La scuola del dopo Covid -19
di Giuseppe Maiolo

C’è una sola cosa certa nella scuola che ripartirà a settembre: la data d’inizio, anche se non per tutte le regioni sarà la stessa


Per il resto non ci sono che idee da verificare che vanno dalle classi che potranno turnare ai banchi con le rotelle, dalle aule da allargare agli spazi da reperire, dalla distanza sociale alle mascherine o agli insegnanti che mancano.

Un rincorrersi di proposte, alcune bislacche, che fanno intravedere un autunno non tanto caldo quanto incerto di una scuola in stato confusionale. Certamente afflitta da questioni importanti come la sicurezza e la mancanza dei docenti impiegare nelle classi finalmente ridotte di numero, ma in perenne ritardo su tutto.

La scuola ad esempio che, prima della conclusione dell’anno, ha perso l’occasione per far tornare in classe scolari e studenti e aiutarli a trovare significato allo tsunami dei vissuti che hanno attraversato i giorni della quarantena.

È poi la scuola che ha sfruttato poco il tempo lungo dell’attesa di linee guida ministeriali e riflettuto poco su quale scuola puntare per la ripresa di autunno e quali competenze da far crescere nel dopo - Covid. Perché è fondamentale per gli operatori scolastici non farsi trovare impreparati alla ripartenza, come assolutamente necessario aver provato a immaginare insieme l’accoglienza da dare ai bambini dopo il lungo vuoto di relazioni e, più ancora l’attenzione ai vissuti del lockdown e l’aiuto da fornire per elaborare le emozioni provate.

La ripresa dovrebbe essere l’occasione per rivedere la fisionomia educativa della scuola futura e finalmente attrezzare i docenti a promuovere concretamente lo sviluppo di quell’intelligenza emotiva così trascurata dal sistema scolastico, più concentrato sulle competenze cognitive e molto meno sulla centralità delle emozioni nel processo di crescita.

Necessario poi chiedersi cos’è stata la DAD per capire gli effetti prodotti dalla Didattica a distanza. Più urgente che mai adesso e pensare alle potenzialità e ai pericoli di questa modalità formativa emergenziale e al possibile impiego. Per quanto utile, però, la tecnologia nella formazione scolastica dovrebbe essere una modalità operativa non sostituiva di quella tradizionale ma integrativa e applicabile nelle situazioni particolari.
In ogni caso, le innovazioni, qualsiasi esse siano, non andrebbero mai improvvisate, soprattutto se riguardano le tematiche educative. Per questi argomenti è necessario che l’istituzione scuola faccia crescere le competenze specifiche dei docenti e permetta loro un utilizzo sapiente dei dispositivi.

In particolare serve formare gli operatori non tanto a educare con la tecnologia digitale, quanto educare alla digitalità. È la cosiddetta “Media education” di cui c’è un gran bisogno a scuola, perché la competenza di linguaggi nuovi utilizzati dalle nuove generazioni e, al tempo stesso, la capacità critica verso le emergenti frontiere della “techne” può permettere ai docenti di cogliere potenzialità e limiti, obiettivi e pericoli.

A questo proposito penso sia utile segnalare le riflessioni preziose di Giuseppe Calicetti, maestro e scrittore, il quale ha dedicato a questo tema la sua più recente pubblicazione “La scuola senza andare a scuola. Diario di un maestro a distanza” (Manni Editore).

Uscito da un paio di settimane, è un libro il cui titolo è stato tratto dal pensiero dei bambini della primaria di Reggio Emilia in cui insegna Calicetti. Essi prima ancora di insegnanti, genitori o dirigenti scolastici, ai quali ne va consigliata la lettura, hanno percepito che non è scuola quella che fa stare i bambini sempre seduti davanti a un pc senza i compagni e gli amici. Una scuola così può a malapena trasmettere nozioni ma non la conoscenza del mondo e della vita sociale. Questa passa unicamente attraverso le emozioni che si sperimentano tra i banchi di scuola e a cui insegnanti e operatori sanno dare comprensione e riconoscimento, come pure strategie appropriate per la loro gestione.

Giuseppe Maiolo
psicoanalista
Università di Trento

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