Sono rimasti in venti a Presegno e Bisenzio
di Giancarlo Marchesi

Sono rimasti in venti a Presegno e Bisenzio, frazioni del Comune di Lavenone, in Valle Sabbia. Venti abitanti, per la maggior parte anziani, che tengono ancora vivi questi antichi borghi delle Prealpi bresciane.

Sono rimasti in venti a Presegno e Bisenzio, frazioni del Comune di Lavenone, in Valle Sabbia. Venti abitanti, per la maggior parte anziani, che tengono ancora vivi questi antichi borghi delle Prealpi bresciane grazie al loro attaccamento ad una tradizione, quella dei piccoli campi da coltivare, delle poche bestie al pascolo, che sembra ormai perduta alle nostre spalle.
Quanto nel novembre del 1928 Presegno e Bisenzio furono uniti a Lavenone, perdendo la secolare autonomia amministrativa, solo una mulattiera li collegava al fondovalle, distante oltre 11 chilometri. Tuttavia ottant’anni fa le loro antiche dimore erano popolate da 305 abitanti. Ora sono luoghi simbolici che testimoniano gli esiti amari dello spopolamento della montagna, di quella non lambita dal turismo invernale.

Le contrade di Presegno e Bisenzio, senza bambini, sono silenziose ma anche perché la gente che vi abita è silenziosa: raramente ha fatto sentire la propria voce per far conoscere problemi ed esigenze. È rimasto nella memoria di molti valligiani il gesto di ribellione che nel 1951 vide protagonisti gli abitanti delle frazioni di Lavenone. Quella volta, con estrema dignità, rimandarono all’esattoria consorziale della Valle Sabbia le cartelle delle tasse che erano state recapitate ai singoli contribuenti. Alle cartelle esattoriali respinte fu allegato un esposto nel quale spiegavano le cause che avevano provocato quella ribellione. Cause che si possono sintetizzare in tre punti essenziali: mancanza di strade, di scuole e di assistenza sanitaria. All’epoca il medico condotto doveva fare alcune ore a dorso di mulo attraverso uno stretto e ripido sentiero per giungere a Presegno dal fondovalle. Quella vita senza telefono, senz’assistenza, senza strade è finita.

Adesso, seppure con innegabili difficoltà, Presegno è vivibile, peccato che sia spopolata. Negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento decine di famiglie sono scese a valle in cerca di una vita meno dura, e anche se non sono più ritornate nutrono un forte attaccamento verso la loro terra natale. Molti di quelli che sono stati costretti a emigrare si sono riuniti nell’associazione denominata “Amici di Presegno” che da qualche tempo, durante la stagione estiva, organizza eventi e raccoglie fondi per effettuare restauri ai suggestivi edifici ecclesiastici della borgata che ci ricordano il significativo passato di questa zona che era un fondamentale crocevia di comunicazione tra Bagolino e le Pertiche, grazie al passo della Berga.

Come ha bene evidenziato Patrizia Zorzi nella sua documentata tesi di laurea, recentemente discussa presso l’Università di Verona, Presegno e Bisenzio nel corso dei secoli passati presentavano un tessuto sociale estremamente coeso che, anche attraverso una oculata trasmissione della proprietà fondiaria, aveva saputo ritagliarsi un ruolo di qualche rilievo nell’economia valsabbina: l’allevamento e le attività legate al bosco, come la carbonizzazione, erano i cardini di quella realtà montana. Ma dagli ultimi decenni dell’Ottocento le trasformazioni che avevano investito in quella fase l’economia della nostra provincia cominciarono produrre i propri effetti negativi anche in quelle contrade: la domanda di carbone vegetale era in netta contrazione e l’allevamento non era più competitivo. Così iniziò l’esodo che è continuato fino ai nostri giorni.
Ora nel territorio di Presegno e Bisenzio non vi è nessun negozio, l’ultimo piccolo emporio ha chiuso oltre vent’anni fa. Vi sono invece un agriturismo e un ristorante che continuano la ricca tradizione d’ospitalità che ha sempre contraddistinto la gente della montagna bresciana.
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