C’erano una volta un italiano, uno svizzero e un inglese. No, non è una barzelletta, ma oggi parliamo di loro…
Nel maggio di quest’anno, in Svizzera, il 78% della popolazione che ha partecipato al referendum ha votato “NO” alla proposta che prevedeva un reddito mensile per i cittadini svizzeri, dalla nascita alla morte, di 2.500 franchi svizzeri (pari a circa 2.250 €), il cosiddetto “reddito di cittadinanza”, totalmente a carico dello Stato.
Requisito principale? Essere, appunto, cittadini svizzeri. Anche la mamma e il papà del milionario tennista Roger Federer, tanto per fare un esempio, ne avrebbero beneficiato…
Lo stupore per il risultato, da noi in Italia, è stato enorme:
“Ma come, sono pazzi? Qui da noi una proposta simile avrebbe raggiunto il 99,9% dei consensi!”.
Ma… c’è un ma, e alcune valutazioni sono d’obbligo.
Innanzitutto, il “peso” di questo importo è sensibilmente diverso per i due paesi: il reddito medio mensile nel paese elvetico si aggira sui 6.500 franchi svizzeri (5.850 €), contro i 2.200 € circa (pari a poco meno di 1.500 € netti al mese) del Belpaese; in Italia perciò il “reddito di cittadinanza”, fatte le debite proporzioni, avrebbe avuto il valore di circa 830 €, ma c’è da considerare che l’attribuzione di tale reddito avrebbe dovuto sostituire tutti gli strumenti di welfare e assistenza pubblica, senza contare l’impossibilità quasi certa, da parte del governo, di sostenere una simile spesa.
Economisti e analisti hanno sostenuto che tale provvedimento avrebbe disincentivato la ricerca del lavoro e anzi il 10% della popolazione ha dichiarato che ricevendo tale reddito, avrebbe lasciato la propria occupazione.
Qualcuno sostiene che con questo provvedimento la gente potrebbe dedicarsi alla cultura, all’arte, alla musica, lasciando libero sfogo al proprio ingegno e alle proprie passioni, limitate invece dall’occupazione lavorativa.
Può anche darsi, almeno occasionalmente, ma personalmente sono più propenso a credere che ci sarebbe un appiattimento generale, un appagamento mansueto (come non ricordare i “prolet” nel romanzo “1984” di George Orwell, inebetiti tutto il giorno dall’alcol offerto gratuitamente dal “Grande Fratello”?).
E poi, se tutti avessero un reddito “assicurato”, diciamo così, quanto costerebbe la riparazione di un rubinetto, la pulitura di una canna fumaria, la tinteggiatura di una stanza, solo per fare esempi banali?
Perché invece non dare la “liquidazione” al contrario, cioè a un ragazzo che inizia il suo percorso lavorativo?
Sarebbe un incentivo determinante e decisivo per i giovani che cominciano a lavorare, vogliono acquistare la loro casa, sposarsi, avere dei figli. Per lo Stato, sostenerli, non sarebbe un’opera assistenziale, ma un lungimirante investimento: le decine di migliaia di euro spesi per ogni “progetto”, rientrerebbero alla fine moltiplicati, attraverso i maggiori introiti d’imposte di ogni genere che questo decisivo impulso all’economia determinerebbe (e se poi risommergesse anche soltanto una piccola percentuale degli oltre 200 miliardi di euro non dichiarati all’erario, non ci sarebbe bisogno di continue manovre correttive…).
La notizia è proprio fresca: il Foreign Office si scusa con il nostro ambasciatore a Londra e il popolo italiano per aver richiesto, nei questionari forniti ai richiedenti l’iscrizione alle scuole elementari inglesi, se il candidato utilizzasse l’idioma “Italiano”, “italiano-napoletano”, o “italiano-siciliano”.
Ciò naturalmente sottintendeva un’evidente discriminante a sfondo razziale, considerando le “sottocategorie” incapaci di raggiungere i livelli linguistici dei “puri” italiani.
Ma come, invece di essere contenti per il riconoscimento della cultura napoletana e siciliana, ci inalberiamo esterrefatti?
No, no, proprio il contrario: noi dobbiamo esigere che sia riconosciuta la peculiarità di ogni nostra realtà locale, perciò secondo me bisognerebbe richiedere l’inserimento nei questionari, per noi valsabbini, dell’idioma “Alto e/o Basso-Pertichese”, “Capovalliano”, “VallioTermano”, “Bagolinense”, “Aloniano”, “Arveacense”, “Brialese”, “Onodegnico”, “Carvan-Tegliese”, “Promo-Belpratese”, per il lago “Tosco-Salodiano” e per la Valli Trompia e Camonica mi piacerebbe tanto “Irmo-Incudinense”, solo per citarne alcuni, ma potrei continuare per ore.
Ho letto un’intervista rilasciata da Carlo Ancelotti, l’allenatore che da sette anni è all’estero e ha occupato le panchine delle squadre più prestigiose in Germania, Spagna, Francia e Inghilterra:
“Com’è considerata l’Italia all’estero?”.
La risposta è stata sorprendente, per noi che viviamo qui e tutti i giorni ascoltiamo i nostri telegiornali e leggiamo i nostri quotidiani; il pluridecorato trainer, vincitore d’innumerevoli titoli, ha dichiarato:
“Siamo valutati molto, ma molto meglio di quello che pensiamo, o crediamo. Di noi hanno un’altissima considerazione…” (e anche un bel po’ d’invidia, aggiungo io), e detto da uno che ha girato per anni tutta l’Europa, c’è da fidarsi.
Si dice che l’Italia possieda circa il 70% del patrimonio artistico prodotto dall’uomo in tutto il mondo e in tutta la sua storia, mentre una considerevolissima percentuale di quello presente negli altri paesi, è di origine italiana o proviene dal Belpaese (insomma, il nostro “marchio” supererebbe l’80% totale!).
Napoleone, nelle sue campagne d’Italia, ci ha defraudato di un patrimonio inestimabile, razziando quadri, statue, beni preziosi di ogni genere, che hanno attraversato le alpi su carovane di carri lunghe chilometri, mentre Hitler, nella sua ritirata dalla nostra penisola quando il suo destino era ormai segnato, ha fatto man bassa di tutto ciò che poteva essere trasportato riempiendo camion e vagoni ferroviari.
Soltanto una minima parte di questi beni è poi stata restituita all’Italia…
Ringrazio il cielo per essere nato italiano (oddio, già che c’era, il testé citato poteva farmi venire al mondo a Limone sul Garda, dove in inverno ci sono sei o sette gradi in più, rispetto alla nostra valle, ma non voglio prendermi il braccio dopo che mi è stato offerto il dito… e poi, vuoi mettere il traffico estivo in quel “postaccio”?), perché oltre alle bellezze artistiche e la cultura che si respira, oltre alle meravigliose coste che la ornano e i laghi e le montagne c’è… la pastasciutta!
Ma come fanno gli altri paesi a non dipenderne? E’ un mistero!
Per tornare in argomento, e terminare, mi auguro che in futuro, sui moduli d’iscrizione alle nostre scuole, nello spazio dedicato alla “razza”, qualora s’ipotizzi che ve ne sia una ragione di esistere, possa essere già prestampato:
“Razza: Umana”.