Oro alla Patria e riforme subdole
di Ernesto Cadenelli

Alcuni giornali, in questi giorni, hanno titolato “ORO ALLA PATRIA”, come ultima (in attesa dell'ultimissima) pensata del duo Di Maio/Salvini per far quadrare i conti di una manovra che sembra un colabrodo dopo i trionfali annunci iniziali...


Mi son tornate alla memoria i racconti di mia madre che, a 16 anni, in quel lontano 1935, ha dovuto consegnare i suoi primi orecchini d'oro alla Patria.
E mio padre che l'hanno successivo partiva per la leva militare e sarebbe tornato dopo quasi 10 anni evaso da un campo di lavoro (sic! Prigionia) in Germania.
Anni di patimenti cui ci aveva portato il sovranismo e l'autarchia mussoliniana.

A furia di scivolare all'indietro con il rispolverare slogan strafottenti (i me ne frego!) contro tutti coloro che esternano delle critiche, quello scenario potrebbe ripetersi.
Ovviamente auspico che non accada e che il “popolo” cominci ad aprire gli occhi.

Vorrei dare un piccolo contributo alla chiarezza analizzando alcuni capitoli della manovra che è stata annunciata.
Ho già ricordato altre volte che le misure, pur sacrosante, devono trovare le coperture finanziarie e che queste passano da una lotta serrata alla EVASIONE FISCALE e non dalla politica dei condoni variamente mascherati.

Non mi intenerisce la scenetta che viene evocata di partite Iva che sarebbero in difficoltà a pagare le tasse.
NO! in quel segmento di attività si annida grossa parte dell'evasione fiscale e contributiva.
A me lavoratore dipendente prima e  pensionato oggi, non mi ha mai sfiorato l'idea di non pagare le tasse. E non per volontà particolare, bensì perché soggetto alle trattenute alla fonte.
I casi di incapienza si possono affrontare senza ricorrere al condono generale.

Detto questo alcuni rilievi di merito alle proposte messe in campo dal Governo.

Sul reddito di cittadinanza o meglio chiamiamolo col suo nome, AMMORTIZZATORE SOCIALE, c'è una piccola contraddizione che va affrontata perché in molti casi, sopratutto per i milioni di giovani e donne che svolgono un lavoro precario oppure a part-time.
La cifra promessa di 780 euro mensili è superiore a quei salari o stipendi. Questo non mi pare giusto e soprattutto rischia di alimentare una assuefazione all'assistenzialismo.

Si aggiunga che
il Governo vorrebbe portare  le pensioni minime allo stesso importo di 780 euro mensile. 
Misura che le equiparerebbe e, in qualche caso sarebbero addirittura più vantaggiose, alle pensioni in essere che hanno una carriera contributiva piena.

Ricordo che la media delle pensione nel bresciano (realtà a forte propensione industriale) è circa di 1000 euro/mese e che molte non arrivano a 800 euro.
Basterebbe chiedere alle donne che hanno lavorato nel settore tessile o delle pulizie o del commercio a orario ridotto. Queste misure introducono un tarlo pericoloso che è bene valutare per tempo onde evitare che il sistema previdenziale vada in TILT.

Se pagare o non pagare i contributi previdenziali è indifferente, quale convenienza avrebbero le future generazione a versarli?
E se si interrompe il circuito di solidarietà intergenerazionale su cui si basa la previdenza, non c'è il rischio che a un certo punto non sia più possibile pagare le pensioni in essere?
Con buona pace di Salvini e Di Maio che hanno risolto il loro problema economico con lauti trattamenti?
Capite bene che ciò potrà riguardare tutti gli elettori pensionati che si trovano in questa condizione. Sarebbe una catastrofe sociale trasversale.

Altra questione la cosidetta quota 100
. Detta così è una soluzione allettante. Ma ci sono dei ma...
Cosa compone questa quota, solo 62 anni di età e 38 di contribuzione? No!

Elenco: i contributi figurativi quali maternità, periodi di disoccupazione, periodi di cura (sopratutto per le donne), le agevolazioni in uscita per gli addetti ai lavori usuranti, l'ape sociale che consente il pensionamento anticipato, continueranno a essere considerati o verranno assorbiti dalla nuova norma?

Nella seconda ipotesi, cioè che queste norme spariscano, per molti lavoratori la quota 100 non garantisce l'andata in pensione.
Inoltre se resta fisso nella quota 100 il numero 38 (gli anni di contribuzione effettiva), la quota cento diventerà 101, 102, 103, 104 e avanti così.
Preferibile sarebbe lo stabilire un numero di anni di contribuzione es. 41/42, raggiunti i quali un lavoratore può andare in pensione a prescindere dall'età anagrafica.

Con una attenzione a due questioni: i lavori pesanti e usuranti che devono essere riconosciuti con un periodo più basso di contributi e le donne che difficilmente hanno carriere regolari e continuative, dovendosi sobbarcare anche altri lavori di cura  e familiari.

Occorre poi vagliare bene quale sistema di calcolo verrà proposto, se tutto contributivo sarà una bella sforbiciata agli importi, e clausole di salvaguardia per le pensioni delle future generazioni che diversamente avranno assegni da fame.
Quindi può andar bene migliorare le pensioni minime, senza però dimenticare chi ha pagato i contributi e che vede ogni anno ridursi il suo potere di acquisto.
La rivalutazione è importante tutela del reddito.

Ho voluto cimentarmi con queste osservazioni perché sento troppo spesso discutere con una semplificazione disarmante (anche di chi governa), su una questione che invece è complessa e vitale per milioni di cittadini.

Ernesto Cadenelli

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