Qualche fetta di prosciutto
di Ezio Gamberini

E’ mai possibile che uno debba arrivare alla soglia dei sessant’anni senza mai aver assaggiato prosciutto e melone?


...Sì, è accaduto, e dopo averlo fatto per la prima volta, meravigliato per la prelibatezza sin qui trascurata, scuoto la testa, sconfortato …

Precisiamo: non ne ho ancora compiuto cinquantanove, ma l’anno prossimo raggiungerò inesorabilmente i sessanta (salvo errori e omissioni), perciò quando un paio di settimane fa, mentre trascorrevamo la domenica in modo assai piacevole alle Piscine Due Pini di Salò, all’ora di pranzo ho potuto apprezzare quella meravigliosa sinfonia di sapori, cioè il gusto salato del prosciutto associato a quello dolce del melone, frutto che non ho mai assaggiato in vita mia, forse per assurda e inconcepibile convinzione, ho cominciato a darmi del fesso.

Ho dei buoni ricordi associati al prosciutto
, e il primo che mi viene in mente è quando Grazia ed io eravamo in ferie a Cervia, molti anni fa, mentre passeggiavamo nel centro storico, pieno di bancarelle di vario genere per una festa tipica romagnola: c’era chi comprava le piadine, oppure un gelato, o una granita, che si consumavano passeggiando, e quando passammo accanto a un banco su cui era appoggiata una splendida affettatrice Berkel, utilizzata da un paffuto e baffuto salumiere intento ad affettare uno strepitoso Parma Gran Riserva, gli chiesi:

“Me ne può tagliare qualche fetta, un etto più o meno?”.

Per fortuna non mi sono azzardato a chiedere “belle sottili eh!”, perché avrei fatto la figura dell’incompetente: ecco alcune fette belle spesse (“…due etti e mezzo, lascio?”), appoggiate su un foglio di carta alimentare.

Lo sta richiudendo, per poi inserirlo in un sacchetto:

“Lasci pure, senza chiuderlo”, gli dico, prendo l’incarto e lo appoggio aperto tra la mano e l’avambraccio, così, mentre passeggiamo in Viale Roma, Grazia ed io possiamo gustare questo straordinario prodotto emiliano, famoso in tutto il mondo, tra le occhiate incuriosite dei turisti che ci scrutano mentre prendo per la collottola una fetta e la porto in alto, spingo indietro la testa, apro la bocca e me la infilo in gola, lentamente.

La fetta deve essere bella spessa, perché prima di addentarla, devi lasciarla riposare per qualche istante sotto la lingua, affinché le tue papille gustative si rendano conto d’essere al cospetto di una rarità, e assorbire gli umori che si sprigionano dal prezioso alimento.

Solo allora puoi cominciare ad addentare il prelibato salume, ma senza fretta, per carità, perché i sapori che si sprigionano da quel ben di Dio e l’effluvio di aromi travolgenti e libidinosi possono stordirti; invece bisogna resistere, masticare e sminuzzare con metodo, per favorire una sorta di processo osmotico attraverso il quale la fetta di prosciutto, ridotta ai minimi termini, è assorbita soddisfacendo ogni millimetro quadrato del tuo palato e… e… il naufragar m’è dolce in questo sale…

Evidentemente dobbiamo aver fatto scuola.

Quando torniamo, scorgiamo due signori seduti su una panchina accanto alla famosa bancarella, mentre si stanno gustando qualche fetta di prosciutto da un cartoccio appoggiato sulle loro ginocchia.

E negli anni successivi,
durante i viaggi, da soli o con gli amici, non mancherà mai un incarto di prosciutto crudo, emiliano, di Norcia, o toscano, secondo il luogo visitato, acquistato al volo in salumeria.

E’ proprio in uno di questi viaggi che feci un bello scherzetto al mio amico Nene: il gruppo si era diviso in due, ed io, senza farmi scorgere, entrai in un negozietto tipico umbro e mi feci affettare mezzo chilo di squisito prosciutto Norcino stagionato due anni, una vera prelibatezza. Me lo feci incartare e infilai il pacco dentro il mio giubbotto.

Quando il gruppo si ricompose davanti alla basilica, ad alta voce, facendomi sentire da tutti, dissi a Nene:

“Ah, che bello sarebbe avere qui adesso, in questo preciso momento, una fetta di prosciutto…”, anche perché era quasi mezzogiorno!

“Eh si – mi rispose con l’acquolina in bocca – sarebbe meraviglioso!”.

Allora, con un gesto esageratamente plateale, aprii la cerniera del mio giubbotto, estrassi il pacco e lo aprii: sembravano diventati tutti matti! Urla e strepiti…e le fette di prosciutto sparirono in tre o quattro nano-secondi, tra il tripudio generale.

All’amico Nene combinai uno scherzetto simile anche in un’altra occasione: ci trovavamo sul terrazzo dello splendido castello di Bratislava, situato sulla sommità di una collina rocciosa, intenti a rimirare lo stupendo panorama con il Danubio in primo piano a sovrastare tutto il resto.

“Ah, che bello sarebbe avere qui un bel cannocchiale, eh?
”, gli dissi.

“Ah, sì! Sai cha de quassù nei giorni più sereni si riesce a scorgere anche Vienna?”, esclamò con entusiasmo, e si mise a scrutare l’orizzonte.

Mi girai un attimo, estrassi dallo zainetto il mio cannocchiale monocolo estensibile che avevo fin lì nascosto a tutti, uno strumento polacco con un’ottica straordinaria che pesa un chilogrammo, lungo venti centimetri da chiuso e una sessantina quando è aperto; lo dischiusi e me lo portai all’occhio, quindi chiamai l’amico, affinché volgesse lo sguardo nella mia direzione:

“Oh, Nene, che spettacolo!”.

Cominciò a spanciarsi dal ridere, e quando cessarono le convulsioni, gli passai il cannocchiale, con il quale si divertì per alcuni minuti.
E senza spendere nemmeno una monetina!

Ezio Gamberini

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