La montagna e il suo magico mistero
di Rosalba Francinelli

Un giorno decisi di fare una passeggiata. Dovevo salire in alto, lassù, dove le aquile svolazzano nel cielo libero. Volevo dall’alto raccontarvi le bellezze, le emozioni di quel meraviglioso mondo conosciuto da pochi 


Arrivai esausta sotto il Monte Tegaldine, precisamente a “Osero”, ove la mia sosta a una breve fonte ebbe la giusta ricompensa di poter sorseggiare una fresca acqua pura, una cosa quasi impossibile oggi, con acqua solo imbottigliata e asportata, oppure clorata. 
 
Mi specchiavo in quella fontana e vedevo il cielo e le rocce del Tegaldi. Un canto all’improvviso di un gallo forcello, un richiamo alla danza dell’amore della sua compagna, un vero incanto. Quarant’anni fa vidi quassù dei faggi di tenera età. Scolpii incidendo un cuore. Ebbene, lo cercai e lo trovai ancora incarnato in quel faggio. Il cuore era a pezzi, ma lo aveva conservato, lo abbracciai.
 
Provate ad abbracciare un albero, è una sensazione meravigliosa, unica, se volete piangere guardate la roccia lassù in alto, lei di pianto se ne intende, perché dall’alto vede, sente e ascolta tutto quello che l’uomo fa. E l’uomo sta distruggendo queste meraviglie. L’uomo non sa amare la natura perché non ha mai voluto conoscerla, ed è per questo che la usa, cerca di portarle via sempre un pezzetto in più, di restringerne il cerchio per servirsene per qualcosa di negativo. 
 
A volte l’uomo costruisce e poi abbandona, ed ecco perché pezzetto dopo pezzetto questa natura rigogliosa si fa meno bella. 
La natura è un patrimonio ambientale, e ora da quassù posso dirvi cosa vedo. Guardo questo immenso e meraviglioso posto, l’erba è alta, quasi mi fa solletico alle ascelle da quanto è alta, ma  penso che arriverà l’estate e l’erba sarà pronta a rigenerarsi come fa una bella donna quando si mette in ordine i capelli. Allora tutto riacquisterà il suo posto.
 
Il mondo della pastorizia è fatto di fatiche all’aria aperta che fanno sentire le loro voci. Un mondo arcaico forte, quello dei malgari ormai quasi tutti scomparsi. Bisogna levare tanto di cappello a chi ha saputo con tenacia e forza andare avanti. Ma quassù c’è ancora un po’ di equilibrio. Ci sono dei veri malgari, portatori di una tradizione. Con i casari tengono pulito questo mistero di montagna,  un incanto di nostro Signore. 
 
Loro sanno ascoltare ogni giorno la voce della montagna tra boschi e rocce. Sanno gustare l’ebrezza della sera di un tramonto e di un’alba. Nelle notti di sonno sanno ascoltare la foresta dove dormono i segreti. Sento dire a volte “El Malghès, che vita”. Questo è un incredibile lavoro curato in ogni passaggio lento e costante. E’ una passione che ti porti dentro fin da fanciullo. Un lavoro da lodare che viene portato avanti da pochi, che non tutti conoscono bene.
 
Poi ci sono i cacciatori, c’è chi fa un po’ di fracasso, ma c’è anche il vero cacciatore che si trascina quassù in silenzio una storia piena di ricordi, amori e gioie del proprio cuore. 
 
Abbasso gli occhi un momento e intravedo Località Po, allora il cuore si spalanca, vedo la cascina e tante altre ristrutturate e non c’è n’è una senza capanno. I cacciatori sanno fare anche questo, rendere il luogo accogliente e fare del loro capanno un insieme perfetto. 
 
Da settembre le piante si colorano di un rosso vivo e acceso curando la loro postazione e ne fanno una reggia per tutto il periodo di apertura della caccia. Alzandosi di buon mattino per portarsi ancora con il buio sul posto, i cacciatori si riuniscono all’alba con il cuore che sobbalza. 
Località Po, l’estate davanti al fienile, avvolti da un palcoscenico grande, silenzioso, si possono ascoltare i campanelli delle pecore e delle capre disperse fra prato e boschi che se ne vanno a brucare erba fresca. 
 
Sono attimi di batticuore, sembra perfino di togliere dal cassetto antico una storia quasi dimenticata, quando lassù i nostri nonni resistevano alle fatiche e al dolore. A volte i pastori, davanti ai vecchi fienili, si chiedono chi vi avrà abitato un tempo, quale mistero celino. Si parla dei racconti nelle stalle, tra il fiato umido dei bovini che le riscaldavano, e dei canti dei contadini che risuonavano fino in fondo alla valle perché cantavano con passione e con vero cuore. 
 
Al mattino si sentiva l’eco della campana della chiesa di Avenone, quando suonava l’Ave Maria, cosa c’è di più bello, Signore, di un suono diffuso nella vallata che amplifica il dono? Poi l’erba appena falciata, diventando fieno secco imbiondito ai raggi del sole, faceva esaltare la sua fragranza. 
 
Sono profumi di una volta, ora si sentono poco, ma si percepisce la rinascita che permetterà all’autentica bellezza di mostrarsi di nuovo. Diamo merito ai contadini, preziosi e insostituibili, per quello che fanno ancora oggi, tribolando ma riuscendo a vivere bene con quel poco che hanno. Ma dove stiamo andando? Troppo contro corrente. La gente ora crede di sapere tutto, vogliamo piegare la natura, piegare anche la potenza di Dio. Questo non lo permetterà. 
 
Termino qui ora il mio racconto, un viaggio alternativo alla riscoperta della forza da cui dobbiamo ancora imparare molto, salvaguardando il nostro territorio.
 
L’aquila ha volato con me, accompagnandomi, e insieme abbiamo visitato le maestosità del territorio e tanto altro. Abbiamo visto tutto questo. Per me è stato particolarmente suggestivo salire fin qui a piedi e scendere fino a valle, perché qui c’è un angolo di paradiso che Dio ci farà sempre conoscere e diffondere. 
 
Per un momento ho voluto tenervi compagnia, perché vivere la montagna significa fatica, attenzione ma anche grande trasporto e concentrazione. Amiamo la nostra terra e i suoi escursionisti, ma anche i lavoratori che trovano tempo e dedizione per riunirsi e collaborare per una completa e dinamica vita in montagna e per l’espressione di tutto il suo potenziale.
 
 
190124-montagna1.jpg 190124-montagna1.jpg 190124-montagna1.jpg