28 Gennaio 2013, 07.00
I racconti del lunedì

Dieci giorni nella terra delle aquile - quattro

di Ezio Gamberini

Quarta puntata - sabato 15 agosto. Il matrimonio. Oggi č il grande giorno: alle 16 saranno celebrate le nozze di Alessandro ed Elsa!

 
Fervono i preparativi e tutti siamo impegnati ad abbellire la missione, affinché la festa sia magnifica, mentre Fausto, il papà di don Marco, sta già predisponendo tutto ciò che è necessario per la tavola bianca che seguirà la cerimonia. Verso le 9 e 30 Grazia ed io accompagniamo don Roberto a Reth Baz, che si raggiunge in un’ora di macchina, ove celebrerà una messa ai piedi della croce, al cimitero.

Dopo aver “montato” l’altare, un semplice tavolino pieghevole, i primi che arrivano sono due bambini (come non pensare a “Lasciate che i bambini vengano a me...”), poi un signore, una ragazza che leggerà le letture, così comincia la messa. Dopo cinque minuti si aggrega un gruppo di una quindicina di persone, ed in totale arriviamo a ventidue. Non bisogna troppo sottilizzare sulla forma (il vecchietto che arriva con la sigaretta accesa non si sogna neppure di spegnerla, anzi, dopo la lettura del Vangelo se ne accenderà un'altra, ma ho notato che sarà l’unico, durante la Preghiera Eucaristica, a piegare il ginocchio), e chissà cos’avranno pensato quando Grazia ed io ci siamo presi per mano, nel recitare il Padre Nostro. Ci sono poi due cani enormi che gironzolano spavaldi, senza, però, disturbare più di tanto: vanno, vengono, annusano, si accucciano accanto all’altare, e poi ripartono. Non so se i fedeli siano davvero tutti cattolici, ma il rispetto è assoluto e lo scambio della pace, che avviene tra tutti i presenti, suggella il momento di fraternità.

Alla fine della messa don Roberto è chiamato da una famiglia che ha seppellito un congiunto il giorno prima, per benedirne la tomba ed infine ripartiamo per la missione. Durante il viaggio parliamo di tutto un po’ ed è facile cogliere il grande entusiasmo che anima don Roberto nella sua avventura albanese. Ritengo che questi preti, e forse tutti i preti in missione, soprattutto dove il cattolicesimo è ai minimi termini, anche percentuali, si rendano conto di essere dei seminatori, e che non necessariamente saranno loro a cogliere i frutti. Ma forse è anche la loro consolazione, e magari è immensamente più grande la gioia di un risultato raggiunto, anche infinitesimale.

Non appena tornati a Suç salgo nell’appartamento dei sacerdoti per salutare Padre Cristoforo, il Vescovo di Rreschen, appena arrivato alla missione, ove presiederà la celebrazione nuziale. Gli bacio l’anello, come mi ero ripromesso di fare nel 2002 quando, Amministratore Apostolico della diocesi, ci accolse a Rreschen mentre accompagnavamo don Gianfranco. Colgo una certa ritrosia al gesto, ma insieme conveniamo che il bacio non è alla sua persona, ma ciò che incarna e quello che rappresenta. 

Dopo una veloce pastasciutta procediamo al “rito della vestizione” per la cerimonia. Rigorosa giacca e cravatta per i maschi, mentre le femmine vestono abiti graziosissimi. Pierenzo per scherzo si tira su i pantaloni più che può e butta in fuori la pancia, così da sembrare un miscuglio tra Ridolini e Ollio. La scena ci fa sbellicare dalle risa e non riusciamo a fermarci. Arriva Sandra e lo vede, alza gli occhi al cielo ed urla: “Pierenzooooo!”, mentre cerca di togliersi la fede dall’anulare... Allora lo imitiamo anche noi (noi “tolombaz”, intendo, che in albanese significa “ciccione”: Serafino, Ezio, Alberto ed io; non Mario, che è magro come un chiodo) così da sembrare una banda di matti squinternati. Se non siamo morti dalle risate in quella circostanza possiamo stare tranquilli: non crepiamo più. Anche Genti è “incravattato”, emozionatissimo e felice per il suo amico Alessandro.

Tutto è ormai pronto, cominciano ad arrivare i primi invitati, lo spiazzo antistante la chiesa brulica di gente e finalmente poco prima delle quattro irrompe nella missione una fiammante Mercedes: ecco gli sposi! Alessandro veste un abito chiaro con camicia scura, è elegantissimo, mentre Elsa è davvero meravigliosa, nel suo splendente e candido abito nuziale. Ci salutiamo, l’emozione è davvero grande, ed infine si entra in chiesa. Presiede la cerimonia il Vescovo Cristoforo e concelebrano don Marco e don Roberto, mentre don Gianfranco è il “regista” dell’avvenimento. La cerimonia è davvero toccante, e la predica di don Gianfranco, pur se in espressione albanese e dunque incomprensibile per noi italiani, lascia nondimeno trasparire il bene che tutti vogliono ad Alessandro. A volte le parole contano meno di affetti e passione, i quali ci uniscono nel comune afflato che conduce al bene.
 
Prima delle benedizioni finali suor Anna legge gli auguri del Papa, bonariamente redarguita dal Vescovo per non aver parlato in albanese (“non mi sento ancora sicura...”, si giustifica la simpaticissima suora di origini bergamasche, così come suor Giusi, mentre suor Chiara è brescianissima, della città), e poi tocca a me fungere da portavoce degli amici giunti dall’Italia: “Io posso parlare in italiano?” chiedo scherzosamente al Vescovo? “Tu sì!”, così procedo:
   
“Quasi sette anni fa, ai primi di novembre, accompagnammo il nostro compaesano don Gianfranco e don Marco in Albania. Fummo accolti festosamente a Rreschen dal Vescovo Cristoforo e dopo cena arrivò anche un ragazzo ventenne, timido e riservato, ma soprattutto buono e generoso. In quel momento cominciò la nostra amicizia con Aleksander. Un’amicizia davvero grande, se oggi sedici amici hanno percorso mille chilometri per festeggiare il loro amico che si sposa con Elsa. E tutto ciò non deve stupire: è soltanto il miracolo che si compie in seguito alla bontà e generosità che Aleksander ha sparso intorno a sé in questi anni.
Cari Aleksander e Elsa, vi dedichiamo questa canzone col cuore, con l’augurio di vivere per tutta la vostra vita in pace e serenità”.


E’ partito un applauso spontaneo e fragoroso da far venire la pelle d’oca, e subito è iniziata la nostra canzone, eseguita dal nostro gruppo, le suore e tutti gli altri italiani presenti: “Al centro del mio cuore”.

Quando gli sposi si affacciano sulla porta della chiesa, dopo le firme e le foto di rito, sono colpiti da una pioggia di caramelle che abbiamo provveduto ad acquistare il mattino.
Niente riso, per carità, qui non si usa e francamente non capisco l’usanza neppure in Italia; mi sembra uno spreco assolutamente inutile, a prescindere dal suo basso costo. Sono incartate, quindi saranno raccolte e mangiate ed in pochi minuti non ne resterà neppure una in terra!
Seguono gli abbracci con gli sposi ed i saluti con i parenti: i genitori di Alessandro sono commossi e ci abbracciano con trasporto, mentre i suoi fratelli sono raggianti. Il papà dello sposo, ora che tutti sono seduti attorno alle tavole imbandite, con un microfono in mano ringrazia per l’accoglienza. E’ emozionatissimo, ma l’immensa felicità traspare in ogni suo gesto.
Dice due parole anche Paolo, il sindaco di Ulz, e poi il nostro gruppo consegna agli sposi il regalo, costituito da due orologi ed una busta.

Partono le musiche e non cesseranno per ore, così come gli interminabili balli circolari, tutti uniti per le mani e con i movimenti dei piedi che prevede, come base, il sinistro che scavalca il destro due volte e poi gli passa dietro, per poi ricominciare, oppure il contrario, che ci vedranno a turno impegnati fino a sera.
Le varianti sono poi infinite, e la bellezza del ballo è data dalla complessità dei passi unita ad una gestualità d’insieme di tutto il corpo, specialmente del bacino
L’atmosfera orientaleggiante di queste musiche e balli è tipica dei paesi balcanici, e non si discosta sostanzialmente tra paese e paese.
A noi occidentali paiono assurdi e ripetitivi, ma con un’altra mentalità (non dico migliore o peggiore, ma frutto unicamente di differenti stili o scelte di vita, oltre che di possibilità) non si può disconoscere la bellezza intrinseca di queste manifestazioni, la reiterazione ossessionante che, però, già in essa stessa racchiude un certo fascino e la semplicità dei gesti che nondimeno, ovviamente, necessitano di una certa abitudine.

Sulle tavole c’è ogni ben di Dio, dolce e salato, panini e pizze, frutta di ogni genere e bevande in quantità smodata: lo ammetto, non resisto e mi strafogo, ma noto che non sono il solo!
Con assoluto stupore osserviamo che alcune femmine ballano scalze ed anche Elsa si toglie le scarpe e comincia a danzare a piedi nudi! A turno balliamo anche noi italiani e sinceramente facciamo un po’ schifo; siamo goffi e sgraziati, perlomeno io, ma al pranzo di nozze di domani a Tirana, ne sono convinto, ne vedremo delle belle...

Il sole comincia a tramontare, la missione poco a poco si svuota, i saluti si sovrappongono. Anche suor Rosella, giunta da Scutari, se ne va. Ah, la milanese suor Rosella, conosciuta a Fan Klos nel mio precedente viaggio in Albania, insieme con Ezio e Pierenzo... una vera suora “da battaglia”, che andava nei bar a “pescare” i ragazzini, e che con fare minaccioso redarguiva chi recava uno sgarbo ai suoi piccoli.
E con i miei occhi ho visto e posso testimoniare tutto ciò, perchè allora, mentre attraversavamo la “piazza” di Fan, sentì la voce di Erion provenire dal biliardo di un bar; risoluta, entrò e disse: “Erion, oggi all’una ti aspettiamo a servir messa”. Il ragazzo, occhi vispi e furbo come una volpe, rispose semplicemente: “Va bene”. Quando all’una, nella grande chiesa accanto al fiume, don Gianfranco e don Marco iniziarono la messa, di Erion non si vide neppure l’ombra, ma dopo cinque minuti arrivò, andò in sacrestia, indossò la tunica e si pose al fianco dei sacerdoti, con una faccia angelica degna di una celeste creatura.

In un’altra occasione, mentre si trovava un pomeriggio d’estate con sei ragazzini, decise di comprare una bibita in bottiglia. Voleva dissetare tutti, ma come fare, senza bicchieri, volendo evitare che si “attaccassero” alla bottiglia? “In fila, aprire la bocca verso l’alto, su!” proruppe la “diabolica” suor Rosella, e con questi fermi come statue, simili agli uccellini in un nido, li dissetò uno ad uno, senza che il collo della bottiglia sfiorasse le labbra...

Ora siamo restati soli con gli sposi ed i loro familiari, il sole è ormai dietro l’orizzonte, ed il “maggiolone” Wolksvagen che utilizzeranno per tornare a casa Alessandro ed Elsa è già stato “incartato” con innumerevoli rotoli di carta igienica. Anche loro partono, tra interminabili saluti (ma ci vedremo domani al pranzo nuziale a Tirana, che per loro rappresenta la vera festa), così ci sediamo attorno alle tavole e terminiamo la serata tagliando un paio di salami e sbocconcellando del buon Grana Padano, mentre i ragazzi della Mirdita che sono rimasti si scatenano in un irrefrenabile ballo; che festa!

Dopo aver rimesso un po’ a posto finalmente andiamo a riposare. Domani sarà una giornata pesante: prima a messa a Stojan, poi visita alla cattedrale di Rreschen ed infine raggiungeremo Tirana, per la festa nuziale al ristorante. Situazione pincanello: questa mattina soltanto due o tre partite, ma la cosa preoccupante è che una l’ho vinta soltanto dieci a otto. “Paolo, non perdo una partita dal 1974!”, lo incoraggio, quando iniziamo la contesa.
L’altro giorno abbiamo giocato Pierenzo ed io in coppia contro di lui, da solo: è finita dieci a zero per noi, senza mollare assolutamente nulla. Quando l’abbiamo riferito alla sua mamma Marica, ci ha detto: “Ma daaaaiiiii, poverinooooo!”. Ma che poverino? Forse è proprio per questo che ci considera “il mio amico Pierenzo” ed “il mio amico Ezio”!


Tratto dal volume “Ai cinquanta ci sono arrivato” – Ed. Liberedizioni
 


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