Ciapa el tram balurda
di Maestro John

I treni mi hanno sempre affascinato. Quando facevo il chierichetto ai funerali, mentre si andava al camposanto a volte scendevano le sbarre per il passaggio del treno merci...


Allora il corteo si fermava e tutti guardavamo il treno passare, e sembrava una metafora della vita.
Ricordo benissimo quelle rotaie, e quelle sbarre, con la campanella che suonava quando venivano abbassate.
C’era sempre qualche ardito ciclista che si accucciava e le superava, senza timore di essere travolto dal treno.

Una volta con i miei amici avevamo seguito i binari fin quasi fino al Lanificio, al Bustù. Chissà che discorsi avremo fatto, con le nostre braghe corte e le ginocchia sbucciate, in mezzo alle traversine di legno ed alle pietre?

Nelle vecchie immagini si vede il tram su rotaie che passa in via Quarena. Mia sorella Rita mi ha raccontato che, da bambina, quando i miei abitavano a Salò, tornando da scuola con l’amica Domenica Benedetti (ora abita a Gavardo, è una persona sempre disponibile ad aiutare gli altri, fa la “perpetua” di don Giacomo) salivano sulle carrozze vuote del tram e correvano da una all’altra, fra i sedili, con grande felicità.

La mia nonna Francesca raccontava in dialetto di quando era andata in viaggio di nozze (non saranno di certo andati lontano…) con suo marito Secondo (da cui ha preso il nome mio fratello Dino).
“Quand che sóm particc col tram, vidie la mé mama e el mé bubà col fasöl che i mé saludaa, alùra me só mitida a pianser, e el mé om: ‘Se te ghet voia de pianser, salta zó e turna endrè!’ Me só sügada i lacrimù e me só sentada zó… Iè stàde le prime spine…”

Anche i miei genitori hanno usato il treno per andare in viaggio di nozze, a Venezia.
Mia mamma raccontava le barzellette a mio papà, ma lui (sempre ironico) le diceva: “Dimél quand che ghó de rider”.
Ma poi vedevano partire i treni pieni di soldati, e la guerra stava arrivando…

E dopo che il mio papà è stato catturato e imprigionato in un lager in Polonia, ed è arrivata la sospirata liberazione, ha percorso tutta la strada dalla Polonia all’Italia a piedi.
Ma erano passati molti giorni, e non era ancora arrivato a casa. E allora tutti i giorni mia nonna Francesca lo aspettava alla fermata del tram e lo aspettava, lo aspettava…

Un po’ alla volta tutti tornavano, ma mio papà no
. E mia nonna e mia mamma aspettavano sempre, e nessuno aveva il coraggio di dir loro niente. Perché tanti non erano più tornati, perché la guerra è una cosa brutta e cattiva.
E la guerra ormai era finita, ma mia nonna aspettava sempre alla fermata del tram.

Finché un giorno è sceso dal tram uno così magro, ma così magro, ma l’ha riconosciuto subito che era il suo Luigi, e allora mia nonna ha attraversato la Fossa camminando verso casa, e non aveva parole, e il cuore le tremava dall’emozione, e mio papà dietro, e camminavano senza parlare.
E ancora adesso mi scoppia il cuore a pensare alla felicità di mia mamma quando le è apparso il suo Luigi, la sua vita…

Nel 1946 mio papà aveva aperto il negozio di scarpe in via Quarena, in società con il Contarelli.
Si vendevano anche cuoio e chiodi, che si pesavano sulla bilancia. Mio papà, per ingraziarsi i clienti, andava su e giù a Salò con il tram, per portare certificati e carte varie.

Il mitico Antonio Abastanotti ricorda che quando il tram entrava in paese, passando dalla via Quarena, un incaricato della ferrovia lo precedeva, suonando una campana per avvertire la gente. La prima fermata era situata dove ora c’è la pesa pubblica, un’altra fermata era sul ponte.

La mia amica Ceci ricorda che da bambina vedeva passare il treno a Villanuova e si divertiva a contare i vagoni vuoti e quelli pieni.
E il suo inseparabile marito mi ha detto che nell’ultimo viaggio del treno, i ferrovieri avevano messo le “castagnole” sopra le rotaie per farle scoppiare e celebrare l’avvenimento.

“L’ultimo treno della notte porta via con sé
echi di un amore e porta via anche te
ma se è il destino ti rincontrerò
tra luci che si dissolvono nel blu”

 (Tiromancino)

Il signor Nerino Mora su Vallesabbianews
ha scritto uno struggente racconto di un viaggio col papà, nel  giugno 1964, “visto dai miei occhi di bambino.  La gente aspettava l’arrivo del tram: un veicolo su rotaia misto passeggeri e merci, talvolta solo linea merci.
La via ferrata volgeva a nord direzione della valle Sabbia, a ovest verso Salò, a sud alla stazione di Rezzato e poi Brescia. La linea solcava prati e boschi e ponti in pietra e ferro.
La prima classe aveva le finestre chiuse, la seconda era pressoché aperta, le panche in legno rustico come tutta la carrozza. Il treno faceva i 50 km orari, mandava fischi e lanci di fumo di tanto in tanto per avvisare del suo arrivo.
Il Naviglio e il Chiese, le campagne di Bolina e poi di Goglione, una grande distesa di verde e poche rare case. E paesi segnati dai campanili.  Alla stazione di Rezzato inizia il viaggio di ritorno.
Le capre presenti sul treno infastidivano un poco, il rumore assordante del metallo su metallo e brusche frenate, per dare precedenza agli animali al pascolo. Dopo Gavardo la biforcazione della via ferrata che portava alla Lane Gavardo, il famoso “Bustù” con tanto di camino altissimo.
Lì il tram staccava parte del suo carico di merci in un brulicare di operai al lavoro...E la fermata a Villanuova, al Cotonificio, dove uomini in canottiera staccavano altri vagoni. Alla fermata successiva c’era la stazione e Scalo di Tormini di Roè…
Da lì il treno poteva andare verso Salò o per la valle Sabbia, fino ad Idro che era il capolinea: un reticolo di rotaie e vagoni fermi, più che altro carri merce. Il lanificio o tessitura De Angeli Frua meritava una breve fermata, poi si proseguiva in direzione di Vobarno, verso la grande ferriera Falk che era un polo siderurgico enorme, dove il grande orologio batteva il tempo.”
Che bel racconto!

A proposito di Bustù, il mio amico e coscritto Pierangelo Damiani mi ha riferito la frase di un anziano (noi invece siamo ragazzi, eh eh eh): “Sura Tùrmen iè töcc altoatesini, sóta el Bustù iè töcc terù.”

Ho chiesto all’amico Paolo Catterina (papà di Davide, Elisa e Domenico, i primi due sono stati miei eccellenti alunni) alcune notizie sulla ferrovia. Lui è una vera “biblioteca ambulante” e mi ha mandato un sacco di foto e notizie.
Mi ha scritto tra l’altro che c’erano due linee parallele (caso più unico che raro…): la tramvia e la ferrovia.
La prima era quella che passava sul ponte di Gavardo e arrivava a Salò, la seconda era quella che arrivava a Vobarno ed aveva tutte le sue belle stazioncine.

Oggi la linea ferroviaria è rimpiazzata dalla Gavardina, bella ciclabile molto frequentata e risorsa preziosa per vivere il territorio, a disposizione di tutti (non solo per i runner ruspanti o i ciclisti che ci fanno le cronometro).
L’idea di trasformare il vecchio percorso della ferrovia in ciclo-pedonale è del 1996. Adesso che a Brescia si parla di nuovo tram cittadino, sarebbe bello pensare ad una linea tramviaria-metropolitana che da Tormini  (e perché no?, da Salò o anche oltre) possa innestarsi sul percorso della metro di S. Eufemia e collegare i nostri paesi a Brescia…Non si sa mai nella vita…

Il treno l’ho usato spesso, quando ero soldato: Cuneo, Napoli (San Giorgio a Cremano, patria di Massimo Troisi) e infine Merano.
Quando poi tornavo in paese con la corriera, con la mia bella divisa ed il cappello alpino, non sapevo di far sbarbaciullare il cuore della mia attuale moglie.
Ma perché non ho fatto la firma?! Eh eh eh.

“E pensavo dondolato dal vagone
cara amica il tempo prende e il tempo dà
noi corriamo sempre in una direzione ma
qual sia e che senso abbia chi lo sa?
Restano i sogni senza tempo
le impressioni di un momento
le luci nel buio di case intraviste da un treno…
siamo qualcosa che non resta
frasi vuote nella testa
e il cuore di simboli pieno.”

(Guccini)

A proposito di Napoli. Ricordo che una volta da soldato (quindi non pagavo il biglietto!) ero salito sul treno della Circumvesuviana. 
Poco tempo fa ho letto del coraggio di una  donna che, a bordo del treno, ha assistito all’aggressione con epiteti volgari da parte di un ragazzo nei confronti di un immigrato dello Sri Lanka, da anni integrato con la sua famiglia in Italia.
Nessuno è intervenuto, il ragazzo mugugnava minaccioso, ma la donna non si è persa d’animo: “Piglio ‘o mbrello e t'o' scasso ncapa. Tu non sei razzista, sei str..."

Il ragazzo poi ha chiesto scusa, anche se la donna sul web ha subito insulti indicibili.
Naturalmente queste cose accadono sempre più spesso, e non solo a Napoli. E non so se avrei avuto il coraggio di quella donna…penso proprio di no.

Come diceva Totò: “Il coraggio io ce l’ho…è la paura che mi frega!” Che Dio mi perdoni.

“Ghó pié póra dele sciafe söle orece, del vent che sifola
dele parole vilinuse dela zent.
Ghó pié póra del’aria che pia söla pel, söle mà
come sento pontalì che encioda el temp che völ scapà.
Ghó póra che l’amur el pase endaren
che la lùna la rides dei mé spàsem
e che l’ua la pases sensa aì tastat gnà un grà
Ghó póra degli orare de chèl treno che pasa en dela not
che fischia el só segnal e che el fa una cùrva larga
prima del pont che scaalca el Cés.
Vede ai finistrì töcc chei che ghó ulìt bé
e che ghó mai parlatt asè”

(Claudio Ascolti, “Treno”)

Ci sono momenti in cui non ci riconosciamo in questo pazzo pazzo pazzo mondo.
C’è chi sostiene che siamo su un treno che va a velocissimo verso il baratro e senza macchinista. C’è chi è disperato, deluso.
Io non “sento” più il Natale, le feste, non sento più la gioia del Capodanno.

Vedo che i ladri restano ladri, i potenti restano potenti, i mafiosi restano tali, chi inquina lo fa senza problemi…
Ma forse è un problema di vecchiaia. E la mia coscienza (anch’io ce l’ho, ben nascosta) ogni anno mi ricorda che ci sono persone che non hanno smesso di credere nell’amore. Migliaia di persone che in silenzio fanno il proprio dovere ogni giorno, ogni anno.

Avete visto ancora il sorriso dei volontari, degli alpini della protezione civile, dei medici che aiutano chi non ha niente, delle brave maestre innamorate dei propri bambini, dei missionari che da lontano mandano segnali d’amore e delle mille persone che spendono il proprio tempo per gli ultimi?
È un sorriso azzurro come il cielo.

Auguri di serenità, di salute e di onestà
. Non pretendo la felicità. Quella ce la regalano i bambini. E tutti noi siamo stati bambini, con le ginocchia sbucciate, una rotaia e il cuore pieno di sogni…
Come dicevano a Salò: “Buona fine…sóta el tram!”

Ci sentiamo il primo dell’anno, a Dio piacendo
maestro John

“C’è sempre una luce in fondo al tunnel. Speriamo che non sia un treno.”
(Woody Allen)

“Per far arrivare i treni in orario, Mussolini mica c’era bisogno di nominarlo capo del governo, bastava farlo capostazione.” (Massimo Troisi)
(grazie agli amici Paolo Catterina e Beppe Leni ed al signor Nerino Mora)

Nelle foto: il treno passa da Gavardo e le sbarre vicino alla Via Roma
Nell’ultima foto: la vecchia stazione nel 1979 (il bambino è il mio simpatico nipote Stefano)

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