei sentimenti e irrimediabilmente materialista, tanto, troppo somigliante al nostro quotidiano.

Anche se il moralismo dell’autore in questo incipit emerge un po’ pedante, sappiamo che è anche un espediente tecnico: Tolstoj vuole creare sin dall’inizio il contrasto, la tensione tra due modi di vedere il mondo che si risolve solo nelle ultime pagine.

Ivan Illich era un uomo per bene, si faceva apprezzare sia in privato che in pubblico per i suoi modi e la sua competenza.
Fece carriera come giudice istruttore.
Nonostante trasparisse dalle sue scelte l’ambizione da un lato e la cura per il decoro pubblico dall’altro, non disdegnava i divertimenti legati alla sua posizione, ma mai oltre i limiti, mai che gli si potesse rimproverare alcunché.

Viveva piacevolmente e quando si sposò, nonostante potesse sperare in un partito più brillante, scelse Praskovja Fëdorovna perché “era graziosa e di famiglia nobile; possedeva un piccolo patrimonio...
Lui, Ivan Illich, aveva il suo stipendio, lei, almeno così egli sperava, avrebbe portato altrettanto.
Buona nascita, carina, attraente e molto per bene. Dire che Ivan Illich si sposava perché amava la fidanzata e trovava in lei piena consonanza con le sue idee sulla vita sarebbe stato altrettanto inesatto quanto dire che egli si sposava perché la gente della sua cerchia approvava questo partito. Ivan Illich si sposava per entrambe le ragioni: faceva cosa gradita a se stesso e, al contempo, faceva ciò che la gente dell’alta società riteneva giusto fare”.

Ecco il primo spunto, la prima scelta importante
, condizionata dalla troppa ammirazione per i nobili facoltosi che frequentava, per quell’alta società a cui aspirava di appartenere e di cui incondizionatamente lodava l’estetismo e ne imitava la forma.
Nacquero due figli e la moglie da carina e graziosa si trasformò in querula ed esigente.
La vita decorosa e piacevole di prima divenne pesante e difficile. Ivan Illich si difese rifugiandosi sempre di più nel lavoro, evitando i contrasti più gravi in famiglia generati dall’infelicità della moglie, così chiaramente legati alle necessità economiche sempre più elevate, ma disattese, che una certa qualità di vita mondana esigeva.

La carriera di Ivan Illich continuò nonostante tutto a dargli delle soddisfazioni: nuovo incarico a Pietroburgo, nuovo stipendio più elevato, nuova casa.
Questo fatto lo riconciliò momentaneamente con la moglie e lo impegnò nell’arredamento della nuova casa con passione: avrebbe dimostrato a tutti il suo raffinato senso estetico. Non si accorgeva però di non essere diverso dalla moltitudine di mediocri esteti che facevano il verso alla nobiltà danarosa di quei tempi. I suoi vagheggiamenti erano insipidi anche se gli sembravano sublimi.

Un giorno, mentre su una scaletta mostrava al tappezziere come voleva un certo drappeggio
, cadde e nel tentativo di tenersi in piedi batté il fianco contro la maniglia della finestra.
Per un po’ la botta gli fece male poi il dolore passò e lui se ne dimenticò, ma da quel momento la sua vita cambiò totalmente.
Dopo qualche tempo il dolore al fianco ricomparve e non lo abbandonò più, rodendolo dall’interno a poco a poco. In breve le sue condizioni peggiorarono gravemente preannunciando l’inevitabile.

Purtroppo i famigliari non gradirono molto il peso di ciò che questo comportava
: moglie e figlia, distratte dalla vita mondana, consideravano la malattia di Ivan Illich l’effetto della sua cattiva attitudine a seguire le prescrizioni dei medici.
Il figlio, quasi inesistente, era incapace di dialogare con il padre, né sapeva portargli il benché minimo conforto per la condizione in cui suo malgrado si era venuto a trovare.
In quei duri momenti, tra medici costosi che non trovavano la desiderata soluzione e parenti che lo rimproveravano per la sue insofferenti reazioni, mentre si rendeva conto che nessuno lo capiva né lo compativa, emerse la figura del servo Gerasim, pronto a sorreggerlo, a lenirgli il dolore facendogli tenere le gambe in alto appoggiate alla sua schiena.

“ - Gerasim - disse debolmente Ivan Illich...
- Cosa comandate?
- Penso che per te non sia piacevole tutto questo. Scusami. Ma non posso da solo.
 - Ma che dite! - i suoi occhi brillarono e il sorriso scoprì i suoi giovani denti bianchi. - Perché non dovrei farlo? Siete malato”.

Ci colpisce la semplicità di queste parole perché ci rendiamo conto che in esse si nasconde tutto il senso del racconto: in esse c’è quell’amore, quella considerazione che un malato dovrebbe ricevere dai suoi familiari e che Ivan Illich poteva solo sperare dai suoi.
Quell’amore disinteressato, tanto vero quanto mai era stato presente in tutta la vita del giudice malato di cancro, si manifesta come una luce nella tenebra della malattia e della falsità che minacciosamente aleggia in tutte le pagine del racconto.

Ivan Illich si rese conto che ciò che stava affrontando era la morte.
Nello studio in cui si era rifugiato per non dover condividere il suo dramma con persone che ormai odiava, si chiese il motivo di tanta sofferenza, si chiese perché Dio fosse assente in quel momento di estrema solitudine.
Mentre piangeva, convinto che un uomo per bene come lui non meritasse tanto dolore, cominciò a tornare indietro con la memoria per evocare i momenti migliori e felici della sua vita. Ne trovò pochi e solo nella gioventù ormai lontana. Una precisa convinzione cominciò a formarglisi:
“Forse non ho vissuto come dovevo - gli venne in mente all’improvviso.
Ma se ho sempre fatto tutto secondo le regole?”

È il passaggio fondamentale, il primo avvicinamento al senso ultimo della sua vicenda; ma ancora faceva resistenza, ancora credeva di aver fatto il meglio rammentando la sua vita decorosa, corretta, ligia alle regole.
Solo in conclusione, giunto all’estremo delle forze, quando la moglie gli si avvicinò per rincuorarlo dopo l’estrema comunione che il prete gli aveva portato, in lacrime capisce:
“È sbagliato. Tutto ciò di cui hai vissuto e vivi è menzogna, inganno, che ti nasconde la vita e la morte”.

Solo alla fine quindi, all’ultimo istante, Ivan Illich si rese conto di quanto vuota e mediocre fosse stata la sua vita.
Aveva scelto ciò che la società riteneva giusto, si era adeguato senza lottare, senza scavare in quel presentimento, che pure aveva avuto, che lo avvertiva della futilità di certe conquiste, di certe ambizioni.

Noi ci immedesimiamo in Ivan Illich, nelle sue scelte sempre ragionevoli, garbate, auspicabili, del giusto compromesso.
Ci immedesimiamo perché come lui, piangeremmo di fronte a quella morte e all’angoscia che il pensiero di essa ci provocherebbe. Non siamo forti abbastanza per capire che la nostra vita piena di cose, nonostante la nostra rettitudine, la nostra continua apologia della virtù, rimane aridamente vuota se non riusciamo a scegliere per il bene, per l’amore, per la vera amicizia in modo concreto come nel racconto ha fatto Gerasim, il servo dal bianco sorriso.

Ivan Illich muore, ma noi sappiamo finalmente per cosa vale la pena vivere.

Leretico


Commenti:
ID52033 - 18/11/2014 09:53:04 - (Giacomino) - Ivan Illich

é stato fortunato a riuscire a capire il senso della vita almeno alla fine della sua vita (e grande Tolstoj).

ID52036 - 18/11/2014 10:16:27 - (sonia.c) - già! spesso ,una vita non basta..

ma abbiamo solo quella ..se capissimo almeno questo..forse arriveremmo a ravvederci,prima, dell'estrema unzione ..grazie a Leretico.

ID52037 - 18/11/2014 11:41:17 - (Dru) - per come si crede di vivere, si crede di morire

Un tempo gli uomini credevano agli eterni, e la vita per la morte aveva un senso, quello di viverla in funzione di quelli; oggi, come ha sapientemente tratteggiato Leretico, la vita non ha un senso, perché il paradiso della tecnica, fondato su quelle ceneri, ci salva da quasi tutto in Terra e ci rende felici, ma è una felicità effimera, non garantita da "verità", in quanto gli eterni sono tramontati. L'angoscia per la morte è quindi un angoscia terribile, non più sostenuta dal cambiamento del solo essere: prima era quello di un'altra realtà, quella ultraterrena, edificata proprio per dare un senso alla vita; con il suo tramonto, con il tramonto degli eterni, è il "nulla" l'unico eterno. Ma tra l'essere e il nulla vi è l'abisso a colmarne lo spazio che li separa e l'angoscia per la "possibile" perdita della "felicità" è incommensurabilmente maggiore di quando a preservarne un senso troneggiavano gli dei

ID52038 - 18/11/2014 11:48:20 - (Dru) -

dell'eterno. Un conto è perdere, nel diventare altro, qualche dimensione (corporale?) o credere di non perderne alcuna, di ciò che siamo, un altro è pensare che tutto ciò che siamo va nel nulla: questo il lato del terrore inguardabile e indicibile, ma anche inalienabile del senso che diamo alle cose e infine del paradiso della Tecnica, che alimenta ogni nostro desiderio qui in Terra, ma, questo desiderio di vivere, non lo assicura che con nulla. Per questo motivo la morte non va nemmeno nominata...

ID52039 - 18/11/2014 11:52:33 - (gubott) - gubott

caro Leretico, abbiamo parlato di te con un comune amico. Grazie per i tuoi scritti. Vallesabbianews ed i lettori devono essere grati per questa "terza pagina" ricca di cultura.Hai scritto "Ci immedesimiamo perché come lui, piangeremmo di fronte a quella morte e all’angoscia che il pensiero di essa ci provocherebbe. Non siamo forti abbastanza per capire che la nostra vita piena di cose." Non tutti hanno questa reazione di fronte alla morte. Pablo Nerdua ha titolato un libro "Confesso che ho vissuto" ecco potrebbe esseere una buona e semplice risposta. Grazie.

ID52043 - 18/11/2014 13:05:39 - (Dru) - intorno al "vero" senso dell'amicizia

anche l'amicizia, come la "morte", non è assicurata che da nulla. Cercare di definirne concretamente e eternamente l'esistenza tramonta come ogni apologia del "bene" (senso tradizionale della filosofia) e al posto sorge quella forza nella vita piena di cose, perché queste, anche se effimere e temporali, unica loro "verità" o "verità storica", garantiscono almeno una vita "piena" se non una vita "eterna". Ad un senso di "eternità" il pensiero, che non sopporta il "nulla", sostituisce il "pieno", il "satollo", l'"esaustivo" riempimento di questa vita qua..

ID52044 - 18/11/2014 14:07:42 - (guidoassoni) -

Sciascia, che tu citi nel post, in una famosa intervista, quando già le forze cominciavano a mancargli, disse "Vorrei raccontare il morire, la morte come esperienza. Il che ha tentato impareggiabilmente Tolstoj. Mi limito dunque ad avere, nei riguardi della morte, della mia morte, un'ultima suprema curiosità intellettuale. Il che rende questo dominante pensiero della morte meno grave, meno ossessivo: come ogni attesa cui un sentimento di curiosità si accompagna". Grazie anche da parte mia delle belle pagine che riservi alla testata.

ID52045 - 18/11/2014 14:18:26 - (Aldo Vaglia) -

La morte come liberaziione dalle sofferenze, dalla menzogna, da una vita insulsa fatta di formalismi, e' una consolazione per Ivan Ilic. Affari suoi verrebbe voglia di dire. Mi piace invece la citazione di Neruda dell'amico gubott: "confesso che ho vissuto"

ID52047 - 18/11/2014 18:06:39 - (Giacomino) - Il libro di P.Neruda che citate

l'ho letto con molto piacere alcuni anni fa, mi riproponevo ogni tanto di tornare a rileggerlo, ora sò che lo farò

ID52049 - 18/11/2014 20:57:58 - (Leonardo10) -

Complimenti sinceri, questa sua pagina ha la stessa leggerezza profonda dei racconti di Cechov.

ID52176 - 25/11/2014 17:50:12 - (bobdylan) -

Grazie Leretico per il tuo scritto,interessante e profondo,mi è piaciuto molto.Anch'io ho letto il libro di Neruda "Confesso che ho vissuto", una poesia!!

Aggiungi commento:

Vedi anche
19/08/2014 13:12

Non ci resta che andare a Rimini Il conte zio, anonimo e malefico di mazoniana memoria, ben si presta a rappreesntare la realtà odierna, in questa interpretazione che ne dà il nostrro Leretico

28/05/2016 13:11

Davigo e la fidanzata del prete Piercamillo Davigo, ma soprattutto una giustizia ritenuta giusta solo perchè segue pedissequamente delle procedure, nel mirino oggi de Leretico

04/08/2016 07:26

Sull'etica, sua forma attuale e sua concretezza Sono stimolato a questo articolo da alcune lacunose, ma impellenti, interrogazioni de Leretico sul tema dell'etica

21/11/2012 08:44

Di Pietro e lo gnommero Oggi Leretico si scapicolla in un paragone politico-letterario gustoso: da una parte il "don Ciccio" di Gadda, dall'altra il politico fondatore dell'Italia dei Valori. Valori di chi?

06/03/2016 08:47

Vendola e cosa è giusto e cosa è sbagliato nella modernità Si possono superare con la tecnica i limiti naturali della procreazione, è giusto superarli? Questo domanda Leretico nel suo ultimo pezzo




Altre da Libri
11/04/2024

«Nozza e i luoghi della sua storia»

Sarà presentato questo venerdì sera nella sala assemblee di Comunità montana il libro di Fabio Fontana dedicato alla frazione vestonese pubblicato dal locale Gruppo Alpini

09/04/2024

«Cappuccini bresciani in Rezia»

Il volume postumo di padre Sandro Carminati è uscito sul finire del 2023 e verrà presentato sabato 13 aprile a Casto

08/04/2024

Le storie della Gavardo di oggi

Un percorso originale e creativo per avvicinare alla lettura che ha dato vita al volume “90 pagine più o meno”

06/04/2024

Crescere oggi

In biblioteca a Vestone, con Vallesabbianews ad organizzare ed il patrocinio del Comune, martedì 9 alle 20:30 interverrà Pino Maiolo, per presentare la sua “Guida pratica per capire bambini e adolescenti”

05/04/2024

Come insegnare religione nelle scuole

Questo venerdì sera a Preseglie la presentazione del libro del prof. Luciano Pace “Confilosofare tra i banchi. L’Irc in prospettiva dialogica”

02/04/2024

Giudice Albertano, si presenta l'audiolibro

Venerdì in biblioteca a Gavardo la presentazione della versione audio del quinto romanzo della serie con protagonista il detective medievale “Il caso del giardino invisibile”

29/03/2024

Due «casette libera libri»

Sono state posizionate in due parchi di Pertica Bassa per iniziativa della biblioteca comunale per far circolare la cultura

22/03/2024

Nati per Leggere: letture per l'infanzia

Quali sono i benefici della lettura sui più piccoli? È possibile invogliarli alla lettura e all'apprendimento già in età prescolare? Continua il progetto Culturale in aiuto ai più piccini

19/03/2024

Una storia di rinascita al femminile

Questo mercoledì, per la rassegna Donne per le donne, la presentazione di ‘Anna si è svegliata’, la storia di una donna fragile che dopo anni di apatia riprende in mano la sua vita.

13/03/2024

Fare 13 con il dialetto

Giovedì 14 marzo, alle 20.30, presso la Biblioteca comunale di Vobarno, verrà presentato il volume “13, compagn che ala Sisal” (13 come al Totocalcio) del vobarnese Fabrizio Galvagni, edito da Edizioni Valle Sabbia