Stefano Corsini e «Il Sergente nella neve»

Sabato prossimo, 24 maggio, Stefano Corsini presenterà il suo spettacolo teatrale “Il sergente nella neve” a Bione. L'appuntamento è in piazza Trento alle ore 20.45. In caso di maltempo si terrà al chiuso.

Corsini, laureato in Lettere Moderne, attualmente insegna Italiano, Storia e Geografia presso la scuola media di Vestone. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare del suo spettacolo.

Stefano, com’è nata la passione per il teatro?
Durante gli studi universitari ho frequentato diversi laboratori teatrali in cui ho partecipato a vari lavori fino alla scelta definitiva di un genere: il teatro di narrazione.

Perché hai scelto di rappresentare “Il sergente nella neve”?
Ho scoperto “Il sergente nella neve” solo pochi anni fa: ricordo ancora la sorpresa e l’emozione di trovare il nome del mio paese all’interno di un romanzo che oggi è ormai diventato un classico della letteratura italiana. Catturato dalle vicende che interessarono il Battaglione “Vestone” in Russia e soprattutto commosso dalla tragedia che vissero uomini con cognomi molto noti dalle nostre parti, e in un caso addirittura famigliare, ho provato per la prima volta la sensazione di entrare nella storia, quella vera, perché “viva”.

Vestone conserva tuttora un forte legame con la sua storia “alpina”.
Il mio paese è impregnato di queste pagine di storia: la piazza è chiamata “Nikolajewka”, una via invece “Battaglione Vestone”. Il primo alpino ricordato sopra il monumento dei Caduti è Giuanin, personaggio chiave del libro di Rigoni Stern, e la biblioteca comunale conserva la terza stesura dattiloscritta del romanzo, donata dallo scrittore stesso. Insomma, ci sono dentro…

Ti sei ispirato a qualcuno del mondo del teatro?
Sì, non è un mistero la mia ammirazione nei confronti di Marco Paolini e il suo teatro “civile”, al quale mi ispiro. Da anni seguo i suoi spettacoli, in televisione e dal vivo, e mentre sognavo di portare in scena uno spettacolo tutto mio, è arrivato il giorno determinante per il mio progetto e anche un po’ per il mio futuro.

Ti riferisci al tuo incontro con Mario Rigoni Stern?
Sì, ricordo ancora il giorno preciso: 27 marzo 2004. Lo incontro nella sua casa rosa, in mezzo al bosco, sull’Altipiano di Asiago. È un sabato pomeriggio, durante la notte è caduta la neve, ed io sono lì, affascinato da un grande scrittore del ’900, ma prima di tutto dal Sergente, da un pezzo di storia, da un grande uomo. Mentre facevo ritorno a casa, pensavo che il mio primo lavoro sarebbe stato proprio “Il sergente nella neve”.

Come hai reso la trasposizione del romanzo in spettacolo teatrale?
Ho letto il libro più di una volta, ho scelto le parti da narrare in modo da creare una sequenza dei fatti che potevano tenere lo spettatore sempre curioso e attento, il ritmo incalzante. Non è stato facile riassumere in un’ora e mezza un libro meraviglioso: il risultato è stato un concentrato di fatti e sentimenti. Fanno parte di questo lavoro viaggi in auto, incontri con sopravvissuti alla Ritirata di Russia, tempo “perso” a ordinare gli appunti qua e là, ma soprattutto tanti momenti notturni, perché adoro la notte, mi porta consiglio e… idee.

Quando hai debuttato?
Lo spettacolo ha debuttato per la prima volta a Vestone, sono passati ormai tre anni. Una volta portato in scena per me poteva bastare. Non sapevo invece che quello sarebbe stato solo il primo anello di una catena. Con grande stupore, poi, sono venuto a conoscenza che anche Paolini stava cominciando a portare in scena il suo ultimo lavoro: “Il Sergente”.

Come ti è sembrata la sua versione?
Beh… Paolini è stato maestro come al solito; è riuscito nella cosa forse più difficile: raccontare una tragedia anche in modo ironico, solo i grandi possono farlo, mi vengono in mente Benigni con “La vita è bella” o Charlie Chaplin (il passo che Paolini ad un certo punto accenna nell’epilogo lo considero un chiaro omaggio al grande comico-malinconico britannico).

Quali sono state, invece, le tue scelte?
Nel mio spettacolo non c’è scenografia, protagonista è la parola, valorizzata da due straordinari musicisti, conosciuti per caso pochi anni fa durante un loro concerto in un locale delle nostre zone, ormai diventati miei compagni di viaggio: sono Paolo Cavagnini (chitarra e voce) e Alberto Forino (pianoforte). Essi accompagnano la mia narrazione, interpretano e riarrangiano alcuni brani di De Andrè, De Gregori, Battiato fino a simulare suoni e rumori nella confusione finale di Nikolajewka. Una miscela di parole e musica che aiutano a metabolizzare.

Cosa ti ha lasciato questa tua prima avventura teatrale?
Manuali e saggi ci possono aiutare a sapere come sono andate le cose. Se poi tocchi con mano e ascolti chi la storia l’ha vissuta, allora puoi anche avvertirne certe sensazioni. Penso che un punto di forza di questo spettacolo sia l’assenza di retorica (ma del resto già Rigoni Stern è un antieroe): è semplicemente la storia di un uomo e dei suoi compagni. Oggi, dopo varie repliche, mi piace pensarlo come “il mio Vajont”.

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