Le avventure di Pinocchio. Attualità di una storia
di Giuseppe Maiolo

Le narrazioni fantastiche resistono al tempo perché sono metafore. Pinocchio è una di queste che, a giudicare dalla popolarità, è una storia continuamente letta, raccontata e riscritta, come dimostrano le tante versioni cinematografiche e i libri che si pubblicano



La ragione sta nel fatto che “Le avventure di Pinocchio” sono un vero e proprio racconto fiabesco che parla della vita e della crescita, dell’esplorazione del mondo e dei pericoli che si incontrano. Scrive Vittorino Andreoli in una sua recente riscrittura dell’opera di Collodi: “È una favola che va dentro il bambino… come si trattasse di un archetipo”.

Concordo con questa visone, perché la storia del burattino di legno è una vera e propria metafora che allude al cambiamento e alle trasformazioni possibili in età evolutiva. È il racconto dell’infanzia eterna che ciascuno si porta dentro e Pinocchio rappresenta quel fanciullino che scalpita inquieto e curioso desideroso di diventare umano e invece bloccato nella sua forma.

È un personaggio che ci attrae per l’imprudenza e per quell’impulsiva sregolatezza che fa parte del puer aeternus nascosto nell’inconscio di tutti. Da qui probabilmente il motivo per cui le avventure del burattino di legno ci continuano ad affascinare e con lui l’universo dei personaggi e degli eventi che incontra.

Pinocchio colpisce ancora perché incarna le caratteristiche dei preadolescenti, quelli ipercinetici e svogliati, i “caratteriali” non necessariamente patologici, ma evolutivamente irresponsabili e sregolati, anticonformisti e poco adattabili alla realtà, come sono naturalmente i ragazzini in quella fase esplosiva di inizio adolescenza. Età lunga che travolge gli adulti e mette a dura prova la loro resilienza.

A dispetto delle parole che Collodi mette in bocca al suo personaggio - “Voglio diventare un ragazzo a tutti i costi” - Pinocchio rimane per un tempo infinito un burattino incorreggibile e bugiardo. Promette e non mantiene mai. Si caccia nei guai, nega l’evidenza dei suoi errori e mente.

E l’autore, pedagogo del suo tempo, come cura suggerisce punizioni e castighi che però non sortiscono alcun effetto. Ma al di là della teoria educativa decisamente datata e strettamente connessa con il pensiero positivista dell’Ottocento, il Pinocchio-bambino che ci affascina è un ragazzino disubbidiente e trasgressivo che scopre le sue nuove energie ed è curioso del mondo da esplorare.

Naturalmente inquieta l’incorreggibile ingenuità che troppo spesso lo mette nei guai e ci irrita l’esuberanza eccessiva che lo pone di fronte a imprese rischiose da cui non trae insegnamento, ma la storia di Pinocchio è quella dell’ambivalenza adolescenziale che da una parte spinge verso il cambiamento e la trasgressione mentre dall’altra paralizza lo sviluppo perché prevale la paura della crescita.

Grazie alla genialità di Collodi, le avventure di Pinocchio che si sviluppano tra la fantasia e realtà sono la narrazione del desiderio di libertà che contiene il bisogno di esplorazione e il rischio del disordine e del disagio. 

Ma questa è la storia universale di ogni individuo che affronta la fatica di crescere e il disorientamento davanti alla possibile trasformazione.

Al tempo stesso è l’avventura di quel Geppetto-genitore che fatica a capire il figlio e che per correggere i suoi comportamenti scorretti, sottolinea di continuo i suoi errori e usa come strumento educativo solo il sistema delle punizioni che non modificano nulla, quando invece quel che serve è tempo, pazienza e fiducia. 

Giuseppe Maiolo
psicoanalista
Università di Trento
www.officina-benessere.it

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