Ritorno a scuola per un giorno? No grazie. Ci vuole altro
di Giuseppe Maiolo

Da un po’ di giorni, finalmente, si parla di far tornare a scuola i bambini prima della conclusione dell’anno. Non è cosa di poco conto, anche se non vuol dire riaprire le scuole



L’idea di salutare i compagni per l’ultimo giorno dell’anno, come qualcuno ha detto, è gesto simbolico che serve. È vero, anche se in realtà servirebbe di più un tempo per concludere la sospensione forzata dell’attività scolastica e dare modo a bambini e ragazzi di trasformare le emozioni vissute.

I piccoli hanno bisogno di raccontare le loro storie, elaborare la paura che ha allagato la mente dei genitori e la loro, l’angoscia della morte, la distanza sociale e l’isolamento forzato. Ai bambini che nonostante tutto hanno più risorse degli adulti e maggiore resilienza dei grandi, serve però un tempo adeguato per “ricucire” il passato al presente e ritrovare il mondo e le sue relazioni interrotte.

Sarebbe stato utile, prima di chiudere i cancelli, aiutarli a riprendere la narrazione della vita con il gioco e la fantasia e, con la forza dell’immaginazione, inventare un futuro tutto nuovo.

Colpisce invece non poco il fatto che per rimettere in moto il paese durante le fasi 2 e 3, il ritorno alla “normalità” sembra essere unicamente il lavoro, la libertà di movimento e quel ritrovato happy hour con gli amici.

Cose senza dubbio importanti ma che stanno trascurando ancora una volta la funzione della scuola e i suoi compiti che, dopo il Coronavirus, hanno bisogno di essere ripensati. Perché andranno riprogettati gli spazi fisici ma anche quelli mentali, che adesso o a settembre possano consentire agli operatori della scuola di sostenere la crescita dei bambini e degli adolescenti.

A differenza di altre nazioni, che hanno mostrato di saper coniugare sicurezza e bisogni educativi aprendo in maniera creativa spazi controllati e funzionali al riavvio del percorso scolastico, la scuola italiana è ancora ferma. Come al solito vive una marginalità inaccettabile che è quella in cui da sempre è stata confinata dalla quasi totale trascuratezza dei programmi governativi. 

In questo tempo difficile, invece, serve ancora di più che la ricostruzione del paese parta dalla scuola e dalle sue funzioni, dagli insegnanti che hanno necessità di essere attrezzati per ripartire in presenza dopo un tempo sconfinato di emozioni traumatiche mai vissute prima da nessuno.

E poi tenere conto della scuola
e dei suoi compiti significa non trascurare la famiglia e in particolare lo sforzo fatto dalle madri che, come dice una ricerca diffusa in questi ultimi giorni da Save the Children, sono costrette a fare le “equilibriste” dovendo tenere insieme fatiche domestiche, smartworking ed educazione dei figli.

Riprendere l’attività scolastica, soprattutto per i bambini della scuola dell’infanzia e della primaria, non può essere una “gentile concessione” limitata al saluto dei compagni. Avrebbe già dovuto contenere una prospettiva educativa da potenziare in quanto, più che mai ora, la scuola ha il compito del “prendersi cura di” che coincide col prevenire, cioè con l’agire prima che possa emergere un disagio.

Con questo obiettivo si dovevano già mettere a punto interventi capaci di aiutare i bambini a dare significato alle cose accadute e far ritrovare loro fiducia, magari ottimismo e sicurezza al di là delle protettive pareti domestiche.

I più piccoli hanno bisogno di questo, ma quelli grandi hanno la necessità di riannodare i fili dei rapporti interrotti, rimettere insieme storie e corpi, relazioni e presenze reali prima di considerare conclusa l’esperienza di un anno scolastico spezzato, tenuto insieme dal surrogato di una scuola virtuale.

L’importanza dell’esperienza fatta con il “Coronavirus” è che molti adolescenti sembrano aver intuito quanto, oltre al messaggiarsi continuo, sia importante incontrarsi fisicamente. L’ho sentito dire in questi mesi da molti dei ragazzi che seguo, i quali mi hanno confermato la sofferenza provata per la mancanza di contatti reali.

Così sono convinto che avrebbe avuto significato per tutti, piccoli e grandi, tornare a scuola per più di un giorno e riflettere insieme, con la guida degli insegnanti, sulle ragioni della sicurezza e sulle libertà collettive.

Sarebbe servito ad aumentare la consapevolezza sui comportamenti pericolosi e avrebbe contribuito a far “ri-nascere” la coscienza, ovvero a farla riemergere dalla nebbia e dal caos dei sentimenti contrastanti che abbiamo provato tutti e, con tutte le cautele del caso, riprendere in mano la vita, ma in maniera diversa. 

Giuseppe Maiolo
psicoanalista
Università di Trento
www.officina-benessere.it
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