La didattica ai tempi del coronavirus
di Pseudosofos

In mezzo a questa epidemia è possibile soffermarsi a pensare al significato e al valore della scuola? Oppure nemmeno un virus letale ha il potere di bloccare gli immaginari degli insegnanti?


Il coltivar filosofia insegna che c’è la realtà e poi… ci sono le teorie (o meglio) le ipotesi sulla realtà. Non è buona cosa confondere queste due dimensioni dell’umana conoscenza.

La prima, cioè la realtà, s’impone alla nostra mente e, per quanto difficile alle volte, va solo compresa, accolta, accudita con premura. La seconda, cioè le nostre ipotesi sulla realtà, è opera dell’immaginazione: il tentativo di confinare la realtà entro i parametri delle nostre detenute certezze.

L’habitus del filosofo, il suo sforzo consapevole, formato in anni e anni di attenzione alle “cose stesse”, si concentra sulla prima di queste dimensioni. Rispetto alla seconda, invece, ogni amante della sapienza ha sempre nutrito una certa diffidenza.

Non tanto perché i filosofi coltivino diffidenza verso l’immaginazione umana, quanto, piuttosto, perché sanno che è tipico della nostra mente far finta che le cose siano diverse da come appaiono, soprattutto quando è mossa da emozioni come l’ansia, la paura, la disperazione, ecc.

Pensiamo, per esempio, a quando è iniziata l’epidemia: la realtà ci voleva comunicare che il coronavirus è molto pericoloso per la nostra salute; le nostre prime ipotesi, invece, ci hanno portato a ritenere che fosse una banale influenza.

Alla luce di questa robusta distinzione, mi permetto di suggerire qualche riflessione sui tempi che stiamo vivendo e, in particolare, sulla didattica scolastica a distanza. La realtà ci dice che, da poco più di un mese, le scuole hanno sospeso le lezioni in presenza, per precauzione sanitaria.

Ci dice anche che noi insegnanti siamo chiamati in qualche maniera a continuare la nostra attività a distanza. Tuttavia, in questo speciale periodo della nostra vita scolastica, la realtà non ci obbliga ad adottare strategie didattiche come se nulla stesse accadendo.

Nessun insegnante, credo, verrà denunciato per non aver timbrato il cartellino in un momento in cui a tutti viene chiesto solo una cosa: “stare a baita”. Per esempio, non c’è nessuna indicazione normativa del Ministero dell’Istruzione che impone agli insegnanti di fare ogni giorno delle video-lezioni on-line, calcolando che chi non vi partecipa debba essere segnato assente sul registro di classe come se fosse in aula.

Ciò nonostante, so di studenti che devono partecipare giornalmente a sedute di 4-5 ore di video-lezione on-line. Oppure, un’amica mi ha scritto un sms ironico in cui mi comunicava che sua figlia aveva iniziato ad imparare a suonare il pianoforte tramite un’app ed ha dovuto smettere per… fare i compiti.

Mi domando: è saggio didatticamente questo modo di procedere? Siamo sicuri che debba essere così di questi tempi? Non sarebbe più opportuno moderare le consegne, calcolando che le norme sulla sicurezza insegnano a non stare cinque ore di fronte ad un Pc o ad un Ipad?

C’è differenza fra l’affaticare la vista di fronte ad un videogame o ad una chat, rispetto a farlo partecipando ad una video-lezione? E se salta la connessione internet (come effettivamente può succedere) è giusto considerare assente a lezione on-line uno studente?

Ebbene, se la realtà ci dice che siamo in un’emergenza sanitaria senza precedenti, che rende evidente la precarietà della nostra stessa vita (soprattutto per chi si illudeva che non fosse tale), perché continuare ad immaginare di sospendere tutte le nostre consuetudini quotidiane e lavorative tranne… la scuola?

Che cosa ha la scuola di così essenziale nella nostra immaginazione? Perché a poco serve ribattere affermando che l’istruzione e la ricerca della conoscenza sono importanti: la storia umana insegna ampiamente che non è necessaria la scuola per garantirle.

Domandiamocelo davvero: che cosa muove l’anima di noi insegnanti immersi in notizie di morte giornaliera (anche dei nostri cari ed amici) nel non soffermiamoci a riflettere prima di fare o proporre cose da fare on-line, sospinti dall’ansia o da uno smodato ed irrazionale senso del dovere? E se un nostro studente avesse un caro morto per Covid-19 senza che noi ne fossimo a conoscenza? Attenzione: un simile quesito non è ipotetico, sta accadendo!

Forse, la triste realtà che accade suggerisce a noi insegnanti di riconsiderare il nostro stesso immaginario sulla scuola e sul suo valore. A me capita di insegnare anche a lezione che la scuola non è poi tutto nella vita. Per assurdo, quando insegno questo, nemmeno gli studenti più svogliati sembrano credermi.

“Se, se profe – mi rispondono – lei vive in un altro mondo. Lo vada a dire ai suoi colleghi o ai miei genitori!”.

In effetti, spiego loro che si può vivere nel mondo senza farsi ingabbiare delle logiche immaginarie del mondo. Nel mondo quotidiano, ci può stare tranquillamente la preghiera, per esempio, molto più importante ed essenziale che qualsiasi altra attività.

C’è il gioco (e Dio sa quante cose si imparano giocando), il coltivare una passione gratuita (tra cui ci può essere anche la lettura, la pittura, la musica, il comporre puzzle, la danza ecc.). Tra tutto questo c’è anche la scuola, certamente. Non va eliminata. Insegnare e apprendere sono attività straordinariamente belle ed entusiasmanti… ma se diventano le uniche preoccupazioni delle nostre giornate, un idolo di fronte a cui inginocchiarsi, ci allontanano dal cogliere il significato dell’umano crescere.

Quando ci si trova in circostanze inimmaginate prima, non è facile comprendere come agire. Per questo può essere opportuno considerare ciò che la realtà voglia comunicarci, prima di fare alcunché. Poi si potranno anche fare video-lezioni on-line, se ritenuto opportuno, ma con una consapevolezza diversa, più attenta alla realtà, meno preoccupata di attenersi coerentemente al proprio immaginario.

Insomma, serve diventare un pochino miscredenti verso la scuola, smettendo di considerarla di natura divina. In teoria non dovrebbe essere difficile, in una cultura in cui l’ateismo pare ragionevolissimo a molti. Tuttavia, l’accennavo all’inizio, un conto è la realtà, un conto sono le ipotesi (o meglio) le ideologie sulla realtà.


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