«Naso elettronico» per controlli alimentari e inquinamento
di c.f.

C’è un’impronta valsabbina nel “naso elettronico” sviluppato dall’Università degli Studi di Brescia che sta attirando l’interesse di grandi aziende


L’Università degli Studi di Brescia ha sviluppato dei nanosensori in grado di riconoscere i gas presenti nell’ambiente, che ha destato interesse non solo nella comunità scientifica, ma anche di grandi imprese, interessate a varie applicazioni.

E in questa scoperta c’è un’impronta valsabbina, visto che responsabile del laboratorio Sensor del dipartimento di Ingegneria Informatica dove è stata sviluppata questa ricerca è la prof.ssa Elisabetta Comini, villanovese, docente di fisica all’Università.

Quello che è stato creato è una sorta di “naso eletronico”, formato da un insieme di nanosensori di gas capaci di acquisire informazioni chimiche dall’ambiente circostante in tempo reale.

È il prodotto finale del lavoro congiunto del laboratorio Sensor del dipartimento di Ingegneria Informatica e della start-up Nasys, da due anni spin-off dell’Università degli Studi di Brescia e nata per sviluppare e commercializzare sensori chimici e sistemi basati su nanotecnologie e materiali innovativi.

«È una ricerca che dura da decenni e ha portato a risultati unici al mondo», ha spiega al Giornale di Brescia il prof. emerito Giorgio Sberveglieri, presidente di Nasys e ora imprenditore full-time. Il tutto è nato nel laboratorio Sensor dove un team internazionale di ricercatori e dottorandi prepara i nanofili realizzati con ossidi metallici, con un ventaglio di macchinari e tecniche che lavorano sui materiali dalla fase liquida, come la tecnica idrotermale e l’anodizzazione elettrochimica, e da quella a vapore, come l’evaporazione e lo sputtering.

«Questi ossidi sono isolanti, semiconduttori e quasi metalli, e per questo possono essere usati per preparare dispositivi di vario tipo - raccontala prof.ssa Elisabetta Comini, docente di fisica responsabile del laboratorio e cofondatrice di Nasys insieme a Veronica Sberveglieri, ricercatrice al Cnr -. Il vantaggio maggiore è che gli ossidi sono formati da una struttura cristallina, quindi molto stabile, che garantisce l’affidabilità dei dispositivi. Noi siamo stati i primi già nel 2002 a usare questi materiali come sensori».

Le applicazioni pratiche sono molteplici: dal controllo del cibo all’inquinamento ambientale. Per questo il sistema di sensori sta riscontrando l’interesse di numerose aziende e grandi gruppi industriali della produzione di elettrodomestici.
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