29 Marzo 2016, 17.48
Quaderni di Cinema

Satira e realismo nel cerchio magico di «Il dottor Stranamore»

di Nicola 'nimi' Cargnoni

Continua il ciclo di proiezioni cinematografiche presso il Cineporto di Bari, che dà il via alla collaborazione tra le università pugliesi e il Centro studi dell’Apulia film commission


Per ogni appuntamento realizziamo un reportage proponendo le analisi dei film anche alla luce delle lezioni introduttive e del forum successivo.
Il comunicato stampa della manifestazione

A cura di Nicola Nimi Cargnoni
Introduzione e Forum a cura di Pasqua Giordano

Introduzione e commento del prof. Carlo Spagnolo

Durante il terzo incontro della rassegna “Cinema ergo sum”, la visione del film «Il dottor Stranamore» (1964) di Stanley Kubrick è stata motivo di discussione sul tema della Guerra fredda, il primo “conflitto moderno”, definito così poiché ha visto una contrapposizione non solo territoriale tra due blocchi, gli Stati Uniti da una parte e l’Unione Sovietica dall’altra, ma anche e soprattutto politica. Una guerra ideologica, di difesa della democrazia in Europa contro la minaccia comunista, che non si è mai concretizzata in uno scontro militare, una guerra di deterrenza (nucleare), in cui il solo possesso di armi ha reciprocamente dissuaso l’avversario da ogni possibile attacco. 

Ed è sulla scia del cosiddetto “equilibrio del terrore” di una apocalisse nucleare che si colloca il film di Kubrick, tremendamente geniale nel mettere alla berlina la follia generale di quegli anni, in cui è impossibile garantire la sicurezza in un clima di generale incertezza. Ciascun personaggio, allora, risulta essere una modulazione fortemente satirica di un racconto drammatico, già al centro del romanzo fantapolitico Red Alert o Two Hours to Doom (1958) di Peter George.

«Il dottor Stranamore», dal sottotitolo chiave «Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba», costituisce una sorta di testamento di una generazione (del benessere), cresciuta con la bomba, con la paura di un attacco nucleare e con la necessità di avere rifugi antiatomici: Kubrick porta in scena la situazione di pericolo di quegli anni mettendone in evidenza l’assurdità e mostrando tutto il ridicolo che risiede dietro al terribile.

Il regista americano fa sua la capacità di “star dentro” alle cose prendendone al tempo stesso le distanze: il suo sguardo sulla realtà degli (e negli) anni Sessanta è fortemente straniante, particolarmente crudo, paradossalmente lontano, ma molto vicino a quanto sta accadendo. Non è, infatti, casuale il riferimento all’isola di Laputa, luogo in cui l’autore irlandese Jonathan Swift, nel suo romanzo satirico I viaggi di Gulliver (1726), collocava gli intellettuali.

Il film

Calarsi nei panni di chi ha vissuto in contemporanea l’uscita del film di Stanley Kubrick non è nemmeno troppo difficile. Oggi che il B52 è soltanto il nome di un cocktail, la «paura della bomba» ha lasciato posto a grappoli di altre paure, meno definite, molto più ambigue.
Ciò che doveva essere una parodia del conflitto tra Stati Uniti e sovietici, oggi più che mai è ancora attuale ed efficace, nonostante sia intercorso mezzo secolo da quell’ultimo film in bianco e nero del regista britannico.

La paura della bomba oggi lascia il posto alla confusione percepibile in ogni ambito della vita, dall’economia alle dinamiche internazionali. Ma non per questo siamo esenti da un pericolo che potrebbe riguardare l’intera umanità senza nemmeno avere idea di chi detenga le responsabilità di ciò che succede. In questo, «Il dottor Stranamore» si rivela un abile precursore.
Già: perché, se fino a quel momento il cinema (occidentale) aveva messo in scena lo scontro tra “buoni” e “cattivi”, scindendoli e distinguendoli in maniera netta, «Il dottor Stranamore» inscena lo scontro tra fanatismo e inettitudine, minando le fondamenta su cui si basa un più sicuro bipolarismo. A scontrarsi non sono i due blocchi, ma le dinamiche interne a essi: il braccio armato e deciso dell’esercito contro la testa pensante e titubante della diplomazia.

Oggi non possiamo “affidarci” al bipolarismo di allora e nemmeno possiamo distinguere le alleanze mondiali in comodi “blocchi” di Stati. Ecco, dunque, che le paure attuali sono più subdole e giocano su un’ambiguità di fondo che non si limita allo scenario tra i principali protagonisti della politica estera, ma che si allarga coinvolgendo alcuni “outsider” in grado, da soli, di scatenare il panico (per ora solo mediatico) di una imminente minaccia nucleare: negli ultimi dieci anni basterebbe ricordare l’Iran, il Pakistan e l’India, e la Corea del nord.

L’azione filmica del «dottor Stranamore» gioca su un’architettura scenica che attinge a mani basse dal molto (e importante) cinema d’autore americano ed europeo. Ma ciò che rende originale e tagliente il lavoro di Kubrick è quella sensazione straniante provocata da una certa precisione delle inquadrature contrapposta alla visione caricaturale dei personaggi.
E il contesto scenico è fondamentale per questo tipo di analisi: la geometria degli spazi fa da contraltare al ritratto grottesco, comico e tragicamente cinico/spietato dei protagonisti.

Ecco, quindi, che l’impotenza del generale Jack Ripper, accentuata da una elaborata e marcata psicosi che lo porta a essere vittima di una gravissima paranoia nei confronti del “pericolo sovietico”, si contrappone alla virilità e al machismo militare di una massiccia azione di bombardamento.
Ma l’impotenza sessuale del generale Ripper è anche uno specchio, più veritiero che deformante, del senso di impotenza (e in questo caso si parla di “impossibilità di azione”) dello spettatore, calato in una condizione di immobilità e vulnerabilità di fronte al pericolo dell’ordigno nucleare.

Questo gioco delle parti (scena - spettatore) è perfettamente riassumibile nella significativa sequenza del colloquio tra Ripper e il colonnello Mandrake (primo dei tre personaggi interpretati da Peter Sellers). In un campo medio vediamo l’ufficiale inglese, presente nella base americana per un programma di scambio ufficiali, che tenta di convincere Ripper a richiamare i bombardieri. Fin quando lo spettatore cova la speranza che tutto si possa risolvere in un attimo, l’inquadratura mantiene personaggi e spazi in perfetto equilibrio. Dopodiché inizia un gioco di campi e controcampi che pone Kubrick in linea con la tradizione avviata da Dreyer e sviluppata da Welles: il generale Ripper viene ritratto in tutta la sua grottesca onnipotenza, mentre Mandrake diventa una maschera di dolorosa impotenza. Le distanze vengono annullate e lo spettatore è meccanicamente catapultato all’interno della “impotente dimensione” (sessuale per uno, decisionale per l’altro) dei due protagonisti.

Ma Kubrick non affida soltanto ai volti il significato semiotico di un film che non si limita a essere soltanto una deformazione comica della realtà. Infatti in «Il dottor Stranamore» emerge con decisione la prepotenza dell’inanimato. Protagonista assoluta è la bomba, oggetto tanto inanimato quanto distruttivo per antonomasia; trasportata a sua volta da aerei che comunicano (e in questo caso vengono totalmente isolati) tramite apparecchi radiofonici. È in questo film che Kubrick mostra un certo tipo di attenzione verso la tecnologia, cedendo al fascino della “macchina”, che svilupperà nel successivo «2001». L’apertura sinfonica del film è un balletto di bombardieri da guerra che danzano sul ritmo e sulle note di una musica da camera. Lo stile quasi documentaristico con cui sono ritratti i velivoli si contrappone fin da subito alla dimensione ironica della colonna sonora. Con l’incipit Kubrick avvia un processo di sfida tra documentario e satira, che racchiude in maniera abbastanza esplicativa il cuore della successiva narrazione: una realtà documentata col registro stilistico della comicità.

La potenza dell’inanimato risiede anche nella protesi del dottor Stranamore stesso. Una mano che agisce di sua spontanea volontà, ribellandosi ai dettami del cervello, che addirittura tenta di strangolare il corpo a cui appartiene. L’inanimato sembra dotarsi di libero arbitrio e prende vita, reagendo all’inerzia e all’inettitudine causate dal sonno della ragione umana. E quella della tecnologia è una dittatura in itinere, che sembra trovare terreno fertile nelle ipotesi di Strangelove, che vorrebbe affidare a un «cervello elettronico» la scelta di chi dovrà andare a vivere nei bunker sotterranei per preservare la continuità del genere umano. Ma anche la presenza scenica di enormi schermi, che sovrastano il tavolo circolare su cui sono riuniti i vertici statunitensi, introduce quello che sarà il potere assoluto di Hal 9000.

La genialità (filmica, tecnica e semiologica) di questo lavoro si riassume nella scelta di affidare allo stesso attore, un camaleontico e perfetto Peter Sellers, l’interpretazione di tre personaggi completamente opposti tra loro.
La lucida follia di Strangelove, l’elefantiaco (e burocratico) meccanismo della diplomazia messo in atto dal Presidente degli Stati Uniti e, infine, la disillusione e lo humor inglese del colonnello Mandrake, unico vero personaggio positivo in scena.
La scelta di incarnare in un britannico le uniche doti positive dell’intero film potrebbe far pensare a un atteggiamento patriottico del regista. Del resto l’Europa (allora, ma anche oggi) rappresentava lo spazio territoriale e politico su cui si giocavano gli equilibri del conflitto tra USA e Unione Sovietica. Il colonnello Mandrake, quindi, non può fare altro che prendere atto degli eventi che si susseguono, reagendo con un encomiabile aplomb, anche di fronte alla minaccia di una causa legale da parte della Coca-Cola dopo essersi procurato da un distributore di bibite, in maniera poco urbana, alcune monetine necessarie a telefonare al Consiglio di Guerra. Kubrick inserisce la Gran Bretagna in un contesto a suo modo ridicolo, dove le telefonate tra i due presidenti più potenti del mondo sembrano conversazioni che intercorrono tra un marito succube e una moglie isterica: a introdurre questo meccanismo, infatti, c’è la telefonata tra il generale Buck Turgidson e la sua amante, che si contrappone al primo contatto telefonico tra il presidente Muffley e il premier Kissov.

Eppure il regista decide di intitolare il film con il nome di un personaggio che, all’apparenza, può sembrare “minore”. La presenza scenica del dottore è pressoché nulla nella prima parte del film, salvo una piccola apparizione dove viene “presentato”: la sua entrata in scena ne evidenzia soprattutto l’handicap, la carrozzina su cui è costretto a muoversi e le evidenti menomazioni fisiche. Ma ancora una volta Kubrick si affida a un espediente tecnico che è estremamente carico di significati reconditi. A fronte dell’inesorabile epilogo, si vede Strangelove di spalle mentre osserva gli enormi schermi. È isolato dalla macchina da presa, non più inserito nel contesto del Consiglio. Inquadrato dal basso, assume rilevanza. A questo punto avanza verso gli altri membri e con un magistrale gioco di luci, mantenendo la camera fissa, Kubrick fa in modo che il volto di Strangelove “esca dall’oscurità”, emergendo dall’ombra non soltanto fisicamente ma diventando assoluto protagonista della scena.

A mali estremi, estremi rimedi: ecco dunque che ad emergere dal buio, insieme alle nostre paure e di fronte all’ineluttabilità del destino, c’è anche la vera natura umana. Strangelove è il residuato di un nazismo mai realmente morto, mai domo, che in qualche modo si è infiltrato fino ad arrivare alle alte sfere decisionali del Pentagono.
Il dottor Stranamore è l’incarnazione di una spietata dicotomia che riguarda il male e il bene, la follia e la lucidità con cui viene elaborata, l’inanimato e l’animato; è un braccio teso pronto a urlare «mein Führer» scambiando il presidente USA con Hitler, distruggendo quelle poche sicurezze che potevano esserci a difesa del confine tra bene e male.
Strangelove è un menomato (non solo fisico) che pretende di «avere un piano», una “soluzione finale” che possa decidere le sorti e il destino dell’intera umanità. È la sintesi del potere: qualcosa di patologicamente deviato, ma col pallino dell’eugenetica.
Il dottor Stranamore espone le sue teorie di fronte a un consesso di politici e militari che si mantengono assolutamente e cinicamente calmi davanti all’imminente minaccia di un disastro nucleare. Una scena grottescamente comica e, allo stesso tempo, paurosamente realistica, dove le pulsioni di un’animalesca fame di potere si mischiano alla palese inettitudine nell’immediato.

Per dirla con C. Spagnolo, «l’intero film è un rapporto sessuale», che inizia con il balletto/corteggiamento degli aeroplani e finisce con l’eiaculazione delle bombe atomiche che deflagrano in vulcaniche esplosioni di fuoco e fumo. Nel mezzo si avvicendano, con geniali “nomi parlanti” (Buck Turgidson, Jack Ripper, Mandrake, presidente Merkin Muffley, maggiore T.J. King Kong, premier Kissov, l’isola Laputa che paga il giusto tributo all’espediente Gulliveriano degli “speaking names” e l’emblematico dottore Strano-Amore), personaggi che danno vita a “virili cavalcate” (il pilota in volo sulla bomba), telefonate imbarazzanti, crisi esistenziali a causa dell’impotenza, situazioni che sfuggono al controllo della ragione umana e che ci lasciano in una sfera di incredula impotenza di fronte all’ipotesi che un manipolo di idioti possa distruggere il mondo.

Forum e commento dopo la visione

Dalla visione del film emerge come il problema affrontato, e su cui si può dibattere ancora oggi, sia quello della detenzione effettiva del comando: dopo il consistente sviluppo degli anni Cinquanta dell’apparato militare-industriale, la tecno-struttura appare come non più umanamente governabile attraverso i tradizionali mezzi parlamentari.

La distinzione fra civile e militare è venuta oramai meno, la guerra si è fatta perciò “totale”, e in un generale clima di paura e capitalismo trionfante la classe politica si mostra in tutta la sua inadeguatezza di fronte ai nuovi problemi: vengono meno gli strumenti culturali per rispondere alle richieste di pace e sicurezza.

L’apparato militare, divenuto oramai ingovernabile, accusa la classe politica di badare alla sola immagine (mediatica), mentre si è innescato un meccanismo ideologico e culturale perfetto, ormai fuori dal controllo umano (per sua natura fallace), che in un’ottica tutta delirante condurrà attraverso la distruzione della specie alla preservazione di parte della stessa.

I continui riferimenti al sesso e le folli idee nostalgico-naziste del dottor Stranamore fanno ben comprendere quale sia l’idea che Kubrick ha della guerra totale e dei meccanismi con cui gli Stati Uniti portano avanti la loro ossessiva propaganda democratica contro il totalitarismo sovietico: il nemico è in realtà dentro di noi, non esiste una minaccia effettiva se non nella stessa ideologizzazione del politico, anche se di stampo liberale.

Recensione di Nicola Cargnoni
Introduzione e Forum a cura di Pasqua Giordano


Prossimamente:

mercoledì 30 marzo
UMANITÀ Il vangelo secondo Matteo (1964) di Pier Paolo Pasolini
Introdotto da Immacolata AULISA (Storia del cristianesimo antico), Laura CARNEVALE (Storia del cristianesimo antico) e Ada CAMPIONE (Storia della Chiesa antica)

mercoledì 13 aprile
LIBERTÀ Spartacus (1960) di Stanley Kubrick
Introdotto da Massimo PINTO (Storia della filologia e della tradizione classica)

mercoledì 20 aprile
HUMUS Nostalghia (1983) di Andrei Tarkovskij
Introdotto da Annalisa CAPUTO (Linguaggi della filosofia)

mercoledì 4 maggio
LINGUAGGIO Her (2013) di Spike Jonze
Introdotto da Iulia PONZIO (Filosofia del linguaggio)

Già proiettati:
21 grammi (2003) di Alejandro González Iñárritu, introdotto da Francesca Romana Recchia Luciani
Silent souls (2010) di Aleksej Fedorčenko, introdotto da Paola De Santis
Il dottor Stranamore (1964) di Stanley Kubrick, introdotto da Carlo Spagnolo




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