Un pensiero invadente
di Leretico

C’è un pensiero che continua ad affiorare alla mia coscienza come gli occhi di una rana che spuntano a pel d’acqua prima di salire, cianciante e giuliva, su una larga foglia nello stagno.


È un pensiero legato al contingente, chiamiamo così l’affastellarsi di avvenimenti quotidiano che cerchiamo affannosamente di discernere fino all’ora in cui ci addormentiamo, e buonanotte.
D’altra parte, fino al momento di addormentarci questo pensiero affiorato in modo così naturale, ci pungola, ci tiene sulla corda, non ci molla un attimo vagolando come il Ghibli più tenace, nelle aride terre della Libia del sud.

E allora andiamo a scorgere tra i libri che ci hanno parlato di quell’argomento, quale mai possa essere una corroborante risposta al dubbio che quel pensiero ci ha insinuato. Ci rifugiamo nell’angolo in cui solitamente riceviamo dall’alto le soluzioni ai nostri più intricati problemi, passiamo in rassegna i pro e i contro di tutte le argomentazioni che abbiamo meticolosamente raccolto in elenco, e guardiamo sconsolati al tramonto assassino che al di la di quella siepe “il guardo esclude”.

Insomma, ogni volta che quel pensiero si presenta, non sappiamo che pesci pigliare, ci sentiamo ancora poco maturi per rispondere, ci vien voglia davvero di rinunciare, come ci accade con la fisica quantistica in cui perderemmo del tempo se volessimo contemporaneamente conoscere velocità e posizione della particella su cui stiamo indagando.

La particella ci sfugge, non ha rispetto alcuno per la nostra sofferenza inquisitoriale. Se conosci la posizione, la sua velocità rimane ignota.
Se ne misuri la velocità, non sai dove si è andata a cacciare: potrebbe essere ovunque.
Questo pensiero è dunque indeterminato?

No! Non entriamo nel difficile vi prego, cerchiamo di non elucubrare ragioni che stanno nell’astratto per non dire nel confuso. Sfidando le più acerrime critiche, vi vado ora a declinare cosa sia mai questo pensiero, che non sono fin qui riuscito a esplicitare. E vedete quanto sia difficile! Quante parole mi è toccato mettere nelle premesse per arrotondare, smorzare, ridurre, limitare, circostanziare, minimizzare l’effetto dirompente che avrà nel momento in cui esattamente leggerete di cosa si tratta.

Ebbene, cercherò di essere sincero, anche se non posso con parole incomparabili ridurre un pensiero così importante alla poca cosa che sarebbe scandendola e definendola, tradendo insomma il suo vero e complessissimo significato.

Bisognerebbe dirlo tutto, ma il Tutto, quello con la “T” maiuscola, è roba da filosofi e quindi degna della massima vituperazione. Ecco perché me ne sottraggo; mi nascondo perché massima è, tra le parole che intendono offendere, l’appellativo di “filosofo”, e Dio me ne scampi dall’essere così definito.
Io leggo e riporto il pensiero altrui, non faccio plagio né ammicco. Non voglio che mi si appelli con la parola “filosofo”, perché essa denota chi ama il sapere, d’accordo, tuttavia è parola offensiva, perché del sapere non importa più niente a nessuno.

Oggi conviene essere sacerdoti di un nuovo verbo
; non di quel “logos” così caro agli oscuri come Eraclito o Hegel, ma sacerdoti del “vuoto”. Ossia sacerdoti dell’assenza.
Ecco, l’assenza non è da prendere sottogamba: per esserci assenza è necessario che sia evidente la cosa che l’assenza indica, appunto, come non presente.

L’assenza, il vuoto, non è un nulla. I sacerdoti dell’assenza non predicano il nulla, ma qualcosa che adesso non c’è e che presto ci sarà. I sacerdoti del nuovo “pneuma”, un messia che verrà e che per adesso è in ritardo, è assente.
Ecco la nuova attitudine, quella di cui indicavamo la necessaria “adaequatio”, da praticare per le nostre menti satolle di miserevoli materialismi e altri decadenti pensieri.

Adeguarci al vuoto, superare il celeberrimo “horror vacui” con la consapevolezza dialettica che ove vuoto incombe (assenza), arriverà senza tema un qualcosa a riempimento, anti-democriteo evidentemente.
Come accade nelle teste vuote, in cui la vuotezza esperita è sempre accompagnata da tempeste di elucubrazioni insulse, che pur sono qualcosa. Anche gli imbecilli d’altra parte non sono un nulla.

Ho quasi finito, non lamentatevi.

Vorrete prima o poi sapere di cosa vorrei parlare, altrimenti perché seguire fino a qui?
Allora ci siamo, sedetevi, allacciate le cinture di sicurezza, mettetevi il casco se potete, non sarà esperienza di tutti i giorni, qualcosa potrebbe entrarvi senza consulto nella corteccia celebrale e lasciare un segno. Il pensiero che è emerso è il seguente: la terra è piatta!

Ovviamente dato che la terra è piatta,
allora anche le vaccinazioni sono perfettamente inutili.
E lo si può capire se si è letterati abbastanza da ricordare la enorme figura di don Ferrante, nel manzoniano “I promessi sposi”, che così ragionava sulla peste: “In rerum natura,” diceva “non ci son che due generi di cose: sostanze e accidenti; e se io provo che il contagio non può essere né l’uno né l’altro, avrò provato che non esiste, che è una chimera” (Cap. XXXVII).
E poiché il contagio non si vede né si tocca, allora non esiste! Fatale conclusione.

Ecco qui la grandezza del pensiero, tratto dal filosofo Aristotele, il più grande, tuttavia tradotto e semplificato per i palati meno fini. E io mi adeguo, come si adeguano al populismo tutti quelli che da esso intendono guadagnarci, se non denaro, almeno una posizione da cui possa derivarne in un futuro non troppo lontano.

La terra è dunque incontrovertibilmente piatta, gli allunaggi cinesi sono racconti senza vergogna, il crollo delle torri gemelle è un’invenzione del Potere, l’Olocausto è un’invenzione dei Savi di Sion, la bomba atomica è un’idea non ancora realizzata, ma che fa paura abbastanza.

E la tecnica? Quella che è destinata al dominio?
Quella che non avrà alcuna ideologia che possa ingabbiarla affinché possa garantire il futuro immortale dell’homo sapiens? Non scherziamo, dire corbellerie è un conto, crederci un altro, nonostante il giallo-verde sia diventato il colore preferito dal popolo or dobbiam risvegliarci. La Tecnica è una cosa seria, troppo seria per lasciarla ai sacerdoti del “vuoto”.

Buon anno

Leretico

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