Il ricordo di un amico dei Vestonesi
Prendono il via da questa sera a Vestone tre serate in ricordo dello scrittore Mario Rigoni Stern, che negli anni ha intessuto stretti legami con il paese valsabbino. Ecco un ricordo di Luigi Bianchi, giŕ sindaco di Vestone.

Ad un giovane valsabbino, che, salito ad Asiago per conoscerlo, fresco di studi e memore dell’”Historia magistra vitae”, con voce incerta gli aveva chiesto: “Ma la storia insegna qualche cosa?”, Rigoni Stern rispose senza esitare: “La storia non insegna niente”. Poi tacque un attimo. L’ormai anziano scrittore, custode di tante vicende umane, le lezioni della storia le aveva apprese e vissute sulla sua pelle e parlava con cognizione di causa.

Era nato nella Asiago distrutta dalla Strafexpedition compiuta dall’esercito austro-ungarico ed era cresciuto là, sui monti, fra la miseria delle famiglie contadine, decimate dei loro giovani, costrette a ricostruire case e a dissodare prati e pascoli resi aridi dal transito degli eserciti e dalla granate, partecipando da bambino a quella gara fra poveri che, per non emigrare, sopravvivevano con qualche bestia al pascolo e con il ricavato della vendita di materiali e suppellettili “recuperati” sull’Ortigara e sulle altre linee del fronte.
Erano gli anni, quelli, in cui il fascismo aveva ristretto l’emigrazione e in cui in America c’era la crisi, il denaro era poco ed allora la gente dell’Altopiano aveva capito che “...tutto quel materiale interrato – prima oggetto di morte e di distruzione – poteva diventare fonte di vita; ossia polenta, formaggio e vino”, scriveva Rigoni Stern in un breve articolo del 1953. Qualche anno dopo, al tempo della guerra con l’Etiopia, il materiale di recupero aumentò di prezzo e per qualcuno fu una piccola fortuna, ma ancora poco tempo e “da questo materiale, reso inoffensivo, avrebbero ricavato altro materiale offensivo per la nuova ultima grande guerra che si stava preparando”.

La guerra infatti venne, terribile, lunghissima, di dimensioni globali e Rigoni Stern, giovanotto montanaro, ma con la scuola magistrale, l’attraversò tutta, casualmente inquadrato nel Battaglione Vestone: il fronte occidentale, la Grecia e l’Albania, la Russia, il ritorno e l’internamento nei Lager. Cinquanta milioni di morti, sono stati quelli contati, più tutti quelli che non sono stati contati.

Ed il giovane maestro, sopravvissuto, tornato a piedi dopo venti mesi di prigionia, impiegato nel ’46 come diurnista al catasto di Asiago, riprese in mano gli appunti di un diario scritto, come e quando poteva, su fogli “legati con lo spago e messi nello zaino”, riveduti già nel Lager 1-B nella Polonia nord-orientale e in quello di Präbichl in Stiria. Li riordinò in un manoscritto e, su sollecitazione dello scultore Giovanni Paganin, li portò a Milano per consegnarli direttamente ad Elio Vittorini, che nel frattempo aveva dato vita alla collana “Gettoni” per la casa editrice Einaudi.
“C’è qualche lieve difetto, giovanotto!”, sentenziò il grande letterato. Tornato subito ad Asiago, racconta Rigoni Stern a Giorgio Sbaraini nel 1999: “Ripresi il manoscritto, comprai una grammatica e un vocabolario, riscrissi tutto dalla prima all’ultima pagina. Poi battei a macchina due pagine al giorno nell’intervallo per il pranzo che passavo su al Catasto”. E così nacque Il sergente nella neve: dattiloscritto conservato ora presso la Biblioteca civica di Vestone.

Il bisogno di ricordare, non la guerra, ma gli involontari attori costretti ad affrontare la disumanità della guerra ha spinto Rigoni Stern a scrivere: per ricordare in primo luogo quelli che non sono tornati, a fronte di una stampa nazionale che nel’43 non aveva dato alcun spazio alla notizia del rientro dei superstiti dalla Russia. E come l’amico Primo Levi, conosciuto all’Einaudi, aveva scritto per testimoniare ai posteri l’Olocausto e il rientro dopo Auschwitz, allo stesso modo Rigoni Stern volle scrivere affinché non si dimenticassero, chiamandoli quasi per nome, gli amici rimasti fra i girasoli e sotto la neve, evidenziando sempre la grande dignità delle persone mandate a portare e a trovare distruzione, miseria e morte da parte dei signori delle capitali. “Quando oggi – scrive Claudio Magris – si cerca, con melliflua e strisciante regressione, travestita da professorale revisionismo, di equiparare fascismo e antifascismo, basterebbe leggere “Il sergente nella neve” per ristabilire la verità. Spesso sono i soldati a smascherare l’inganno della guerra”. Ma meglio ancora del commento di Magris valgono le parole di Rigoni Stern all’auditorium di Vestone, quando, nel settembre ’92, rievocando la battaglia di Kotowskj, svelò ai Valsabbini con precisione storica chi “volle fare un’azione” per vedere “se anche gli Italiani sanno morire”.

Dopo Il sergente vennero altri scritti, romanzi, racconti, collaborazioni con i quotidiani “Il Giorno” e “La Stampa” per continuare a narrare l’inutile disumanità della guerra contrapposta alla bellezza della sua terra: la gente, i boschi, le cime; sempre con un linguaggio lineare, privo di retorica, profondo e accessibile e con saggezza antica e rassicurante fino ai premi letterari, alla laurea honoris causa e all’accoglienza fra “i classici” riconosciutagli dalla casa editrice Mondadori con la pubblicazione di una raccolta di opere significative nella collana “I Meridiani”.
“Come si sente - gli chiesero - a stare fra i grandi della letteratura?” “La letteratura è una foresta, ci sono alberi altissimi, che superano gli altri, si chiamano Omero, Virgilio, Dante, Shakespeare, Leopardi, in questa foresta io sono un salice nano”

Mario Rigoni Stern all’inizio dell’estate “è andato avanti”. Per lui hanno scritto parole nobili Fernando Camon, Eraldo Affinati, Ermanno Paccagnini, Claudio Magris, Andrea Zanzotto e, anni prima, i nobili colleghi del cenacolo Einaudi, fra cui Alberto Moravia, Piero Chiara e l’amico Nuto Revelli. “Considero un privilegio averlo conosciuto e aver avuto la sua amicizia” annota Claudio Magris, ed allora come si devono sentire gli alpini di Vestone, che con lui si sono seduti a tavola più volte, mentre alcuni hanno avuto addirittura la fortuna di poter gustare formaggio, vino e polenta, mescolata sulla stufa a legna e scodellata dalle sue mani, nella casa ai margini del bosco ad Asiago?
Rigoni Stern “è andato avanti” ma “...ci si sente un po’ meglio sapendo che possono esistere persone come lui”. E se, salendo verso Asiago, al margine del bosco non lo si incontrerà più, resteranno tuttavia con noi i suoi racconti, che continueranno a riempire le nostre case con la forza indelebile della parola scritta.

Luigi Bianchi
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