09 Maggio 2014, 14.14
In cucina

Regolamenti bizzarri

di Laura

Nella storia le norme emanate per regolamentare la commercializzazione e la produzione di prodotti alimentari, sembrano oggi bizzarre, mentre all'epoca son servite per tentare di combattare la contraffazione


Il 25 novembre 1396, il prevosto di Parigi (ovvero il rappresentante del re) emanò un’ordinanza che proibiva a chiunque vendesse burro fresco o salato “di mischiare il suddetto burro, o di colorarlo di calendula o altre erbe e fiori, e di non vendere quello vecchio, né di mischiare con questo del burro nuovo”.

All’epoca, infatti, si usava il succo di fiori gialli per dare al burro un bell’aspetto cremoso e, con uno strato superiore di burro salato, si coprivano le magagne di quello ormai rancido e vecchio. Il caso che abbiamo citato non è il primo né l’ultimo degli innumerevoli tentativi fatti dalle autorità di tutti i paesi per impedire frodi e sofisticazioni alimentari, da sempre praticate in tutti i settori.

A volte, erano le stesse corporazioni dei produttori a intervenire.
Il regolamento dei birrai parigini del 1292 precisava, per esempio, che la birra doveva essere ricavata da orzo, segala e avena, senza aggiunta di bacche selvatiche, loglio o pece resina, spesso utilizzati per mascherare un prodotto scadente.
Un richiamo inutile, dato che nell’Ottocento, in Inghilterra, gli osti producevano la schiuma della birra con solfato ferroso.
Anche il vino mediocre veniva “corretto”: la colla di pesce lo chiarificava, e il litargirio (ovvero l’ossido di piombo) gli conferiva un bel colore rubino, diminuendone anche l’asprezza.

L’olio d’oliva era “allungato” con olio di semi vari, compreso quello di papavero, detto “olio di garofano”.
Nel Settecento, certi gin venduti nelle bettole inglesi erano fabbricati con ingredienti che comprendevano acido solforico e acquaragia.
A metà Ottocento, a Londra, l’analisi di quarantanove forme di pane acquistate in vari negozi evidenziò in tutte la presenza di allume, un sale minerale imbiancante.

Ancora più diffusa era l’adulterazione di prodotti costosi.
Il pepe era “tagliato” con bacche di ginepro, di senape e farina di piselli.
Circolava un prodotto chiamato “polvere di pepe”, che pare consistesse in spazzatura di polvere della dispensa.

Il caffè era spesso mescolato con cicoria,
ghiande o barbabietola; il cacao con polvere di mattoni; il tè, a seconda del colore, veniva “tagliato” con diversi metodi: foglie di frassino essiccate e triturate, foglie di rovo essiccate e colorate con verderame, fondi di tè “rivitalizzati” con una soluzione di gomma e colorati con grafite.
Da queste adulterazioni, che spesso producevano conseguenze letali, non si salvavano neanche i ricchi.

Per insipienza o per incoscienza, i pasticcieri coloravano torte e frutti canditi con ogni tipo di sostanza, anche nociva per la salute, come la gommagutta, l’azzurro di rame, il cobalto, il minio (derivati dal piombo), il solfuro di arsenico e il cinabro.

Un’ordinanza francese del 1741
avrebbe poi proibito l’uso di queste micidiali sostanze, consentendo solo quello di coloranti naturali.
Parole al vento. Nel 1820, infatti, uno studioso inglese denunciava che i colori dei dolciumi londinesi erano ottenuti anche con alcuni sali tossici ricavati dal piombo e dal rame.

(Tratto da www.squisitalia.it)
 



Commenti:
ID44540 - 10/05/2014 11:06:49 - (sonia.c) - più che "regolamenti bizzarri"..

ingredienti bizzarri..invece, l'immutata (criminale)stupidità umana è deprimente.

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