Pancreas artificiale
di Davide Lancellotti

Non è un organo interno ma solo un piccolo "device" esterno, esso fornisce insulina quando richiesta in maniera autonoma, ma ci possono essere delle complicanze


DIABETE: CHE COS’È?
Ovviamente, non si può parlare di pancreas artificiale e di insulina se prima non si capisce bene cosa sia il diabete, le sue cause e i suoi sintomi.
Per prima cosa, la malattia è divisa in due principali gruppi:

- Tipo I: è il diabete che non si cura e che non si può prevenire, spesso definito “infantile” poiché sorge solitamente quando si è bambini (sebbene esistano casi dove si manifesta in età adulta, con un'incidenza minore dello 0,1% dei casi sul totale).
In questo tipo, la causa viene data da una malattia autoimmune che attacca le cellule 𝛃 del pancreas, riducendo o eliminando la produzione di insulina. In questo caso l’unica cura è fare continue iniezioni dell’ormone quando serve.

- Tipo II: si manifesta molto in età adulta ed è dato da due fattori.
Il primo è che l’insulina prodotta non sia molto efficiente o che il corpo resista ad essa (insulino-resistenza) oppure che vengano introdotti troppi zuccheri con una produzione dell’ormone non sufficiente.
Di solito, la cura sono delle iniezioni in caso di emergenza e uno stile di vita più sano.

IL PANCREAS ARTIFICIALE
Dopo aver ben capito cosa sia il diabete e come affrontarlo, parlo di una nuova “arma” che abbiamo a disposizione e che, secondo le mie aspettative, ben presto diventerà uno standard treatment (cioè trattamento standard per quel tipo di malattia).

Sviluppato tra la fine del XX e gli inizi del XXI secolo, questo dispositivo non è un organo artificiale da impiantare all’interno, cosa che potrebbe suggerire il nome, ma è, molto semplicemente, un controllore di insulina e glicemia che, quando rileva un calo troppo grande dell’ormone o un aumento eccessivo degli zuccheri rilascia, in maniera totalmente autonoma, per via peritoneale (cioè nella pancia) o endovenosa (per la precisione nella vena porta) una quantità di insulina sufficiente a portare a livelli normali la glicemia.

Essendo un dispositivo esterno, porta diverse complicanze. La prima di tutte è che è ingombrante, lo puoi toccare e vedere e potrebbe dar fastidio all’inizio, rendendo magari complicato il vestirsi o il lavarsi, inoltre non produce da solo l’insulina ma la si deve ricaricare.
Poi ci sono le problematiche più tecniche, ovvero il fatto che ha una batteria che si scarica e che, ed è il problema maggiore, il sensore con il tempo tende a perdere la sua taratura originale, rendendo necessario un intervento da parte di un medico.

PANCREAS INTERNO
Se un problema potrebbe essere averlo esterno, perché non metterlo interno?
Questa è una domanda ancora senza una soluzione, e non perché nessuno se l’è mai posta, ma perché siamo ancora in una fase troppo sperimentale degli organi artificiali e, anche se si creasse una macchina completamente meccanica, essa avrebbe comunque dei problemi a lungo termine dati dal fatto che non c’è modo di riprodurre l’insulina se non in condizioni specifiche, oltre che questa macchina avrebbe una batteria da sostituire, operazione che richiederebbe un nuovo intervento.

Ovviamente fare un trapianto di pancreas da un donatore morto è, ad oggi, la soluzione migliore di tutte (dove la procedura migliore è un trapianto di reni e pancreas, che porta ad una sopravvivenza migliore, ma anche senza di essa la sopravvivenza dell’organo è comunque tra il 70 e l’80%).
I donatori però, come sempre, sono pochi e le liste di attesa sono quasi infinite.

IN ITALIA

Anche il nostro Paese ha adottato da qualche anno la possibilità di inserire degli organi esterni per ovviare in minima parte al problema, sebbene ciò sia agli inizi è una tecnica promettente, con interventi che ormai si eseguono in quasi tutte le strutture ospedaliere italiane.
Nel caso del pancreas però noi non abbiamo grandi ricerche in corso e, se esistono, non sono molto pubblicizzate, quindi, in questo campo, siamo solo utilizzatori.

Io sono fermamente convinto che, un giorno, le biotecnologie per queste malattie minori ma comunque mortali saranno sempre un punto di riferimento, ma per ora dobbiamo limitarci al meglio che la scienza offre e, soprattutto, sfruttandolo per renderci la vita migliore.

Davide Lancellotti


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