24 Marzo 2016, 07.34
L'opinione

Fra guerra e conflitto, non solo una scelta semantica

di Marco Lombardi

"Siamo in guerra". Una frase che ricorre dopo ogni attentato che ci segna da vicino e se l'uso di certi termini, un aspetto formale, ha un impatto sulla sostanza, di certo non è stato positivo, considerati i risultati ottenuti


...D'altronde come potrebbe essere altrimenti, visto che una guerra la combatti solo con la forza e questo non lo si può fare in casa propria, contro avversari che fanno parte della tua stessa comunità, che condividono con te i luoghi del vivere quotidiano. Una guerra, poi, prevede la netta separazione tra buoni e cattivi, tra il bene e il male e anche questo è difficile da applicarsi nella vita concreta, dove queste categorie si confondono e non esistono divise o bandiere identificative.

Certo, la scelta del termine guerra ha le sue comodità, per esempio permette di semplificare il dibattito pubblico, di agevolare la mobilitazione collettiva, scendiamo in piazza più volentieri se si sta con la parte giusta, di legittimare scelte nette anche ampiamente discutibili, non fosse altro perchè in uno stato di guerra vige la legge marziale.

E se invece di guerra utilizzassimo un termine diverso, ad esempio la parola "conflitto"?

Un conflitto innanzitutto non lo combatti, non lo vinci, lo puoi solo gestire finché non si risolve spontaneamente, se si risolve. Il conflitto non ha solo una dimensione violenta e non prevede la distinzione netta tra buoni e cattivi, non fosse altro perché i relativi attori hanno reciproche buone ragioni per le loro rivendicazioni.

In un conflitto ci sono vittime e carnefici da ambo le parti e il solo modo per sollecitarne la rioluzione o perlomeno alleviarlo è in primo luogo comprendere le ragioni dell'altro.
Un conflitto poi lo subisci innanzitutto all'interno dei tuoi confini, permea città, quartieri, perfino le mura domestiche e spesso anche il foro interiore di un individuo.
Separa i padri dai figli, i fratelli tra fratelli, li contrappone anche in modo irrimediabile se ciascuno si chiude nella propria sordità, che può essere anche l'esito di un paio di auricolari collegati ad uno smartphone, verità molteplici intersecantisi o complementari in un'unica realtà virtuale che copre anche gli angoli più lontani del pianeta. Il conflitto si nutre del mercato delle verità dove ciascuno soddisfa il proprio bisogno attingendo allo scaffale più comodo da raggiungere,  o alla confezione che attira di più la sua curiosità, grazie a un marketing che pesca nelle debolezze del singolo.

Da un conflitto può nascere una guerra, è un'eventualità che può essere considerata parte di una più ampia strategia di gestione.
Quel che è certo è che una guerra allontana le parti in conflitto, radica le diversità in pregiudizi, gli antagonismi in odii ed è per questo che rappresenta una estrema ratio da valutare con molta cautela.

Perché il conflitto e qui sta il nocciolo della questione, non prevede soluzioni semplici e rende difficile prendere una posizione netta se si opera con onestà intellettuale, mettendo in evidenza i lati chiari e scuri di ogni strategia.
"Siamo in guerra", sta tutto in tweet, in una foto su Instagram. Prova a contenere in centoquaranta caratteri la descrizione di un conflitto. E' una metafora chiara che fa capire immediatamente le scelte di chi oggi si trova con estrema difficoltà ad affrontare una sfida inedita che tocca tanti compromessi del nostro modello di sviluppo, calato come una mannaia su secoli di storia.
    
Marco Lombardi



Commenti:
ID65069 - 24/03/2016 10:01:52 - (Dru) - caro Marco

approvo la tua velata ironia in alcuni passaggi del tuo pregiato discorso, ma disapprovo, andando ad squadernare dove si nasconda il tuo errore, sui fondamentali.

ID65070 - 24/03/2016 10:05:25 - (Dru) - dici : " si sta con la parte giusta"

replico: se si sta con la parte è inevitabile che se si vuole giustizia della parte, la giustizia sia governata attraverso la forza dio chi più potente trasforma la violenza dei vinti in potenza dei vincitori, si che la potenza dei vincitori si presenti come "giustizia". nella tua proposizione manca lo sviluppo appunto filosofico di cosa sia "parte" e se la parte può davvero esser giusta...

ID65071 - 24/03/2016 10:06:35 - (Dru) - ma tu, appunto come dicevo sopra...

questo lo hai in qualche modo detto, nel modo ironico in cui ti imponi e poni il tuo discuter si dolce.

ID65072 - 24/03/2016 10:11:36 - (Dru) - ciò che non dici, perché non sai, o perché pur sapendolo non consideri...

sono i due lati del dilemma prodotto dal significato della guerra. Tu consideri un dei due lati, quello della guerra che allontana, ma la guerra allontana e avvicina, cioè fa quello che vuole fare, sorretta dal significato di ciò che in guerra siamo e facciamo ogni istante della nostra vita. La guerra allontana il nemico, ma avvicina l'amico. Annienta la guerra le cose, ma ne crea di nuove, ecc... ecc...

ID65073 - 24/03/2016 10:14:00 - (Dru) - cioè la guerra siamo noi

siamo ciò che significhiamo...

ID65074 - 24/03/2016 10:14:35 - (Dru) - attenzione

far pace è far guerra alla guerra...

ID65075 - 24/03/2016 10:18:10 - (Dru) - è, con tue parole si dolci...

nutrirsi, comunque e dovunque, ma invece che con alcuni prodotti, con altri... così da scartare i primi, fargli guerra appunto e amare, nutrirsi di, i secondi. Ma amare significa annientare, e allora?

ID65076 - 24/03/2016 10:19:15 - (Dru) - allora

non basta scrivere della guerra con questi toni, si altisonanti e belligeranti nei confronti di essa, conviene riflettere a fondo sui suoi fondamenti e poi risederci a riflettere un altro po'...

ID65077 - 24/03/2016 10:23:24 - (Dru) - allora e finisco

siamo la guerra...

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