Una domenica mattina
di Ezio Gamberini

Potrei starmene in letto, ma non c’è verso: all’alba del dì di festa, di tanto in tanto, mi sveglio anche prima delle sette, allora mi alzo e nella quiete ovattata del villaggio ancora silenzioso comincio a godermi la domenica mattina…


Non accendo la luce, prendo i vestiti ed esco silenzioso dalla camera, perché non voglio svegliare Grazia che, pure lei di tanto in tanto, la domenica dorme anche fino all’una!

Chissà perché invece io non riesco proprio a stare nel letto.
Forse ho preso dalla mia mamma, che mi raccontava di come sua madre (nonna Felicita, nata nell’anno 1900 e incredibilmente, per quel tempo, figlia unica!), da giovane, andasse a svegliarla prestissimo tutti i giorni, anche festivi, perché, le diceva:

“Non è conveniente poltrire nel letto, bisogna alzarsi!”, e così, anche quando abbandonò la casa materna per sposarsi, la mia mamma per tutta la sua vita continuò ogni giorno ad alzarsi prestissimo ogni mattino.

Faccio tutto con calma, guardo fuori dalle finestre il villaggio addormentato mentre fa un freddo cane, e lo spicchio di giardino sul retro, sperando che il “mio” merlo, che abitualmente saltella dal melograno all’alloro, fermandosi poi sfrontatamente a sostenere il mio sguardo in mezzo al prato, torni presto a trovarmi. “Porziuncolo” con maggior accuratezza, anzi, con letizia, il mio toast mattutino e mi gusto la colazione come se fossi il Re Sole!

Poi accendo il televisore e guardo le notizie del giorno. Quando si arriva alla “Quota 100”, mi chiedo se per caso io non sia nato nel periodo sbagliato: la cosiddetta “Quota 100” è un provvedimento con il quale un soggetto che compie sessantadue anni con trentotto di contributi versati può chiedere di andare in pensione.
Peccato che la norma sia provvisoria, fino al 2021, e ovviamente io compio i sessantadue anni nel 2022!

Proprio come quando ero ragazzo: trascorsi l’adolescenza arciconvinto che la naja, l’anno obbligatorio di leva militare, non l’avrei fatta, perché c’era una legge che esentava il terzo figlio maschio, nel caso in cui due fratelli in precedenza avessero adempiuto l’obbligo.
I miei due fratelli maggiori fecero il loro dovere nei confronti della Patria ma, l’avrete già capito, questa norma fu abolita poco prima che giungesse la mia ora, e la “cartolina” arrivò impietosa: trascorsi ventiquattro giorni al CAR (Centro Addestramento Reclute) in una caserma dell’Artiglieria Contraerea di Ascoli Piceno (dove riuscii a dimagrire tre o quattro chili, ed ero ancora magro!) e gli altri undici mesi all’aeroporto di Villafranca, dove invece di chili ne presi otto, essendo in caserma soltanto in centocinquanta e potendo usufruire di un cuoco e una cucina straordinari….
Ma non è finita qui, perché, non molto tempo dopo, la norma del “terzo figlio maschio” esentato dal servizio militare fu reintrodotta.

Chissà se al Ministero della Difesa qualcuno a quel tempo s’interessò al mio caso:

“Ma il Gamberini l’ha finita la naja?”.

“Sì”.

“Beh, allora reintroduciamo pure l’esenzione per il terzo figlio maschio, va!”.

Proprio quello che è successo in questo periodo: secondo me, nel progettare la “Quota 100”, i vice-premier Salvini e di Maio si sono accordati in tal senso:

“Senti Luigi, ma il Gamberini quando compie i sessantadue anni?”.

“Mhhh… credo nel 2022, Matteo”.

“Va bene Luigi, allora facciamola terminare nel 2021”.

“Ok Matteo, sicuramente anche Beppe sarà d’accordo, facciamola terminare nel 2021”.

E così fu: in quel preciso momento, e senza alcuna preventiva consultazione sulla piattaforma digitale per chiedere l’opinione della base, stabilirono che la “Quota 100” sarebbe stata valida dal 2019 al 2021.

E’ davvero bislacca questa politica che premia soprattutto coloro che si presentano con più “appeal”, convincenti e sicuri di sé, incuranti non solo delle leggi, ma anche delle regole minime di buona educazione, che non guardano niente e nessuno, pur di portare a casa i risultati.
E ciò che maggiormente mi stupisce è l’assoluta incapacità di ragionare sul futuro e progettarlo, non soltanto sul nostro, ma principalmente su quello dei nostri figli e dei nostri nipoti.

Il confronto con il passato è impietoso, se l’accostamento deve essere fatto ad esempio con un personaggio come Alcide De Gasperi, ultimo Presidente del Consiglio della Monarchia e primo della neonata Repubblica Italiana, nel dopoguerra, il quale ebbe l’umiltà di presentarsi alla conferenza di pace di Parigi, che sanciva formalmente la fine delle ostilità tra l’Italia e le altre nazioni, con queste parole:

“… sento che tutto, tranne la vostra cortesia, è contro di me…”.

Si narra che in un‘altra occasione ufficiale, prima di presentarsi in pubblico, gli fu prestata una giacca, perché la sua era piuttosto malconcia.

Morì senza essersi arricchito, e non odiò mai nessuno…

Che silenzio c’è ancora nel villaggio!

Ora accendo il note book e comincio a scaricare i podcast dei miei programmi radio preferiti che ascolterò per tutta la settimana, ogni sera prima di addormentarmi, dopo averli trasferiti sull’Ipod.
Mi fanno grande compagnia e mi divertono straordinariamente: “610” con Lillo e Greg; “Black Out” con Enrico Vaime, il più longevo programma radio RAI, trasmesso da quarant’anni; “Programmone” con Nino Frassica, davvero irresistibile e geniale!

E poi curioso, scorrazzo avanti e indietro tra le cartelle del computer e scopro che nei “Video” c’è salvato un vecchio film, uno dei miei preferiti, insieme ai cinque di Peppone e don Camillo: “Fantasmi a Roma”. Lo apro per vederne alcuni fotogrammi, ma smetterò soltanto dopo un’ora e tre quarti, quando sarà terminato!

“Fantasmi a Roma”, girato nel 1961 con attori straordinari, da Eduardo De Filippo a Vittorio Gassman, da Marcello Mastroianni a Tino Buazzelli, con una giovanissima Sandra Milo, racconta la gustosa storia di un principe squattrinato che vive in un antico e malandato palazzo nel cuore di Roma, che fa gola ai “palazzinari”, abitato dai fantasmi.

Vicende e recitazione entusiasmanti: voto 10!

Sono le undici e mezzo: dai che ce la faccio…

Prendo due patate e le faccio a pezzettini piccolissimi prima di buttarle in una casseruola piena di acqua salata, così fan più presto a bollire; dopo dieci minuti sono pronte e tenerissime, le schiaccio e le unisco a un po’ di farina, un pizzico di sale, l’uovo sbattuto, e una generosa manciata di Parmigiano Reggiano grattugiato invecchiato trentasei mesi.
Lavoro l’impasto un minuto, faccio un salsicciotto e taglio gli gnocchetti velocemente, poi li passo sulla forchetta con un colpo secco e deciso, e infine li faccio riposare su un vassoio infarinato intanto che preparo un sughetto. In una noce di burro e due cucchiai di olio extravergine di oliva (della Comunità ai Rucc e Dintorni, eh!) faccio “morire” uno scalognetto e uno spicchio di aglio, sminuzzati finissimamente, ma con il coltello, per carità, e poco dopo aggiungo la polpa di pomodoro.

Quando Grazia si sveglia e comincia a scendere le scale, quasi sviene per i profumi che provengono dalla cucina.

“Fra un quarto d’ora è pronta”, le dico.

Per accompagnare gli gnocchetti tiriamo il collo a una bottiglia di Balì dei nostri amici Trevisani e, tra un sorso e l’altro, li polverizziamo in pochi minuti (non gli amici, gli gnocchetti).

Ah, che splendida domenica!

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