Solo nella follia si mostra la verità
di Leretico

Suonano così le parole di Miguel de Cervantes nel “Secondo Don Chisciotte”, al capitolo XLII...


“Disposto dunque che io ti abbia ora il cuore a prestare fede a quanto ti ho detto, sta attento, o figliuolo, ad un Catone mio pari, che vuole consigliarti ed esserti guida e stella per incamminarti e condurti al sicuro porto dell’oceano procelloso in cui ora ti metti; mentre gli offizii e le grandi cariche altro non sono che un golfo profondo di confusioni.

È Don Chisciotte che parla al suo scudiero Sancho Panza, prima che parta per assumere l’incarico di Governatore dell’isola Barattaria, prima che divenga un politico eletto insomma.

Il tono è sentenzioso, anche se la solennità del dire di Don Chisciotte stride con la sua presunta pazzia, di cui tutti si avvedono.
E così non si sa più se il “cavaliere dalla trista figura”, diventato poi “cavaliere dei leoni”, sia il vero folle oppure lo sia il lettore delle sue avventure.

C’è in queste righe un effetto di straniamento doppio: il primo derivante dalla sequenza di atteggiamenti folli di Don Chisciotte che induce a ritenere fuori luogo ogni suo successivo intervento.
Quando questo non accade, ossia quando i suoi discorsi sembrano ragionevoli, il lettore si sente spiazzato proprio per questa insperata assennatezza.

Il secondo straniamento è legato al tema che Don Chisciotte affronta, anche troppo attuale: potere e giustizia. E lo straniamento consegue al fatto che per Cervantes solo nella follia si mostra la verità. E dalla verità la giustizia.
Ma sentiamo cosa consiglia l’ingegnoso Hidalgo della Mancia al suo scudiero neo-Governatore.

Cominciamo con la socratica umiltà che nasce dall’intelligenza, così scarsa in ogni tempo:

[…] hai da considerare chi sei, e cercare di conoscere te stesso: arte più difficile di quello che ognuno pensa. Se ti conoscerai bene non ti gonfierai come quel ranocchio che voleva agguagliarsi al bue; e considerandoti sempre come uomo che fu guardiano di porci nel tuo paese, vedrai che poggia su brutti piedi la ruota della tua fortuna.

In secondo luogo gli mostra il tipico difetto degli ignoranti, o stupidi che dir si voglia:

[...] Non lasciarti guidare dalla legge del capriccio che suole predominare negl’ignoranti, i quali presumono di essere avveduti.

E infine si concentra sulla giustizia, per sottolineare che non è possibile il buon governo senza una suprema attenzione per la giustizia (parole non furon mai spese meglio):

[…] Procura di scoprire la verità tanto per entro alle promesse e ai doni del dovizioso quanto tra i singulti e le importunità dell’indigente.
Quando può e dee aver luogo l’equità non fare che piombi sul reo tutto il rigore della legge; ché non è mai migliore la fama del giudice rigoroso di quella del compassionevole.

Se accade che la bacchetta della giustizia si curvi, ciò non avvenga mai per lo peso dei donativi, ma per quello della misericordia.
Quando ti occorra di dover giudicare i pianti o le liti di qualche tuo nemico, allontana la memoria delle ingiurie, e mettila unicamente nella verità del fatto.

Non ti accechi la propria passione nella causa altrui: chè gli errori nei quali tu cadrai, saranno il più delle volte senza rimedio; e se pure lo avessero, ciò tornerebbe a spese della tua riputazione ed anche delle tue sostanze.

Se qualche bella donna ti viene a chiedere giustizia allontana gli occhi dalle sue lagrime, e chiudi gli orecchi ai suoi gemiti: considera posatamente le sue dimande se non vuoi che la tua ragione vada naufraga nel suo pianto, e la tua bontà nei suoi sospiri.

Non maltrattare con parole chi dee ricevere da te gastigo con opere, mentre basta allo sventurato la pena del supplizio senza la giunta delle vituperevoli ingiurie.

Nel colpevole ch’è soggetto alla tua giurisdizione, considera l’uom miserabile, subordinato alle condizioni della depravata nostra natura; e per quanto si può, e senza offendere la parte contraria, ti mostra a lui pietoso e clemente, perché quantunque tutti gli attributi di Dio sieno eguali, più campeggia e risplende ai nostri occhi quello della misericordia che quello della giustizia.


Non credo occorrano tante spiegazioni dopo queste parole.
Epperò ci viene una considerazione: quanto poco il potere si preoccupi di queste ammirevoli e sintetiche espressioni.
E più ha senso, tra le frasi di Don Chisciotte, quella che disegna la metafora della “bacchetta” della giustizia, dritta come dovrebbe essere il diritto, che così si chiama perché è “diretto”, va al punto, immediatamente alla questione.

E se accadesse che tale bacchetta si dovesse piegare, allora che si pieghi non a causa di corruzione (donazioni) ma a causa della misericordia nei confronti dell’essere umano, pietà dell’uomo verso la propria condizione di senziente gettato nel mondo e nella sua diuturna tempesta.

Ecco cosa ci aspettiamo da qualsiasi governante: che abbia quella prudenza e quel senso di giustizia in grado di fargli scorgere la verità.

Vorrei, come auspicio finale, che i nostri governanti attuali e futuri potessero leggere il Don Chisciotte di Cervantes, ma cosa sperare da chi, quando tenta di esprimersi, non sa mettere d’accordo i congiuntivi con i soggetti e i complementi?
Cosa sperare da chi si presenta agli italiani con un mitragliatore in mano ed evoca, un giorno sì e un giorno no, i miti verbali e iconici che furono del fascismo?

Possibile che proprio coloro che qualche tempo fa affermavano all’unisono che fascismo e comunismo fossero ormai morti e sepolti, non passa giorno che non facciano leva proprio su essi, e sul loro mito, per ottenere maggiore consenso elettorale?

Speriamo che quanto visto finora non sia la preparazione di qualcosa di peggio.
Troppi segnali indicano la tempesta e “io speriamo che me la cavo”.

Leretico

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