Il (non) figlio di papà
di Luca Rota

Terminata l’esperienza dedicata agli “inglesi”, ecco un nuovo meta-percorso, un viaggio tra la fantasia, l’estro, la malinconia, la vita sportiva e non dei “figli di..


A fare da apripista una figurina carismatica, un profilo calcistico di alto spessore con alle spalle una storia importante, nell’anima un’umiltà favolosa, nelle gambe tanta gavetta e nel cuore una sola grande delusione.

Daniele Conti è ciò che in gergo si definisce “figlio d’arte”, ma forse è stato molto di più.
Figlio di Bruno, storico numero sette della Roma e campione del Mondo a Spagna ’82, somiglia moltissimo al padre nella fisionomia, ma ne diverge nella posizione occupata in campo.

Si affaccia nel grande calcio dopo una lunga trafila nelle giovanili giallorosse, e l’esordio all’Olimpico a soli 17 anni è di quelli indimenticabili: gol, esultanza sfrenata sotto la curva di casa e cartellino rosso.

Tutto ciò potrebbe far pensare ad un predestinato, un “romano romanista” pronto a difendere la causa della Lupa vita natural durante. Spesso però il dio del calcio gioca brutti scherzi; così la Roma dopo averlo tenuto in naftalina per altre due stagioni, nell’estate del 1999 lo presta a Cagliari.
Sarà proprio in quel momento, e per via di quel prestito, che la sua carriera cambierà. Nemmeno Daniele però lo sa che il biglietto per la Sardegna è di sola andata.

Abbandonata la città eterna e la serie A, prende la maglia numero 5, arretrando il proprio raggio d’azione dalla trequarti fin davanti alla difesa, ed accettando la B come condizione temporanea. 
A Cagliari rimarrà per ben sedici stagioni, diventandone capitano, uomo simbolo e fulcro di un gioco che nonostante i cambi in panchina, non lo vedrà mai fuori dai progetti.

Le sue prestazioni in campo lo consolideranno come uno dei migliori registi della massima Serie, in più segnerà diversi gol, di testa negli inserimenti in area, e su punizione (specie quelle a due) di potenza.
A differenza del padre non verrà ai convocato in azzurro (sarà solo azzurrino), nonostante a più tornate lo avrebbe meritato.

La corte di club più blasonati non esiterà a tentarlo, ma Cagliari e la Sardegna saranno la sua seconda casa, o probabilmente diventeranno la prima dato che ancora oggi lavora per quei colori.

Lui che da (non) figlio di papà lasciò Roma ed il giallorosso
- che mai troppo lo rimpiansero - per conquistare a suon di gioco e di intensità, l’affetto di una tifoseria, di una città e di una regione intera.

D’altronde “Nemo propheta acceptus est in patria sua”.

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