«Perchè sono contrario al reddito di cittadinanza»
di Federico Ferroni

Gentile Direttore, Le scrivo con l’intento di esprimere alcune riflessioni su un tema di attualità: il reddito di cittadinanza...


Sinteticamente, la proposta dei 5 stelle prevede che il reddito di cittadinanza venga riconosciuto a tutti i cittadini italiani maggiorenni che si trovano in una condizione di disoccupazione.
I beneficiari avrebbero diritto a percepire un reddito mensile netto pari a € 780 per il single, € 1.638 per un nucleo familiare composto da due adulti e due minori di 14 anni e  € 1.950 per una famiglia composta da 4 persone adulte.

Per poterne beneficiare è sufficiente che i cittadini disoccupati siano regolarmente iscritti presso i Centri per l’impiego, siano disponibili ad offrire gratuitamente 8 ore settimanali di lavoro al proprio Comune, siano pronti ad accettare una delle prime tre proposte di lavoro congrue suggerite dal Centro per l’impiego.

Il diritto a percepire il reddito di cittadinanza verrebbe meno qualora il beneficiario rifiuti tre proposte di lavoro ritenute congrue sulla base delle sue competenze e dei suoi interessi.

I 5 stelle dichiarano che il fine di questo provvedimento è quello di abbattere la povertà attraverso una misura che, temporaneamente, aiuti chi si trova in difficoltà.
Il problema però è che, garantendo i livelli di redditi sopra indicati, più che incentivare le persone ad impegnarsi nella ricerca di un lavoro, si incentivano le persone a rimanere disoccupate.

Per non perdere il reddito di cittadinanza al beneficiario basterà ridurre le possibili proposte di lavoro non impegnandosi particolarmente durante i colloqui di lavoro, e, qualora arrivasse l’offerta di lavoro, gli sarà sufficiente lavorare alcune settimane e poi accordarsi per farsi licenziare.
Probabilmente, si aprirebbero nuovi mercati per finti datori di lavoro che assumerebbero e licenzierebbero in cambio di mance, per consentire a milioni di persone di vivere con il reddito di cittadinanza.

Il problema di fondo è che il sistema si basa su 2 pilastri di sabbia:
1) Sul proverbiale senso civico degli Italiani, anzi proprio di quel tipo di Italiani
2) Sulla proverbiale efficienza del sistema dei controlli italiani.

Pensiamo solo che l’ispettore dovrebbe seguire ogni colloquio di lavoro per verificare che il candidato (stiamo parlando di milioni di persone) manifesti il desiderio di conquistare quel lavoro.
E quale stipendio dovrebbe essere promesso al candidato se non facendo quasi nulla prende già 1.638 euro? Basterebbero 2.500 euro netti?
E  chi ha scelto di non lavorare da 10 anni, o addirittura da sempre, che tipo di offerte di lavoro congrue potrà mai ricevere?

Il reddito di cittadinanza da misura temporanea diventerà strutturale, andando a vantaggio di quelle persone, i così detti furbi, che già vivono sulle nostre spalle perché paghiamo per loro servizi essenziali quali la sanità, la scuola e, in diversi casi, anche la casa.
Il vantaggio di questa misura sarà solo politico perché consentirà ai 5 stelle di beneficiare di un enorme serbatoio di voti dislocato prevalentemente al sud, ma diffuso comunque in tutta Italia.

Non è la disoccupazione che dobbiamo incentivare ma l’occupazione.
L’Italia oggi è penultima in Europa per il livello di occupazione: 62,3% contro una media europea del 72,2%; è penultima anche relativamente al tasso di occupazione femminile: appena il 52,5% contro il 71% della Germania ed è agli ultimi posti anche per quanto attiene all’occupazione giovanile: 52,8% contro una media europea del 73,7%.

Se si vuole migliorare il contesto economico sociale,
bisogna migliorare queste percentuali, considerando che le risorse che andremo ad investire saranno a debito e ci costeranno non poco.

Nel 2017, per effetto del debito, abbiamo pagato, solo per interessi, 65 miliardi: la stessa cifra che lo Stato italiano investe ogni anno per l’intero sistema scolastico, più del doppio del valore previsto per la legge di bilancio 2019.
Per questo, diventa determinante scegliere di investire in persone che, con i loro talenti e la loro serietà, consentano a noi tutti di ripagare il debito che andremmo a contrarre.

Mi riferisco a coloro che oggi, per ragioni diverse, sono pressoché esclusi dal mondo del lavoro, ma sarebbero invece interessati a partecipare attivamente al miglioramento della società:

1)    Giovani inseriti con stipendi miseri o situazioni lavorative mortificanti;

2)    Donne disoccupate perché quando hanno figli non hanno servizi per la famiglia e neppure contratti con tempi che consentono loro di vivere con equilibrio il lavoro e la famiglia;

3)    Over 50 anni, che perduto il posto di lavoro, faticano a reinserirsi.

Situazioni diverse, ma caratterizzate dal fatto che si tratta di persone che vogliono partecipare e non approfittare, persone il cui apporto potrebbe essere determinante e che sarebbe raggiungibile con politiche includenti, integrazioni di reddito per le fasce più giovani, facilitazioni sostenute per la diffusione del part-time, ampliamento dei servizi rivolti alle famiglie e fortissime decontribuzioni per gli over 50.

Più in generale, andrebbe ridotta anche la tassazione sul lavoro, il così detto cuneo fiscale, ossia la differenza  tra il reddito che viene percepito dal dipendente e quello più che doppio che paga l’azienda e questo potrebbe essere fatto anche solo diminuendo la parte fiscale e contributiva a carico del dipendente, consentendo a quest’ultimo, a parità di lavoro, di percepire una retribuzione più alta, favorendo in questo modo un incremento dei consumi.

Non ultimo, considerando la digitalizzazione e la robotizzazione che sta conoscendo il mondo del lavoro, se si sceglie di investire, bisognerebbe investire nelle scuole e nelle Università perché già oggi, anche in Vallesabbia, è riscontrabile una carenza di personale tecnologicamente qualificato.

Una società più equa non può fondarsi sull’assistenzialismo e il voto di scambio.
Il recente benessere della Valle Sabbia (in questo senso specchio fedele dell’Italia), non è stato creato grazie a giacimenti di petrolio o di gas, ma grazie all’impegno e al sacrificio della maggioranza dei suoi abitanti che, in anni di duro lavoro, hanno trasformato un territorio di emigranti in un territorio capace di esportare prodotti nel mondo.

Il lavoro di queste persone va rispettato perché il lavoro non è solo realizzazione personale, ma è anche sacrificio, perché significa comunque rinunciare a parte di sè, rinunciare a dedicare più tempo ed energie alle persone e alle cose che più si amano.

Il reddito di cittadinanza costituisce non solo un pericoloso costo destinato a premiare chi non lo merita, ma anche una minaccia al lavoro, perché può favorire un sensibile incremento del lavoro  nero e indurre moltissimi lavoratori a considerare sconveniente il loro lavoro.

Oggi, un operaio con due figli che lavora 40 ore settimanali  facendo un turno di notte ogni tre settimane, guadagna netti € 1.750/1.800, quindi, una differenza di € 112/162 rispetto a chi percepirebbe il reddito di cittadinanza.
Considerando però anche i costi per raggiungere il luogo di lavoro e i costi per i pasti, la distanza tra il reddito da lavoro e il reddito di cittadinanza si accorcia sensibilmente.
Cosa potrebbe pensare la persona, operaio o impiegato, che lavora guadagnandosi il reddito: forse che non gli conviene lavorare in regola e che sarebbe più conveniente percepire il reddito di cittadinanza e integrarlo con del lavoro in nero o che, addirittura, non gli conviene lavorare, ma limitarsi a percepire il reddito di cittadinanza e godersi la vita come preferisce.

In conclusione, se veramente si è deciso di investire importanti e costose risorse, meglio investirle in strumenti che favoriscano l’inserimento nel mondo del lavoro piuttosto che impiegarli in una soluzione passiva dai pericolosi effetti distorsivi del mercato del lavoro e dell’intera società.

Articolo 1 della Costituzione italiana
L'Italia è una Repubblica Democratica, fondata sul lavoro.

Federico Ferroni


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