Un calcio al razzismo
di Lettera firmata

È l'idea di un gruppo di giovani che, dalle Pertiche alla val del Chiese, hanno deciso di trovarsi il secondo e quinto sabato pomeriggio di ogni mese al campetto da calcio di Anfo per una partita di calcio con i ragazzi ospiti della comunità Tre Casali.


Un calcio al razzismo è l'idea di un gruppo di giovani che, dalle Pertiche alla val del Chiese, hanno deciso di trovarsi il secondo e quinto sabato pomeriggio di ogni mese al campetto da calcio di Anfo per una partita di calcio con i ragazzi ospiti della comunità Tre Casali.

L'idea è nata per abbattere quel muro di ignoranza che fa odiare e diffidare del diverso, per sfatare certi pregiudizi e certe leggende derivanti da una continua e costante campagna di odio, per conoscere i ragazzi ospiti, per creare aggregazione e non ultimo per fare del sano sport.

Abbattere quel muro di ignoranza
che fa odiare e diffidare del diverso sfatando certi luoghi comuni.

Avete mai provato a guardare negli occhi quello che potete considerare diverso?

Beh vi potete solo specchiare, e così accade che quel razzista che dice: "io non voglio immigrati a casa mia" (che poi qui anche loro hanno casa) quando poi ci lavora fianco a fianco in fabbrica spesso dica "a chèl le l'è n brao gnàro".

Per sfatare certi pregiudizi e certe leggende come quella dei 35€ al giorno dati direttamente ai migranti. Chiaramente non è così, il carnet giornaliero che viene dato ai migranti in attesa del riconoscimento è di 2/3€ al giorno e che utilizzano per il sostentamento visto che gli è impedito di lavorare in questo lasso di tempo. Provate voi ad avere una vita dignitosa con questa cifra.

È certo che nella gestione di questi fondi diverse persone nostrane (di qualsiasi colore politico, vedasi la vicenda di Mafia Capitale per citare forse la più famosa) hanno fatto affari sottraendo soldi a chi ne aveva bisogno, ma questo magna magna è un problema classico del paese.

Detto ciò, come è risaputo, vengono stanziati annualmente qualche miliardo di euro (con tutte le incertezze per il futuro dettate dall'ultima tornata elettorale) dall'Europa all'Italia per gestire ed integrare le persone in fuga (i famosi 30-35€ euro al giorno).

Ma a chi vanno questi soldi? Ad esempio, a gente italiana laureata o disoccupata che li trova impiego, a ditte che lavoravano per le sistemazioni varie, a negozi nostrani di alimentari, e a tanti piccoli esercenti ossia questi miliardi provenienti dall'estero entrano in circolo nell'economia italiana.

Per sfatare il luogo comune del non fanno niente. "Avete mai chiesto loro se vogliono lavorare?" la risposta è assai banale, ovvio che vogliono lavorare per costruirsi un futuro. E continuiamo: "ma le leggi che li obbligano a stare in Italia non permettono loro di lavorare?". Ovvio che no, altrimenti le fabbriche della nostra valle ne sarebbero piene visto che hanno prosperato finora anche grazie alla manodopera di chi ha avuto solo la possibilità o la fortuna di emigrare in tempi diversi.

Qua una volta o si andava in fabbrica o si emigrava, l'assurdo è che loro sono emigrati qui ma neanche in fabbrica non possono legalmente lavorare.

Loro non lavorano perché le leggi in materia di immigrazione e di richiesta d'asilo sono pensate per non risolvere il problema in tempi brevi ma per lasciarlo lì, in sospeso, probabilmente per fare arricchire chi dell'accoglienza ne vuole fare business e per far procedere all'incasso chi su questo tema ci basa intere campagne elettorali altrimenti vuote di qualsiasi proposta.

Questa retorica ci vuol far dimenticare che dietro non ci sono bestie ma profonde storie umane.

La retorica attuale arriva ad accusare di "buonismo" chi tende la mano.

Ma come può essere definito l'opposto di buonismo?

Dobbiamo anche sapere che buona parte di loro, se non tutti, non hanno il desiderio di fermarsi in Italia, ma vogliono andare verso il nord Europa per ricongiungersi a famigliari o amici o dove le condizioni sociali possono garantire loro condizioni di vita migliori.

Stesse condizioni riportate su di un articolo letto pochi giorni fa con a tema l'emigrazione dei cittadini bresciani.

Articolo che citando numeri ufficiali parlava, nel 2018, di un aumento di circa 3.000 bresciani iscritti all'A.i.r.e. (anagrafe italiani residenti estero) su un totale di 45.000 iscritti e che, senza contare i tanti giovani non iscritti, stanno svuotando le nostre valli e le nostre vite di affetti, idee e forse futuro.

Questo non ci può non far riflettere e far porre tanti quesiti, forse il più semplice e banale "che differenza c'è tra questi bresciani emigranti e chi scappa da guerre, fame, discriminazione o miseria?". Non stanno entrambe cercando un futuro migliore?

Forse parlare direttamente con chi sta emigrando per conoscere le storie, capire le loro ambizioni e acquisire la consapevolezza che nessuno nasce illegale, può permetterci di reinventare un futuro, che ora, non sembra portare a nulla di buono.

Quando capiremo che chi ha la sola colpa di muoversi e di cercare un futuro migliore, capiremo che aiutarsi conviene a tutti, capiremo che il nemico non è chi ha la nostra stessa fame di dignità ma chi ci affama.

Ci si vede alle 14.30 sul tappeto verde, il secondo e quinto (quando c'è) sabato di ogni mese ad Anfo.

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