Un cappuccio anti-avversità
di Pseudosofos

Spesso i nomi nascondono storie antiche. Quella che segue è una di queste storie, emergenti dall’appellativo assegnato ad un’osteria di Bione Pieve



Passatempo. La maggior parte delle persone pensa si tratti di un hobby, un’occupazione da tempo libero.
Diversamente dal duro e noioso lavoro, ogni passatempo è fatto per esprimere una passione in maniera creativa, senza voler ottener nulla se non il proprio e l’altrui benessere.

Il trovar un po’ di gioia dentro il noioso quotidiano è lo scopo di ogni passatempo.
E se un po’ di gioia e di gratuità si trova ancora nel pensar al senso della vita, anche la filosofia è una specie di passatempo: la più libera e gratuita delle attività razionali, come direbbe Aristotele.

Eppure, passatempo è anche, più semplicemente, ogni piccolo momento di svago della giornata.
Per chi va a scuola è la ricreazione; in ogni ufficio la pausa caffè o “pàia” (con buona pace di chi ancora immagina alla salute solo come questione di tutela medica dei polmoni); in officina le due parole con chi è a fianco in catena di montaggio…
Ogni semplice distrazione della giornata, lì a dirci che nemmeno il lavoro è poi tutto nella vita, siamo soliti chiamarla passatempo.

Anche ad alcuni oggetti associamo la parola passatempo.

Gli anti-stress, per esempio. Pur non essendo oggetti, gli animali addomesticati sono sovente vissuti come passatempi, soprattutto se aiutano, con la loro presenza, a sanare qualche ferita ricevuta dalla vita. E’ probabile che il Creatore abbia inventato questi animali per insegnare agli uomini, gli ultimi arrivati nell’universo, la compassione.
Un cane che ci lecca, o un gatto che ci fa le fusa non hanno secondi fini. Quando sono sazi, si occupano di noi gratuitamente: migliori fra i migliori amici, ci addomesticano nell’uso della pietà e della misericordia.

Davvero preoccupante, invece, diventa il momento in cui una persona è trattata come un passatempo. Perché, oltre all’ignoranza che le è congenita e alla stupidità di cui è capace, ogni persona è un bene in sé stesso, come insegna Immanuel Kant.
Di conseguenza, nessun umano va mai trattato come diversivo per assecondare i propri egoistici desideri: né per guadagnar denaro, né per ottener piacere sotto le lenzuola, né per procurarsi il potere, che corrompe ogni anima.

Per questo il nome “Passatempo” si addice bene ad un’osteria
. In questa specie di ludoteca degli adulti le persone si incontrano per passar del tempo in compagnia e, stando insieme, comprendono di essere animali sociali e politici.
Quanti discorsi sul bene pubblico si fanno all’osteria più che in piazza! Le piazze sono pubbliche ma ormai deserte. All’osteria si possono ancora sentire racconti autentici, quelli veri, conditi con qualche sana volgarità di rito e non più rintracciabili nelle piazze, nemmeno quelle virtuali, di cui wikipedia è l’incontestata regina.

Uno di questi racconti
fu udito una sera all’osteria il Passatempo.
Durante un’allegra pizzata in compagnia, una specie di filosofo raccontò ai suoi amici lì riuniti il modo in cui veniva usata la parola passatempo.
Ad un certo punto, riferì loro che questo vocabolo ha origini antiche. Fu inventato dai monaci medievali per indicare il nome del cappuccio attaccato ai loro mantelli.
Quell’aggiunta di sartoria serviva per riparar il capo dal vento, dalla pioggia e dalle intemperie atmosferiche.
Le fu dato il nome di “passavento”.

Col tempo anche le parole cambiano in quest’universo ch’eppur si muove. Fu rinominato “passatempo”.
Oggi nemmeno si usan più i mantelli e gli unici cappucci che si vedono sono attaccati alle felpe. Ciò nonostante è certo che un buon “cappuccio” al Passatempo, così come in ogni altro bar della nostra bella valle, sarà ancora servito a chiunque cerchi riparo dalle intemperie della vita fra le mura di un’osteria.

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