L'airone sopra il fiume
di John Comini

L’avevo visto in un freddo giorno d’inverno. Uno splendido airone. Aveva appena nevicato, e sulla via Romana mi ero portato la macchina fotografica per scattare qualche immagine



Era lì, sopra il fiume, le lunghe zampe appoggiate a delle assi di legno. Lo splendido uccello se ne stava immobile, come un messaggero degli dei. Sembrava guardasse il mondo, pareva volesse dire qualcosa a noi, poveri umani.

Era il simbolo di una natura che stiamo velocemente distruggendo. Come se la natura non fosse un dono da proteggere e salvare. Come se un fiume fosse “cosa nostra”, da usare e da scartare.

L’airone fa parte della famiglia di uccelli degli ardeidi: il poeta latino Ovidio narra che un airone cenerino si levò in volo dopo che Enea ridusse la città di Ardea in cenere. E forse il mito anticipa quello che sta facendo l’uomo della natura e delle foreste: ridurre tutto in cenere.

L’airone l’ho rivisto qualche giorno fa. Si è posato sul medesimo posto per pochi istanti. Poi ha allargato le grandi ali e si è alzato in cielo, sopra il fiume. L’ho guardato, incantato da quel volo che pareva una danza. E mi è venuta in mente la canzone di Lucio Battisti, “Emozioni”:

“Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi
ritrovarsi a volare

e sdraiarsi felice sopra l’erba ad ascoltare
un sottile dispiacere…”


Volava, l’airone. Volava con il suo bellissimo corpo slanciato sopra il Chiese, che scorre da tempo immemore e porta ricchezza di acqua, porta fertilità alle campagne, porta benefici a tutti quanti.

Volava sull’acqua errante che canta, sulle acque del fiume in cui è riflessa la vita che è sempre unica.

Volava sopra i sassi che offrono nascondiglio ai pesci.

Volava sopra gli alberi che popolano le rive, sopra il fogliame che odora di tempo e umidità. Volava sopra le robinie, i pioppi, i platani, i salici piangenti, sopra le querce e gli olmi. Volava sopra i sacchetti di immondizia che qualche vandalo aveva lanciato sui rami degli alberi.

Volava sul fiume che è un dono che non volta mai le spalle ed è necessario all’intera valle.

Volava sul fiume offeso, avvelenato, sporcato, inquinato da gente che non lo rispetta, che non sa che il Chiese è dato in dono ai viventi sia ieri sia oggi ma anche alle future genti.

Volava lentamente, nell’aria tersa, nel paesaggio risplendente di luce, sembrava sospeso al cielo come ad un filo misterioso.
E poi…

E poi ho immaginato che abbia spiccato il volo verso il bellissimo lago di Garda, scrigno di bellezza. E allora l’airone volava sopra l’incanto delle colline moreniche, sopra gli olivi e le viti, sopra le isole e le rive affollate dai turisti.

Ma anche qui sorvolava le discariche abusive, le acque inquinate che hanno visto sparire pesci come alborelle, cavedani e tinche.
Volava sopra la cementificazione, sopra lo sfruttamento intensivo, sopra il potere dei soldi a tutti i costi, costi quel che costi.

Poi l’airone è ritornato al Chiese. È disceso planando sull’argine ad osservare e udire il rumore della massa d'acqua che scorreva rapidamente. Se ne stava ancora lì, immobile. Come a proteggere il fiume. Come se sapesse che gli uomini spingeranno gli scarichi del lago su su verso le bellissime (e storiche) colline accanto al Chiese.

Come se sapesse che gli uomini decidono sempre per interessi di parte, che i politici che dovrebbero tutelare l’ambiente spaccano il capello in quattro, che si affidano ad un solo progetto, mentre per la salvaguardia del Lago ci vorrebbe una visione ampia, un concorso di idee a livello internazionale. Perché il Garda (e il Chiese) sono come la città di Venezia, e vanno tutelati da tutto il mondo.

Dobbiamo cominciare a pensare come un fiume, se vogliamo lasciare un patrimonio di bellezza e di vita per le generazioni future.
Il fiume è come il flusso della vita, inarrestabile. Urla, il Chiese, urla, chiede aiuto. Voi lo sentite?

Ho letto che l'etimologia del nome Gavardo deriva da una radice celto-germanica che vuol dire fiume, acqua che scorre o località posta su un corso d’acqua. Speriamo che Gavardo non diventi sinonimo di depuratore del lago…

Il grande Bepi De Marzi, cantore dell’inesorabile fine del mondo contadino-montanaro, ha detto: “La mia è una infinita disperazione. Piango un mondo umiliato e offeso. Urlo anche per lo scempio delle città: come fosse morto il mondo, se la città d’autunno non ha più foglie gialle nei viali di cemento nero. Le foglie non sono mai nate, son rimaste nel cuore dei rami duri come pietra…”.

Il grande Bepi ha scritto una stupenda canzone:

“L’eco del fiume riporta la voce
voce che torna, che torna a cantare.

L’eco non racconta se nei canali
son tornate le cannaiole.

L’eco del fiume riposa nel mare.
Nel mare tace l’onda,
più non torna la tua voce.

L’eco del fiume riposa nel vento
vento tra le canne
nei canali senza nome
L’eco del fiume…

Son tornate! Son tornate le cannaiole,
adesso è primavera…”

Qualcuno penserà: tanto va tutto male, non cambia niente, hanno già deciso i politici. E forse quel qualcuno ha ragione. Forse cambiare il mondo è un’illusione. Ebbene, chiamatemi illuso: spero ancora nei bambini, che forse riusciranno a salvare questo mondo che noi grandi stiamo distruggendo. Perché il lago è simile al Museo del Louvre… e il Chiese è come un quadro di Van Gogh. Speriamo che, come Vincent, non diventi famoso solo dopo che è morto.

E ringrazierò sempre le moltissime persone che non si arrendono, che combattono una battaglia civile in difesa del Chiese, che credono che si possano salvare lago e fiume insieme.

Grazie infinite, ragazzi di ogni età e di ogni partito, a voi vada il grazie di tanti cittadini, del lago, del Chiese… e di un airone.

Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo,
maestro John

Nelle foto:
- L’airone
- Il fiume a Gavardo (foto dell’amico Antenore Taraborelli)
- Il fiume vicino alla Centrale del Bostone
- La riva dell’Oise ad Auvers dipinta da Van Gogh

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