COVID-19 nel mondo, quattro mesi dopo
di Germano Bonomi

Ringraziamo Germano Bonomi, convalligano di Sabbio, ricercatore al Cern e professore associato di Fisica Sperimentale all'Università di Brescia, per questo suo breve ma documentato studio col quale ci conduce con lo sguardo oltre i confini nazionali



Il 23 gennaio 2020, il governo cinese, per cercare di evitare il diffondersi di un nuovo virus, poi chiamato SARS-COV-2, ha chiuso i collegamenti con la città di Wuhan e con la provincia dell’Hubei, imponendo l’isolamento totale a circa 60 milioni di persone e sostanzialmente fermando qualsiasi attività industriale, commerciale, culturale e ludica.

A quattro mesi da quel giorno, che molto probabilmente entrerà nei libri di storia, tutti sappiamo che purtroppo la drastica misura non ha evitato che il contagio si propagasse in tutto il mondo.
Ad oggi, il COVID-19 ha causato il decesso di almeno 350.000 persone, un numero così elevato, che rende da solo la drammaticità della situazione che abbiamo vissuto e che per molti aspetti stiamo ancora vivendo.

È ancora presto per fare bilanci di qualsiasi tipo e solo fra qualche anno potremo renderci completamente conto del reale impatto di tutto ciò sulle nostre società e sulle nostre vite.
Tuttavia, possiamo confrontare, con i dati disponibili ad oggi, quale sia stato l’impatto in termini di contagiati e di deceduti nelle varie parti del mondo.
Cominciamo dai 15 stati, con una popolazione superiore ai 10 milioni di abitanti, con il numero più elevato di contagiati.


   
Spicca l’elevatissimo numero degli Stati Uniti, seguiti nell’ordine dal Brasile e dalla Russia.
Sono tutte e tre nazioni molto popolose.
Gli Stati Uniti, per esempio, hanno un numero di abitanti che è pari a circa 5.5 volte quello italiano.
Risulta quindi più logico confrontare gli stati mostrando il numero di contagiati per ogni milione di persone.



Come sappiamo bene noi in Italia, il numero di contagiati rappresenta tuttavia solo il numero di persone che, sottoposte al tampone, sono risultate positive.
Risulta difficile allora confrontare paesi diversi, dal momento che il numero di test effettuati varia molto da nazione a nazione (vedi colonna “Test per milione di abitanti” della Tab. 1).
Risultano evidenti le basse percentuali di tamponi effettuati in paesi come Brasile e India, dove di conseguenza il numero di persone positive potrebbe essere molto più elevato.

Un parametro meno influenzato dal numero di test effettuati è il numero di decessi.
Chiaramente anche in questo caso può risultare difficile confrontare paesi diversi senza essere sicuri che i metodi utilizzati per il conteggio siano omogenei.
Divergenze potrebbero essere causate da come sono stati valutati i casi in cui la morte è avvenuta per con-cause, oppure se sono stati effettuati tamponi anche post-mortem, oppure da quanti decessi siano sfuggiti alle statistiche ufficiali.



Dal momento che si tratta di vite umane è ovviamente una tristissima classifica.
Ai primi due posti ci sono USA and UK, due paesi anglosassoni, e al terzo posto troviamo l’Italia, che in questa pandemia ha pagato purtroppo un tributo enorme.



Se si tiene conto del numero di abitanti, confrontando quindi il numero di decessi per milione di abitanti, in testa c’è il Belgio, seguito dalla Spagna, dal Regno Unito e dall’Italia, praticamente appaiati, dalla Francia e dalla Svezia.
Sono tutti paesi europei.

I paesi asiatici, che sono stati colpiti per primi, per esempio la Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong e altri stati limitrofi, si sono chiaramente dimostrati più preparati ad affrontare questa emergenza.

In questa classifica si fa notare la Svezia che è la nazione europea che non ha applicato il cosiddetto lockdown.
Se paragonata con i paesi limitrofi ha avuto in effetti un numero di decessi per numero di abitanti più elevato (395 contro i 97, 55 e 43 di Danimarca, Finlandia e Norvegia rispettivamente), ma in ogni caso minore rispetto per esempio a Italia, Francia, Spagna e UK.

Il valore dell’Italia (541 morti per milione di abitanti) è ovviamente diverso se valutato regione per regione.
La relativa tabella è riportata, per confronto, alla fine dell’articolo.

Un altro aspetto che possiamo cercare di valutare è il momento in cui nei vari stati ha avuto inizio l’epidemia, in relazione, per esempio, con l’Italia.
Come stima possiamo considerare il giorno in cui una nazione ha superato un certo numero di decessi, per esempio 100. È un valore arbitrario, ma la situazione non cambia molto se si prendono valori simili, per esempio 50 o 200.
Si tratta ovviamente di un parametro molto qualitativo, ma può dare un’indicazione di massima.



Tralasciando la Cina e i paesi limitrofi (Corea, Taiwan, Hong Kong, etc.) e considerando 0 il giorno in cui l’Italia ha avuto il 100o decesso, tutti gli altri paesi hanno avuto più tempo per sapere quello che sarebbe potuto accadere e per potersi organizzare al meglio.
In questo senso, forse, la sorte non ha giocato a nostro favore.

La pandemia da SARS-COV-2 è tutt’ora in corso. Ci sono molti paesi che stanno vivendo in questi giorni i loro momenti più difficili, come per esempio il Brasile e molti paesi dell’Africa.
Solo quando avremo tutto alle spalle potremo valutare con più oggettività come ogni singola nazione, e quindi anche l’Italia, ha affrontato e gestito l’emergenza. Ogni stato del mondo avrà in ogni caso l’opportunità, se saprà coglierla, di ripensare e di migliorare la propria società facendo buon uso dell’esperienza vissuta anche per far fronte alla difficilissima fase economica che ci attende nei prossimi anni.

Germano Bonomi

Nota: i dati si riferiscono alle statistiche disponibili al 23/05/2020.
Si è fatto riferimento ai seguenti database:
- https://github.com/CSSEGISandData/COVID-19 (Database mondiale della Johns Hopkins University)
- https://github.com/pcm-dpc/COVID-19 (Database nazionale della Protezione Civile)
- https://www.worldometers.info/coronavirus/



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