Santorcol, la vendemmia come una volta
di Redazione

Torna nel fine settimana, sabato 29 e domenica 30, la manifestazione biennale di Barghe dedicata alla vendemmia e alla riscoperta dei mestieri e delle tradizioni della civiltà contadina, con un'anteprima musicale



Senso di comunità, dedizione al lavoro, condivisione delle gioie da esso derivanti, oltre che impegno alla collaborazione per il raggiungimento di un obiettivo comune (senza dimenticare tanta voglia di divertirsi!): questi sono gli ingredienti del Santorcol, la festa riportata in vita grazie all'entusiasmo e alla partecipazione attiva degli abitanti di Barghe che con cadenza biennale anima le vie centrali del paese, coinvolgendo grandi e piccini in una rievocazione delle usanze e delle attività di una civiltà contadina ormai in larga parte perduta, ma che per lunghi anni ha costituito l’essenza stessa della vita nelle nostre contrade.

Per ogni comunità umana la cui esistenza è legata alla terra la fine dell’estate e l’inizio della stagione fredda rappresentano un punto di svolta, un momento di fondamentale importanza: le giornate si accorciano, il ritmo della natura cambia e gli uomini finalmente godono dei frutti del lavoro estivo. La terra faticosamente coltivata restituisce i suoi doni e per tutti è una festa: la vendemmia è terminata, l’uva è stata pigiata, non resta che “torcolare” per togliere alle vinacce la maggior parte del mosto e del vino che esse contengono e brindare insieme al lavoro compiuto!

Questo, fino a cinquant’anni fa, era quello che accadeva nelle cantine e nei cortili di Barghe, proprio in questo periodo dell’anno. Oggi le occasioni di festa sono altre, le usanze diverse, i lavori sono cambiati: ci siamo allontanati da quella terra da cui un tempo dipendeva quasi totalmente la nostra esistenza e i nostri impegni non sono più dettati dall’alternarsi delle stagioni, dalle cure che richiedono i campi, i filari delle viti. Altre regole, altre “tempistiche” guidano le nostre vite, non più le regole della natura, che talvolta sanno essere dure e spietate, certo, ma che sono pur sempre a “misura d’uomo”.

Allora perché tornare a festeggiare
una tradizione legata ad un mondo antico, ormai quasi perduto? E soprattutto, perché questa giornata di festa riscuote così tanto successo e vede una così alta partecipazione popolare, pur essendo tanto diverso il modo in cui noi oggi viviamo, rispetto a quello dei nostri nonni e bisnonni?

Forse la risposta risiede
nel fatto che ognuno di noi sente che, pur nelle enormi differenze che ci separano da quegli uomini, in realtà essi sono molto più vicini e simili a noi di quanto immaginiamo. Le loro usanze, i loro motivi di gioia o di sofferenza ci appartengono, risvegliano in noi ricordi legati alla nostra infanzia, ai racconti che ognuno di noi ha sentito dai nostri nonni. In altre parole, tutto ciò fa parte della nostra storia, della storia individuale di ognuno di noi, che diventa storia collettiva nel momento in cui decidiamo di scendere in piazza, nelle vie per condividere le nostre esperienze con chi ci vive accanto. È, a conti fatti, la storia di un’appartenenza, di un essere insieme in un territorio, perché se è vero che è l’uomo a creare e a dare forma a un luogo, è altrettanto vero che il luogo in cui abitiamo, in cui cresciamo, in cui intessiamo relazioni contribuisce indissolubilmente a determinare chi siamo.

La manifestazione avrà un prologo sabato sera con il concerto del coro giovanile e del coro di voci bianche “Carminis Cantores” intitolato: “Un cuore più grande della guerra”.

Domenica l’intera giornata vedrà rievocazioni di antichi mestieri della civiltà contadina, spettacoli e intrattenimenti per i più piccoli e l’immancabile gastronomia tipica.

Il programma completo sulla locandina a fianco.

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