02 Aprile 2012, 07.00
I racconti del lunedì

Tapascio Bombatus - Diciassettesima e ultima puntata

di Ezio Gamberini

El Tapasso Bombado portugues a todos seu amigos podisticos: olaaaaa!...

 
...Me truevo em cidade do nascimento de Fernando Pessoa: Lisboa. Como puedo deluderve, scribaçao maldido que nem seu otro?

Siamo in trentotto, questa volta, a spiccare il volo da una Malpensa assolata come da giorni non si ricordava. Incredibilmente non si vede la nebbia, il traffico sull’autostrada è intenso, ma scorrevole, gli orari sono rispettati……. insomma, ho l’impressione che se il buon giorno si vede dal mattino, questo sarà un viaggio fantastico. Sull’aereo tutto si svolge senza alcun intoppo, salvo il battibecco tra l’amico Bettoni, figura straordinaria che fa il pittore e usa l’acqua soltanto per allungare la tempera, ed una hostess che a tutti i costi voleva posargli sul tavolinetto uno yogurt.
Chiede ed ottiene, invece, che lo yogurt sia sostituito da una bottiglietta di vino rosso e nelle due ore e tre quarti di permanenza sull’MD80 dell’Alitalia la cosa si ripeterà altre quattro volte.
 
A questo autentico personaggio neppure nel deserto sono riusciti a far bere l’acqua.
Quando lo racconta fa letteralmente sganasciare dalle risate: “Eravamo nel deserto del Sinai e già da alcune ore tutti si lamentavano per la sete. Ci fermammo in un locale, ma c’era solo acqua e io, cocciuto, non bevvi. Passò ancora parecchio tempo prima che ci fermassimo in un altro punto di ristoro dove, finalmente, trovai del vino e potei dissetarmi. Quei cani dei miei amici, da lontano, mi ripresero con lo zoom. Così adesso mostrano a tutti il filmato dicendo: ‘El Bitù gna ‘n del deserto el ga biit l’acqua!’”.
 
Dall’aeroporto in dieci minuti raggiungiamo l’elegantissimo hotel, un quattro stelle in praça (piazza) Martim Moniz, centralissima, a pochi metri dalle piazze Rossio (partenza della maratona), Commercio e Figueira.
Dovrò escogitare qualche stratagemma per ricordare i nomi delle piazze associandoli a termini di uso comune ed immediato accesso mentale: per  Martim Moniz penserò al martin pescatore, per Rossio al sig. Rossi, per Commercio ai soldi e per l’ultima non c’è problema.
Assegnate le camere e disfatte le valigie, il pomeriggio possiamo cominciare a bighellonare per la città.
Il primo impatto è curioso: tutti sputano come lama, maschi e femmine, adulti e bambini! E sono sputi da record mondiale, lanciati in modo diretto a terra, con parabola o addirittura con effetto.
 
Verso le quattro indossiamo felpa e pantaloncini e ci dirigiamo verso Belem per l’ultimo allenamento.
Corriamo quasi un’oretta, lenta lenta. Domani, sabato, assoluto riposo.
Cerchiamo un ristorante in cui si cucini la pasta, ma per questa sera dovremo accontentarci di riso in bianco e tanto pane, oltre ad un assaggio di baccalà.
Al rientro in camera accendo il televisore e scorro qualche canale…. CNN, BBC, RAI 1, RAI 2…. digito ancora ed improvvisamente compare sullo schermo un’ex parlamentare italiana, di origini ungheresi, impegnata in un’attività non propriamente rivolta alla stesura di nuove leggi, e poi il seguente messaggio in varie lingue: “Per continuare a vedere il programma, contattare la reception e pagare milleseicento escudos (otto euro)”. Prendo contatto con la reception e chiedo se sborsando tremiladuecento escudos mi risparmiano anche quei pochi secondi di visione gratuita.

Sabato mattina mi sveglio riposatissimo. Apro le tende, ma c’è ancora buio; guardo l’orologio: le otto! “Donde està el sol?” (da cui, credo, per restrizione, deriva il famoso centrocampista juventino degli anni sessanta, Luis Del Sol).
Il mio maledetto vizio di non mettere a posto l’orologio quando cambia il fuso….. C’è solo un’ora di differenza con l’Italia, ma geograficamente sono quasi due.
Dopo una mega-colazione, consumata dalle otto alle nove all’ultimo piano dell’hotel con splendida vista panoramica sulla città e che per non tediare mi limiterò a riassumere nei suoi elementi principali: tre cornetti, due fette di pane tostato con burro e marmellata alle fragole, una biovetta, due fette di formaggio, una di prosciutto, tre di salame, due tazze di caffelatte e quattro bicchieri di succo d’arancia (chi osa mettere in dubbio chieda pure all’amico Attilio che avevo di fronte), partiamo per il giro della città: dalla Baixa (città bassa), in cui ci troviamo, ci dirigiamo verso il fiume Tago la cui foce sembra già oceano, tanto è grande, ma l’Atlantico comincia solo dopo qualche chilometro.
Superiamo Alcàntara, dove si trova il famoso ponte “Venticinque aprile”, uguale a quello di San Francisco e costruito dalla stessa impresa nei primi anni sessanta e sostiamo a Belem per visitare il monastero di Jeronimus (San Gerolamo) che ha un magnifico chiostro, una chiesa stupenda ed il portale più bello del mondo.
 
Nel pomeriggio ci rechiamo all’expo per il ritiro del pettorale e vi ritorneremo la sera in occasione del pasta party.
Gli spaghetti sono ottimi, abbondanti e al dente, accompagnati da uno squisito ragù di carne oppure da due sughi di tonno e baccalà.
Faccio conoscenza con dei francesi simpaticissimi ed un venezuelano, molto anziano, che ha corso circa centocinquanta maratone. Con quest’ultimo si parla del più e del meno. Quando gli comunico che ho tre figli fa un fischio divertito ed ammiccando esclama: “Ehi ammigoooo…..  la vees poquito tu mujer, exacto?”.
“Por nada, – respuendo – em este sector tiengo una percentual de realisaçao de ziero virgula ziero y ziero y ziero y ziero y ziero y ziero y tres por cien. Por haber um nino me tueca matar meu muchacha mil e mil vueltas, a todas horas, praticamiente. A ti la cuenta.”

Alle otto di domenica mattina il freddo è pungente. Tra chi fa la mezza e chi l’intera maratona siamo un paio di migliaia, in piazza Rossio. Il percorso si snoda lungo il fiume Tago per una decina di chilometri, fino a Belem, poi si ritorna e per chi fa la mezza c’è l’arrivo mentre i maratoneti percorrono un altro giro. Il percorso è piatto come un biliardo, contrariamente a quanto mi avevano detto, completamente ed assolutamente chiuso al traffico, i ristori puntuali e forniti e le segnalazioni chilometriche precise.
Oggi voglio proprio godermela, senza tattiche od obiettivi precisi. Parto ai cinque e trenta e proseguo regolare.
Mi piace parlare con la gente, durante la gara. Le nazioni rappresentate sono parecchie, ma la stragrande maggioranza è formata dai locali e da spagnoli.
Mi sforzo e dico a uno che mi passa vicino, dalla faccia simpatica: “Muito placer, donde està ti?”. “Mi son de Bovolon….”, mi fa …. Mi pare un accento spagnolo. “Ah, Asturia, Galizia?”, chiedo. “ El piazer zè tuto mi, ma Bovolon zè in Veneto…” mi risponde smascellandosi dalle risate.
 
Giro al decimo in cinquantacinque minuti, ai ventuno in un’ora e cinquantotto ed ai trenta in due ore e cinquantotto. Poi rallento, ma mai come in questa maratona ho fatto così poca fatica: niente crampi, niente crisi, ogni cinque chilometri bevo una lattina di …..stad e acqua. Quando si torna verso il centro il vento contrario che proviene dal fiume è tremendo, così ci rannicchiamo in gruppetti (io ‘approfitto’ di quattro o cinque spilungoni svedesi, tra i quali mi ‘nascondo’) e proseguiamo uniti.
Al ristoro del trentesimo chilometro si trovano anche tavolette energetiche.
Uno vuol fare il furbo arraffandone a piene mani e l’addetto tenta di contenerlo; esce una lite furibonda e io cerco di sedarla: “Ehi amigo, um poquito de misura, neh? Recorda que ‘in medio stat virtus’, (la virtù sta nel mezzo)”, e siccome non mi capisce chiudo il pugno, alzo il solo dito medio e glielo agito davanti al naso. Riparto e non capisco perché cerchi di starmi a ruota. Per fortuna sono più veloce, maleducato e scocciatore! Intanto apprendo che ha vinto un tedesco, in due ore e tredici.
 
Nell’ultimo chilometro ne sorpasso otto o dieci, ai quali chiedo scusa nel momento in cui li supero e giungo all’arrivo da solo.
La tribuna è ancora mezza piena e ci sono anche alcuni sostenitori che mi aspettano, tra cui l’amico Attilio, compagno di camera e di maratone felice come una pasqua, che ha chiuso in tre ore e quarantacinque minuti ottenendo il suo record. Parte un applauso, prima debole e poi sempre più forte fino a diventare assordante, tutto per me, che mi fa accapponare la pelle. Mi viene un groppo alla gola, ma riesco a trattenere le lacrime mentre mando un bacio al cielo rivolto ad Abebe e taglio il traguardo in quattro ore e ventitre .
Che siano anche queste sensazioni a farmi amare continuamente questo porco mestiere del maratoneta che mi costringe tre o quattro volte alla settimana ad andar per boschi, sul greto del fiume, anziché poltrire sul divano?
 
La sera si può finalmente dar sfogo ai desideri repressi e mangiamo risotto di pesce con gamberoni e granchi che escono dalla zuppiera che ad ognuno è stata porta e poi calamari fritti e in umido, baccalà ai ferri e lesso, vino verde e porto a volontà.
Lunedì è interamente dedicato alla visita di Estoril, Cascais e Sintra. In quest’ultima località, in collina, c’è un palazzo in cui si possono vedere le prime piastrelle utilizzate in Portogallo più di cinquecento anni fa. La piastrella di ceramica in queste città è un classico e adorna, anche esternamente, numerose vie e case.
Qui si trova anche Capo Roca, che visitiamo, punta estrema occidentale del continente europeo, da cui si domina l’Atlantico con le sue onde altissime e spumeggianti. Di là, le Americhe.

La sera ceniamo in un locale del Barrio alto, la città alta, ascoltando il Fado di cui Amalia Rodriguez fu l’interprete principale, cantato da vari artisti mentre gustiamo zuppe locali e cernia alla brace.
L’amico Bitù fa sparire le bottiglie di acqua che gli stanno davanti perché comincia ad avere la nausea, ma i vicini gli tolgono anche il vino.
Con un compromesso allora ottiene che le bottiglie di acqua restino pure al loro posto, ma che almeno le etichette siano girate per essere celate alla sua vista. Torniamo all’hotel a piedi e scendendo dalla città alta possiamo apprezzare compiutamente la bellezza di questa splendida Lisbona. Prima di rientrare ci scoliamo qualche “ginjina”, liquore tipico con l’amarena, simile allo cherry, venduto ad ogni angolo di strada.
Martedì mattina gironzoliamo nei dintorni e nel pomeriggio ripartiamo per casa. Il viaggio di ritorno è gradevole e tranquillo, come all’andata.

Alle nove la cena è pronta e si fa festa. Grazia mi dice che oggi a pranzo ha chiesto a Chiara : “Allora, sei contenta? Stasera torna papà”.
Dall’alto dei suoi nove lunghissimi anni di vita, con la consueta disinvoltura la nostra ultimogenita ha risposto: “Si, perché senza il papy la famiglia è un po’ scaduta”.
Poi, riferendosi al giorno prima in cui Grazia è andata a fare la spesa dimenticandosene metà in negozio, ha rincarato la dose e con assoluto candore ha affermato: “Mi sembri un po’ rintontolina!”.
E che possiam fare noi poveri genitori che coi figli vogliam parlare?
Incassare!

Natale è ormai prossimo ed io con tuta, guanti e passamontagna corro un lungo scorrazzando tra pini imbiancati, calpesto neve fresca e riassaporo i rumori e le prospettive del bosco innevato che dall’inverno scorso non percepivo; grazie al cielo sono ancora il Tapascio Bombatus, nulla è cambiato. Come sempre parlo con me stesso di passato e di futuro, di progetti e di speranze, e del senso della vita, il cui valore non è misurabile da ciò che si rappresenta o quello che si possiede, né dal posto che si occupa, per scelta o per necessità, ma da come ci si pone in rapporto alle persone e al mondo.
L’importante è essere amati da qualcuno. E se disgrazie o avversità, oppure  il fato, ci privassero di chi ci ama, allora ancor di più conta poter amare qualcuno. E chi ha bisogno e aspetta un sorriso è più vicino di quel che si pensa.

Insomma, è più bello dare che ricevere, come dicevano giustamente anche Cassius Clay, Nino Benvenuti e Sandro Mazzinghi.

Ora che il mio narrare due anni di maratone volge al termine, voglio e devo rendere omaggio a chi ha permesso che mi raccontassi.
In ordine cronologico il primo da menzionare è senz’altro Rudolph Erich Raspe, autore de “Le avventure del Barone di Munchhausen”.
Fu il primo libro che lessi e rilessi all’infinito, quando ero bambino. Più o meno come lui, dico a lor signori: “Poveri pazzi se non credono a ciò che ho descritto. Vengano, vengano pure ad accertare l’assoluta veridicità dei miei racconti”.

Quanto ho pianto invece da ragazzo per il tenente Drogo, che attese tutta la vita l’arrivo dei tartari in quell’indefinibile deserto, arroccato nella sua fortezza col tempo che scivolava via senza lasciare il segno salvo riservargli, quando era ormai troppo tardi, l’amarezza di percepire l’arrivo del nemico senza poterlo affrontare, abbandonato al suo malinconico destino.
Quando leggo Buzzati mi pare di essere sospeso per aria e le sue storie fantastiche mi intrigano ed affascinano in modo straordinario.

Ero ancora ragazzino quando mi capitò tra le mani il primo “Mondo piccolo”.
Indubbiamente qualche elica di guareschiano DNA deve essere volata nei paraggi dei miei avi, che appunto risiedevano non molto distante, poiché ricordo che la prima volta in cui vidi uno dei film nel quale Don Camillo e Peppone si facevano la guerra degli orologi e si rincorrevano per anticipare sempre di più l’ora in modo che le campane suonassero prima, io esclamai concitato: “Dai don Camillo, piantagli un chiodo nell’orologio per fermare le lancette!”. Non passò mezzo minuto ed accadde puntualmente quanto avevo previsto. La cosa mi colpì moltissimo. Non ho ancora smesso di leggere Giovannino Guareschi e sicuramente mi accompagnerà per tutta la vita.

Concludo con quello che ritengo in assoluto uno dei più grandi capolavori della letteratura: “Diario di un curato di campagna” di Georges Bernanos.
Lo tengo sul comodino, mi scorta da sempre.
Alla fine si chiude con: “Che cosa importa, tutto è grazia”.
Anch’io, non prima di aver ricordato i miei figli, talvolta ignari ed involontari protagonisti delle vicende, il mio papà ed un mio fratello che non ci sono più, la mia mamma, le mie sorelle e mio fratello maggiori, ai quali devo eterna riconoscenza per avermi permesso di crescere in modo straordinariamente sereno ed infine gli amici che mi vogliono un bene sincero, voglio concludere la storia del Tapascio Bombatus, quale dono alla mia sposa, con: “Tutto è Grazia”.
La mia.

Credo che quasi subito dopo aver terminato di scrivere queste ultime righe ed essermi dolcemente assopito, Abebe da lassù, scuotendo la testa, abbia sorriso impercettibilmente emettendo un lunghissimo sospiro. Ma forse era solo il vento.
Chissà.


Tratto dal volume: “Tapascio Bombatus e altre storie” – Ed. Liberedizioni
 


Aggiungi commento:

Vedi anche
12/03/2012 07:00

Tapascio Bombatus - Quindicesima puntata Non so perch, ma a tavola si parla di Elettra...

08/08/2011 08:05

Tapascio Bombatus, Terza puntata Negli ultimi anni mi sono recato spesso all'estero, a fianco di Vittorio, per motivi di lavoro. Principalmente in Ungheria e Romania con qualche puntata in Slovenia, Croazia e Slovacchia...

14/11/2011 07:00

Tapascio Bombatus - Nona puntata Per il mio primo lunghissimo di trentaquattro chilometri avevo chiesto consigli a tutti...

30/01/2012 07:33

Tapascio Bombatus – Dodicesima puntata Prima domenica di giugno, alle cinque della sera. Lo stadio brulica di gente...

28/11/2011 07:00

Tapascio Bombatus - Decima puntata “L’ ac chel Tone”, rispondo a Grazia quando mi chiede se in valigia deve mettere calze blu o marron...




Altre da Racconti del Lunedì
16/11/2020

L'ultimo giorno

“Oggi è l’ultimo giorno”, mi dico un lunedì mattina, al momento del risveglio…

19/10/2020

Cinque chili di Morositas

Non è difficile farsi spedire a casa cinque chili di Morositas. E’ sufficiente scrivere un racconto su Vallesabbianews…

03/08/2020

Un vasetto in affitto

Usciamo dal lavoro e raggiungiamo il centro salodiano per acquistare l’ultimo romanzo di Camilleri: “Riccardino”…

06/07/2020

Una confessione imbarazzante

È dura dover confessare al proprio coniuge un’azione indegna, alla soglia dei sessant’anni: non mi era mai accaduto fino ad ora un evento così spregevole...

08/06/2020

Il tubetto del dentifricio

Non riesci mai a capire quando è finito il dentifricio, con questi tubetti di plastica che riprendono sempre la loro forma iniziale, anche se li spremi...
AUDIO

18/05/2020

Si riparte

Oggi comincia una nuova fase, in cui la maggior parte di aziende e negozi riprenderà la propria attività, rispettando le dovute prescrizioni...

04/05/2020

A modo mio

Non si tratta della famosa macchinetta del caffè, bensì della maniera in cui trascorro l’ultimo fine settimana, prima di riprendere il lavoro a tempo pieno, lunedì 4 maggio…
AUDIO

28/04/2020

Nei giardini che nessuno sa

Coronavirus, bufale o realtà? “Inutile salvare obesi e fumatori…”, e ancora: “Gli ottantenni esclusi dalla terapia intensiva”...

20/04/2020

Una Pasqua sorprendente

E’ il giorno di Pasqua. Grazia ed io siamo a casa da soli. A mezzogiorno esatto, con una giornata meravigliosa, cielo azzurrissimo e sole splendente, apro tutte le porte e le finestre e “sparo” al massimo volume l’Hallelujah di Händel…

13/04/2020

Mamma

In occasione della scomparsa della loro mamma, dedico questo ricordo, pubblicato sette anni fa, al nostro direttore Ubaldo Vallini e alle sue sorelle Eliana e Nunzia. AUDIO